Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 03-05-2011) 09-06-2011, n. 23241

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

A.A. ricorre avverso la sentenza 16.1.09 della Corte di appello di Napoli che ha confermato quella in data 19.10.06 del locale tribunale con la quale è stato condannato, in concorso di attenuanti generiche prevalenti, alla pena – condizionalmente sospesa – di anni due di reclusione, oltre le pene accessorie di legge, per il reato di bancarotta fraudolenta.

Deduce il ricorrente, nel chiedere l’annullamento dell’impugnata sentenza, con il primo motivo violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione agli artt. 178 e 601 c.p.p., per essersi verificata la nullità del giudizio di secondo grado in quanto celebrato nella dichiarata contumacia dell’imputato al quale la notifica del decreto di citazione in appello era stata fatta non presso il domicilio eletto, ma a mezzo deposito nella casa comunale a seguito del doppio accesso presso il luogo di residenza anagrafica.

Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per avere i giudici di appello omesso di valutare che tutte le somme incassate dall’ A. a seguito dello sconto cambiali erano state utilizzate per la realizzazione delle finalità dell’impresa; che non era emerso alcun indizio in ordine ad un diverso uso delle predette somme di denaro finalizzato ad un depauperamento patrimoniale in danno dei creditori; che nessun fornitore di merce aveva avanzato domanda di insinuazione al passivo del fallimento, a conferma quindi della correttezza della gestione della società da parte dell’ A. e della carenza dell’elemento soggettivo del reato, considerato anche che le cambiali non erano mai state utilizzate per pagare le forniture di merce.

Inoltre – prosegue il ricorrente – l’imputato aveva spontaneamente indicato e consegnato una vettura Fiat Croma all’attivo fallimentare, fornendo al curatore la documentazione per il recupero dei crediti (circa L. 89 milioni), ma il curatore non era stato in grado di quantificare le somme realmente accreditate dalla banca in favore dell’ A. a seguito dello sconto delle cambiali e di specificare la composizione del passivo fallimentare, sì da rendere impossibile quantificare le somme effettivamente utilizzate dal prevenuto nell’esercizio dell’attività di impresa e, secondo l’ipotesi accusatoria, sottratte, mentre la notitia criminis a carico dell’ A. era stata iscritta per cinque anni a mod. 45, quale fatto non costituente reato, e nella relazione integrativa del 10.6.05 il curatore fallimentare aveva affermato che non risultavano compiute spese personali con denaro della società e che i crediti vantati dalla stessa erano stati abbandonati, in quanto non recuperabili, con provvedimento 7.4.05 del Tribunale di Napoli.

Osserva la Corte che il ricorso è infondato.

Quanto al primo motivo, la nullità, derivante dalla esecuzione della notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello, presso il luogo di residenza anagrafica, anzichè nel domicilio eletto dall’imputato, deve ritenersi sanata quando risulti provato che non ha impedito all’imputato di conoscere l’esistenza dell’atto – nella specie avendo l’ A. ritirato il plico contenente il decreto di citazione in appello, per l’udienza del 16.1.09, presso l’ufficio postale di (OMISSIS) il 6.11.08 – e di esercitare il diritto di difesa ed è comunque priva di effetti se non dedotta tempestivamente (nulla avendo eccepito sul punto la difesa all’udienza del 16.1.09 dinanzi alla Corte di appello), essendo soggetta alla sanatoria speciale di cui all’art. 184 c.p.p., comma 1, alle sanatorie generali di cui all’art. 183 c.p.p., alle regole di deducibilità di cui all’art. 182 c.p.p., oltre (che ai termini di rilevabilità di cui all’art. 180 c.p.p. (v. Cass., sez. 4, 8 aprile 2010, n. 15081; Sez.un., 27 ottobre 2004, n. 119). Quanto al secondo motivo, con esso il ricorrente reitera le doglianze già avanzate in sede di appello e compiutamente confutate dalla Corte territoriale, la quale ha correttamente evidenziato come, nella specie, la prova della bancarotta si tragga dal mancato deposito delle scritture contabili, sì che non era stato possibile ricostruire il patrimonio e il movimento degli affari della fallita, dall’occultamento della documentazione utile per il recupero dei crediti di impresa e dalla esposizione in bilancio di dati falsi, anche con riferimento alle passività verso le banche, oltre che dalla rilevante entità del passivo (L. 300 milioni) a fronte della mancanza di attivo, irrilevante dovendo considerarsi al riguardo la consegna della vettura Fiat Croma.

In tale situazione – hanno osservato ancora i giudici napoletani – era rimasta una mera affermazione quella secondo cui tutte le somme incassate attraverso lo sconto delle cambiali erano state utilizzate per finalità aziendali, laddove invece il curatore aveva specificato che il passivo era costituito da crediti vantati dalle banche, irrilevante essendo la circostanza che nessun fornitore aveva presentato domanda di insinuazione al passivo fallimentare. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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