Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 29-04-2011) 09-06-2011, n. 23309 Circolazione stradale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.A. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe con la quale la corte di appello, parzialmente riformando in melius la sentenza di primo grado solo relativamente alla durata della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, l’ha riconosciuto colpevole del reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa sulla circolazione stradale, commesso alla guida della propria autovettura con l’investimento del pedone B.L..

Nessun dubbio sussisteva, secondo il giudicante, in ordine al nesso di causalità tra l’incidente e la morte del pedone, sopraggiunta in ospedale qualche giorno dopo, pur in assenza di consulenza medico legale. Ciò in ragione delle gravi lesioni riportate dal pedone nell’occorso, ricoverato già in prognosi riservata nel reparto rianimazione. Nessun rilievo doveva riconoscersi ad una patologia preesistente da cui risultava affetto il B., giacchè tale patologia, laddove esistente, non escludeva che causa primaria della morte erano state proprio le lesioni riportate nell’incidente.

Si doveva ravvisare l’imprudenza del pedone nell’attraversamento, effettuato senza considerare la presenza sulle strisce pedonali di un voluminoso automezzo che interdiva la visuale ai veicoli provenienti dall’opposto senso di marcia, onde il pedone, nell’intraprendere la manovra, aggirando detto veicolo, avrebbe dovuto prestare attenzione e non procedere "a passo svelto" senza considerare la presenza di veicoli.

Tuttavia, ciò non escludeva la "colpa" dell’imputato, giacchè questi, proprio per la presenza delle strisce pedonali, doveva essere avvertito della possibile presenza di pedoni, che avrebbe dovuto imporre una particolare cautela e l’ulteriore riduzione della velocità tenuta (pur, per vero, affatto elevata: tale velocità, determinata in 38 chilometri orari, era contenuta nel limite di legge previsto nei centri urbani, ma doveva ritenersi non adeguata alla situazione concreta).

La pena era stata contenuta nei minimi edittali (sei mesi di reclusione) e non poteva essere ulteriormente ridotta.

In particolare, non potevano concedersi le attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, in ragione della particolare importanza della norma cautelare violata (regole di condotta da seguire nei confronti dei pedoni). Nè poteva concedersi l’attenuante del risarcimento del danno, giacchè il risarcimento della compagnia di assicurazione non risultava tale da consentire di ritenere integralmente riparati i danni subiti dai congiunti del deceduto.

Con il ricorso si censura la decisione sotto diversi profili.

In primo luogo, si deduce la contraddittorietà e manifesta illogicità dell’affermato giudizio di sussistenza del nesso causale tra il sinistro e la morte del pedone, per non essere stato adeguatamente considerato il rilievo della patologia preesistente (ipertensione arteriosa) da cui doveva ritenersi affetto il B..

In secondo luogo, analogo vizio viene articolato in relazione al riconosciuto addebito di colpa, sostenendosi che l’automobilista aveva tenuto una adeguata condotta di guida, mentre l’investimento era da ricondurre in toto all’improvvida modalità di attraversamento, da ritenere imprevedibile.

Infine si censura il trattamento dosimetrico, sia per il mancato riconoscimento dell’attenuante del risarcimento del danno, a fronte dell’avvenuto risarcimento ad opera dell’assicurazione, da ritenere satisfattivo tanto che non vi era stata costituzione di parte civile;

sia per il mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche, che si assume doveroso in ragione della ritenuta imprevedibilità della condotta della vittima e della condotta complessivamente tenuta dall’automobilista.

Si insta, quindi, per l’annullamento.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Va ricordato che la ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia – valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti, accertamento delle relative responsabilità, determinazione dell’efficienza causale di ciascuna colpa concorrente – è rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimità se sorretti da adeguata motivazione (Sezione 4, 5 dicembre 2007, Proc. Rep. Trib. Forlì in proc. Benelli; nonchè, Sezione 4, 12 dicembre 2008, Spinelli), Qui risulta che il giudicante ha fatto buon governo dei propri poteri valutativi, nel ricostruire l’incidente e il nesso causale tra questo e la morte, nel non trascurare i profili di colpa del pedone, nel l’apprezza re, peraltro, la violazione cautelare specifica della conducente dell’autoveicolo, eziologicamente rilevante per la verificazione dell’incidente.

Va allora rimarcato, in premessa, che, poichè le norme sulla circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza e diligenza proprio per fare fronte a situazioni di pericolo, anche quando siano determinate da altrui comportamenti irresponsabili, la fiducia di un conducente nel fatto che altri si attengano alle prescrizioni del legislatore, se mal riposta, costituisce di per sè condotta negligente.

In altri termini, il conducente risponde anche dei comportamenti altrui, sia pure non corretti, quando essi rappresentino prevedibili eventi nella circolazione stradale. In questa prospettiva, correttamente non è stata esclusa la responsabilità dell’automobilista (in colpa) pur a fronte della condotta dell’altro utente della strada (parimenti in colpa), essendo pacifica la prevedibilità di una condotta quale quella nello specifico tenuta da quest’ultimo, tale che avrebbe potuto e dovuto imporre all’automobilista di tenere conto di detta situazione prima di impegnarsi nella manovra contestata (per riferimenti, cfr. Sezione 4, 14 febbraio 2008, Notarnicola ed altro).

Quanto detto consente di ritenere corretto il rilievo attribuito dal giudicante alla condotta del pedone, come ricostruita.

Venendo poi all’addebito di colpa contestato all’imputato.

Al riguardo, come è noto, le norme che presiedono il comportamento del conducente del veicolo, oltre a quelle generiche di prudenza, cautela ed attenzione, sono principalmente quelle rinvenibili nell’art. 140 C.d.S., che pone, quale principio generale informatore della circolazione, l’obbligo di comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale, e negli articoli seguenti, laddove si sviluppano, puntualizzano e circoscrivono le specifiche regole di condotte.

Tra queste ultime, di rilievo, con riguardo al comportamento da tenere nei confronti dei pedoni, sono quelle dettagliate nell’art. 191 C.d.S., che trovano il loro pendant nel precedente art. 190 C.d.S., che, a sua volta, dettaglia le regole comportamentali cautelari e prudenziali che deve rispettare il pedone.

In questa prospettiva, rileva la regola prudenziale e cautelare fondamentale che deve presiedere al comportamento del conducente, sintetizzabile nell’"obbligo di attenzione" che questi deve tenere al fine di "avvistare" il pedone sì da potere porre in essere efficacemente gli opportuni (rectius, i necessari) accorgimenti atti a prevenire il rischio di un investimento.

Il dovere di attenzione del conducente teso all’avvistamento del pedone trova il suo parametro di riferimento (oltre che nelle regole di comune e generale prudenza) nel richiamato principio generale di cautela che informa la circolazione stradale e si sostanzia, essenzialmente, in tre obblighi comportamentali: quello di ispezionare la strada dove si procede o che si sta per impegnare;

quello di mantenere un costante controllo del veicolo in rapporto alle condizioni della strada e del traffico; quello, infine, di prevedere tutte quelle situazioni che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada (in particolare, proprio dei pedoni) (cfr., per riferimenti, Sezione 4, gennaio 1991, Del Frate; Sezione 4, 12 ottobre 2005, Leonini; Sezione 4, 13 ottobre 2005, Tavoliere).

Trattasi di obblighi comportamentali posti a carico del conducente anche per la prevenzione di eventuali comportamenti irregolari dello stesso pedone (qui astrattamente ipotizzabili e in concreto verificatisi in ragione della modalità di attraversamento da parte del pedone, "a passo svelto", pur in un contesto locale ove per la presenza del veicolo ingombrante parcheggiato in corrispondenza delle strisce pedonali poteva essere interdetta la visuale completa da parte dei conducenti dei veicoli che percorrevano la strada), vuoi genericamente imprudenti (tipico il caso del pedone che si attarda nell’attraversamento, quando il semaforo, divenuto verde, ormai consente la marcia degli automobilisti), vuoi violativi degli obblighi comportamentali specifici, dettati dall’art. 190 C.d.S. (tipico, quello dell’attraversamento della carreggiata al di fuori degli appositi attraversamenti pedonali; altrettanto tipico, quello dell’attraversamento stradale passando anteriormente agli autobus, filoveicoli e tram in sosta alle fermate). Il conducente, infatti, ha, tra gli altri, anche l’obbligo di prevedere le eventuali imprudenze o trasgressioni degli altri utenti della strada e di cercare di prepararsi a superarle senza danno altrui (v. Sezione 4, 30 novembre 1992, Cat Berrò).

Ne discende che il conducente del veicolo può andare esente da responsabilità, in caso di investimento del pedone, non per il solo fatto che risulti accertato un comportamento colposo (imprudente o violativo di una specifica regola comportamentale) del pedone (una tale condotta risulterebbe concausa dell’evento lesivo, penalmente non rilevante per escludere la responsabilità del conducente: cfr. art. 41 c.p., comma 1), ma occorre che la condotta del pedone configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non prevista nè prevedibile, che sia stata da sola sufficiente a produrre l’evento (cfr. art. 41 c.p., comma 2).

Ciò che può ritenersi solo allorquando il conducente del veicolo investitore (nella cui condotta non sia ovviamente ravvisabile alcun profilo di colpa, vuoi generica vuoi specifica) si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di "avvistare" il pedone e di osservarne, comunque, tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso, imprevedibile. Solo in tal caso, in vero, l’incidente potrebbe ricondursi eziologicamente proprio esclusivamente alla condotta del pedone, avulsa totalmente dalla condotta del conducente ed operante in assoluta autonomia rispetto a quest’ultima.

Tale situazione, interruttiva del nesso di causalità, qui non può porsi, vuoi perchè il pedone ha comunque iniziato l’attraversamento praticamente sulle strisce, ma anche perchè, comunque, non è emersa alcuna situazione di imprevedibilità nell’apprezzamento della presenza del pedone. Giustamente ha evidenziato il giudice di merito che vuoi la presenza delle strisce pedonali, vuoi il parcheggio irregolare del veicolo "voluminoso" in corrispondenza di tali strisce avrebbero dovuto imporre all’automobilista particolare cautela non essendo "imprevedibile" la presenza di un pedone nella fase di attraversamento.

In questa prospettiva, la censura è di merito e inaccoglibile in questa sede.

Correttamente e ampiamente giustificato è il profilo della sussistenza del nesso causale tra l’Incidente e la morte. Del resto, in caso di omicidio colposo, la presenza (qui rappresentata comunque come eventuale) di una patologia preesistente da cui sia affetto la vittima di un incidente stradale non ha normalmente l’effetto di interrompere il nesso causale rispetto alla condotta colposa produttiva dell’evento, giacchè di regola non è estraneo all’area di rischio innescata da tale condotta lesiva.

Nella specie, il giudice di merito ha del resto soffermato la sua attenzione in modo affatto illogico sulla gravità delle lesioni riportate dal pedone nel l’occorso, tanto da imporre il suo ricovero in rianimazione.

Corretto e incensurabile è il diniego dell’attenuante del risarcimento del danno.

Vale il principio secondo cui, ai fini della configurabilità dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, il risarcimento del danno deve essere integrale, comprensivo, quindi, della totale riparazione di ogni effetto dannoso e la valutazione in ordine alla corrispondenza tra transazione e danno spetta al giudice, che può anche disattendere, con adeguata motivazione, ogni dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa (Sezione 4, 22 maggio 2009, Usai).

Qui, il giudicante ha spiegata la ragione per cui non poteva affermarsi che il risarcimento fosse integralmente satisfattivo dei danni e il relativo apprezzamento non può essere qui rinnovato.

Del resto, per affermare il contrario, non basterebbe valorizzare il dato della mancata costituzione di parte civile, ove si consideri che la giurisprudenza attribuisce al giudice di negare l’attenuante anche in presenza di dichiarazione satisfattiva della parte lesa.

Inaccoglibile è il motivo sul giudizio di comparazione delle attenuanti.

Il giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti non è censurabile in sede di legittimità qualora il giudice di merito abbia giustificato la soluzione adottata con la indicazione degli elementi ritenuti prevalenti ai fini del giudizio di comparazione, anche se non abbia confutato tutte le deduzioni delle parti volte a conseguire una diversa valutazione comparativa di tutte le circostanze del reato. In questa prospettiva, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 c.p., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Sezione 6, 8 luglio 2009, Abruzzese ed altri).

Qui, il giudicante ha motivato il giudizio di sola equivalenza evidenziando, in modo affatto illogico, la gravità della regola cautelare violata e apprezzando, del resto, in modo compiuto il complessivo trattamento sanzionatorio.

Al rigetto del ricorso segue ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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