T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 09-06-2011, n. 1489

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

In data 22 febbraio 2010, la società A.- I.S. s,a.s. depositava presso il Comune di Varese dichiarazione di inizio attività per l’apertura di una sala giochi da esercitarsi presso locali situati in via Sanvito Silvestro a Varese.

Con provvedimento del 21 maggio 2010, il Comune di Varese ha respinto la domanda (evidentemente non ritenendo sussistenti le condizioni per procedere con una DIA), rilevando che la presenza della sala giochi nella zona avrebbe provocato l’insorgere di considerevoli problemi viabilistici.

Il presente ricorso è diretto ad ottenere l’annullamento di tale provvedimento. Viene altresì proposta domanda di risarcimento dei danni causati dalla perdita economica derivante dalla forzata inattività dell’impresa.

Si è costituito in giudizio il Comune di Varese per opporsi all’accoglimento del gravame.

La Sezione con ordinanza n. 980, depositata in data 9 settembre 2010, ha accolto l’istanza cautelare.

In prossimità dell’udienza discussione del merito le parti hanno presentato memorie.

Tenutasi la pubblica udienza in data 31 marzo 2011, la causa è stata trattenuta in decisione.

Preliminarmente il Collegio deve rilevare che la memoria conclusiva di parte resistente è stata depositata senza rispettare il termine di trenta giorni liberi, fissato dall’art. 73 c.p.a.; per questo la stessa è inammissibile e di essa non si terrà conto.

Ciò premesso va osservato che, con provvedimento del 24 novembre 2011, il Comune di Varese ha annullato il provvedimento impugnato, consentendo quindi alla società ricorrente di intraprendere l’attività di esercizio della sala giochi per la quale era stata a suo tempo presentata dichiarazione di inizio attività.

Va pertanto dichiarata la cessazione della materia del contendere, con riferimento alla parte del giudizio riguardante la richiesta di annullamento dell’atto impugnato.

Parte ricorrente insiste invece nella domanda di risarcimento danni.

Ritiene tuttavia il Collegio che la domanda debba essere respinta per le seguenti ragioni.

Requisito indefettibile affinché possa essere accolta una domanda risarcitoria proposta contro la pubblica amministrazione, per illegittimo esercizio del potere pubblico, è che ricorrano gli elementi previsti dall’art. 2043 del codice civile.

Occorre quindi in primo luogo dimostrare la sussistenza di un danno, il quale tuttavia non coincide con la sola lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento (danno evento), lesione che di per sé vale solo a qualificare come ingiusto il danno arrecato; ma richiede anche la sussistenza di una diminuzione patrimoniale o di un sacrificio della sfera non patrimoniale del soggetto colpito, che siano conseguenti alla lesione dell’interesse tutelato (danno conseguenza).

Per quanto riguarda la dimostrazione del danno derivante dalla lesione degli interessi legittimi pretensivi (ossia degli interessi rivolti ad ottenere un provvedimento favorevole da parte della pubblica amministrazione), non è sufficiente la dimostrazione della illegittimità del provvedimento impugnato che nega all’interessato l’utilità richiesta giacché l’amministrazione, nel riesercitare il potere dopo aver emendato l’atto dai vizi riscontrati in sede giurisdizionale, potrebbe comunque ribadire il diniego.

E’ evidente che in questa ipotesi non vi è alcun danno risarcibile in quanto, se è vero che il provvedimento amministrativo che nega al privato il bene della vita è stato ritenuto illegittimo, è anche vero che il privato stesso, stante il nuovo diniego, non può in ogni caso ottenere quel bene; sicché nessun danno può derivargli dal provvedimento annullato lesivo dei suoi interessi legittimi.

E’ quindi necessario, affinché la domanda risarcitoria possa essere accolta, che l’istante dimostri anche che il provvedimento illegittimo gli abbia sottratto ingiustamente – o gli abbia fatto comunque conseguire con ritardo – il bene della vita cui egli aspira, e del quale avrebbe dovuto godere sin dal momento in cui l’amministrazione, utilizzando male i suoi poteri, ha emesso il primo provvedimento di diniego (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 15 settembre 2005, n. 7; T.A.R. Toscana Firenze, sez. II, 18 febbraio 2011, n. 341; T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 12 maggio 2008, n. 3881).

Ciò premesso va osservato che nel caso concreto, il provvedimento con il quale l’Amministrazione, dopo un primo diniego, ha deciso di accogliere l’istanza del ricorrente, non ha riconosciuto che il bene della vita cui questi aspirava (la possibilità di aprire una sala giochi) spettava a quest’ultimo sin dal momento in cui è stato emesso il provvedimento impugnato.

L’Amministrazione al contrario, riferisce nel proprio atto, con il quale è stato annullato il provvedimento di rigetto dell’istanza, che le ragioni ostative all’apertura dell’esercizio sono venute meno solo in un secondo momento; e che quindi correttamente, in prima battuta, era stata rigettata l’istanza proposta dall’interessato.

In particolare, come anticipato, il diniego all’apertura della sala giochi è stato opposto in quanto, secondo il parere degli organi tecnici comunali competenti, ciò avrebbe comportato un forte aumento di traffico sulla strada in cui è ubicato l’esercizio, con conseguente incremento dei problemi di scorrimento veicolare e di parcheggio. Successivamente l’Amministrazione – dopo aver rilevato che, da un lato, era nel frattempo intervenuto lo spostamento di una banca, in precedenza ubicata in prossimità dei locali ove doveva essere svolta l’attività commerciale della ricorrente e, da altro lato, che sulla strada che fronteggia l’esercizio era prossima la soppressione della corsia riservata ai mezzi pubblici con conseguente beneficio generale per lo scorrimento veicolare – ha mutato il proprio orientamento accogliendo la domanda dapprima rigettata.

Come si vede la determinazione positiva è dovuta al sopraggiungere di nuove circostanze non presenti nel momento in cui è stato opposto il diniego (il trasferimento della banca è avvenuto, per stessa ammissione della difesa di parte ricorrente, in data 21 giugno 2010, e la deliberazione n. 313 con cui è stata approvata la revisione dell’assetto viabilistico della strada è del 25 maggio 2010; mentre il provvedimento impugnato è stato adottato in data 21 maggio 2010); per questa ragione il provvedimento successivo di annullamento dell’atto impugnato in questa sede non può di per sé dimostrare la spettanza iniziale del bene della vita al ricorrente.

Non è quindi sufficiente addurre la sussistenza del nuovo atto per dimostrare che l’Autorità amministrativa avrebbe dovuto sin da subito accogliere l’istanza dell’interessato.

D’altro canto non possono portare a tale conclusione neppure i motivi di censura sostanziale dedotti nel ricorso, giacché la valutazione compiuta dalla pubblica amministrazione in materia costituisce espressione di discrezionalità amministrativa che può essere sindacata dal giudice nei limiti dell’eccesso di potere, e quindi quando la stessa presenti profili di palese irrazionalità, sia affetta da travisamento di fatti, ovvero quando l’autorità, nell’operazione di graduazione degli interessi, non abbia tenuto conto di tutti gli interessi coinvolti.

Nel caso concreto, l’Autorità amministrativa, anche dopo aver valutato, a seguito dell’ordinanza cautelare emessa dalla Sezione, le memorie procedimentali prodotte dall’interessata, ha ribadito che, in ragione delle sue caratteristiche strutturali, sussistenti al momento di emanazione del provvedimento impugnato, la strada avrebbe mal tollerato l’aumento del volume di traffico veicolare dovuto alla presenza della sala giochi. Per tale ragione ha ribadito che, con riferimento al momento di emanazione del suindicato provvedimento, tale presenza era inopportuna e pericolosa.

Questo giudice non può sostituire il proprio giudizio a quello effettuato dall’amministrazione (questa volta tenendo conto di tutte le argomentazioni addotte a sostegno degli interessi del ricorrente); né appaiono emergere dallo stesso profili di palese irrazionalità giacché è indubbio che l’insediamento di una struttura recettiva di intrattenimento (quale è una sala giochi) può comportare un notevole incremento del carico viabilistico della zona, e che non può essere valutata in questa sede l’adeguatezza degli elementi addotti dall’interessata (quali la presenza di altri parcheggi, la distanza dalla scuola, la collocazione arretrata dei locali rispetto alla strada) in ordine alla possibilità di elidere gli inconvenienti causati da tale aumento del traffico veicolare.

Per queste ragioni va ribadito che, nel caso concreto, non può dirsi vi fossero sicuramente le condizioni per accordare sin da subito al ricorrente il bene della vita cui questi aspirava; di conseguenza la domanda risarcitoria deve essere respinta.

In conclusione, per le ragioni illustrate, deve essere dichiarata cessata la materia del contendere con riferimento alla domanda di annullamento del provvedimento impugnato; mentre va respinta la domanda di risarcimento danni.

Sussistono nondimeno giustificate ragioni per disporre la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara cessata la materia del contendere e respinge la domanda risarcitoria.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *