Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 29-04-2011) 09-06-2011, n. 23360 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

R.E., a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Roma con la quale è stata rigettata la sua istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal 19 ottobre 2007 al 27 giugno 2008 per il delitto di detenzione illecita di sostanza stupefacente, in concorso con altri, reato dal quale era stata assolto in secondo grado con la formula per non aver commesso il fatto.

La Corte territoriale ha ravvisato la circostanza escludente del diritto alla riparazione di cui all’art. 314 c.p.p., comma 1, e cioè di avere concorso a dare causa all’emissione del provvedimento restrittivo della libertà personale per colpa grave, e cioè per avere l’istante posto in essere un comportamento altamente imprudente e superficiale per il contesto in cui si era trovato coinvolto nell’indagine giudiziaria, nel corso della quale era stata rinvenuta un involucro di 10 gr. di cocaina, per 65 dosi medie, nella sua camera da letto, e la somma di Euro 1.150, nel suo cappotto, riposto nell’armadio, del tutto sproporzionato alla sua capacità di reddito.

La condotta sopra descritta, benchè il fratello, convivente, si fosse assunto l’esclusiva responsabilità della detenzione, era tale, secondo il giudice della riparazione, da fondare un non arbitrario coinvolgimento del R. nelle attività illecite incriminate, in quanto l’istante aveva accettato di apparire non come un semplice connivente ma come un consapevole concorrente nel reato contestato, avendo anche rafforzato con la sua colpevole tolleranza la volontà criminale del fratello.

Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione dell’art. 314 c.p.p., e la manifesta illogicità della motivazione, laddove il giudice della riparazione aveva affermato la mera corrispondenza tra connivenza e colpa grave. Si sostiene che la sentenza di assoluzione aveva escluso ogni forma di connivenza e comunque, secondo la recente giurisprudenza di legittimità, non è sufficiente la mera presenza fisica di un soggetto nel luogo ove viene commesso il delitto ma è necessario indicare gli elementi che abbiano rafforzato la commissione di un reato. La Corte di merito avrebbe dovuto, pertanto, concretamente indicare in che modo la presenza passiva del R. abbia rafforzato la volontà del coimputato.

Si lamenta altresì il permanere della misura cautelare nonostante il R. sin dal momento dell’arresto avesse tenuto una condotta collaborativa non rifiutandosi di rispondere alle domande del PM e del giudice.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato, avendo il giudicante fatto buon governo della disciplina di settore, con motivazione logica e satisfattiva.

Va infatti ricordato che, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Al riguardo, il giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante (e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito), non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di "causa ad effetto" (cfr. Sezioni unite, 15 ottobre 2002, Ministero del tesoro in proc. De Benedictis).

In particolare, la nozione di "colpa grave" di cui all’art. 314 c.p.p., comma 1, ostativa del diritto alla riparazione dell’ingiusta detenzione, va individuata in quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria, che si sostanzi nell’adozione o nel mantenimento di un provvedimento restrittivo della libertà personale. A tal riguardo, la colpa grave può concretarsi in comportamenti sia processuali sia di tipo extraprocessuale, come la grave leggerezza o la macroscopica trascuratezza, tenuti sia anteriormente che successivamente al momento restrittivo della libertà personale; onde, l’applicazione della suddetta disciplina normativa non può non imporre l’analisi dei comportamenti tenuti dall’interessato, anche prima dell’inizio dell’attività investigativa e della relativa conoscenza, indipendentemente dalla circostanza che tali comportamenti non integrino reato (anzi, questo è il presupposto, scontato, dell’intervento del giudice della riparazione) (tra le tante, Sezione 4, 12 febbraio 2010, Petrozza).

Ciò detto in punto di diritto, va soffermata l’attenzione sui limiti della sindacabilità in questa sede.

Nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione, in vero, il sindacato del giudice di legittimità sull’ordinanza che definisce il procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è limitato alla correttezza del procedimento logico giuridico con cui il giudice è pervenuto ad accertare o negare i presupposti per l’ottenimento del beneficio. Resta invece nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a motivare adeguatamente e logicamente il suo convincimento, la valutazione sull’esistenza e la gravità della colpa o sull’esistenza del dolo (Sezione 4, 10 giugno 2008, Maggi ed altro).

In altri termini, nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione, l’assenza di un giudizio di appello non toglie che, in sede di legittimità, il provvedimento sia insindacabile in presenza di una motivazione completa ed adeguata, applicandosi anche in tale materia il parametro della sola valutazione della tenuta, sul piano logico e giuridico, del tessuto argomentativi posto a sostegno della scelta adottata in dispositivo (Sezione 4, 24 giugno 2008, Grigoli).

In questa prospettiva, corretto e satisfattivamente motivato è l’apprezzamento del giudice della riparazione, che ha non illogicamente valorizzato (a prescindere dall’esito del procedimento di merito) il comportamento del prevenuto, non arbitrariamente definito gravemente imprudente per il contesto in cui è venuto ad essere coinvolto nell’indagine giudiziaria: per la presenza, di cui non poteva non essere consapevole, della droga, poi ricondotta al fratello, nell’abitazione comune, e per il possesso di una quantità di denaro inconferente con le proprie condizioni soggettive, tale da fondare un non arbitrario coinvolgimento nelle attività illecite incriminate.

Al rigetto del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *