Cass. civ. Sez. V, Sent., 13-10-2011, n. 21134 Imposta valore aggiunto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La controversia concerne l’impugnazione di un avviso di rettifica IVA con il quale veniva disconosciuto un credito di imposta alla società Athena s.r.l. (già Nuova Immobiliare Il Rossellino s.a.s.) in relazione a fatture per operazioni inesistenti emesse dalle ditte Europa Costruzioni soc. coop e Maceba Generappalti ed irrogate le conseguenti sanzioni.

La Commissione adita accoglieva il ricorso, dando rilevanza a quanto affermato nella relazione del curatore della B-IMPRESIT e in una perizia stragiudiziale di parte, nonostante le ditte che avrebbe emesso le supposte fatture inesistenti erano altre.

L’appello dell’Ufficio era accolto, con la sentenza in epigrafe, la quale, a seguito di un analitico esame del verbale GdF, riteneva giustificato l’accertamento, argomentando anche dalle inspiegabile anomalie registrate nei supposti pagamenti della società contribuente alle ditte emittenti le fatture contestate.

Avverso tale sentenza la società contribuente propone ricorso per cassazione con quattro articolati motivi. Resiste l’amministrazione con controricorso.

MOTIVAZIONE
Motivi della decisione

Con il primo motivo, la società ricorrente deduce l’efficacia vincolante del giudicato penale di assoluzione stante l’identità dei presupposti fattuali. Il motivo è infondato. Questa Corte ha, infatti, costantemente affermato che ai sensi dell’art. 654 cod. proc. pen., che ha implicitamente abrogato il D.L. n. 429 del 1982, art. 12 (convertito nella L. n. 516 del 1982), poi espressamente abrogato dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 25 l’efficacia vincolante del giudicato penale non opera automaticamente nel processo tributario, poichè in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale) e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Nessuna automatica autorità di cosa giudicata può quindi attribuirsi, nel separato giudizio tributario, alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa, in materia di reati tributari, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Ne consegue che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti ( art. 116 cod. proc. civ.) deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare" (Cass. n. 3724 del 2010; v. anche Cass. n. 1014 del 2008 con riferimento alla fattispecie di fatture inesistenti). Non rileva nella specie la richiamata sentenza delle Sezioni Unite, n. 13916 del 2006, che riguarda fattispecie del tutto diversa (e non coinvolge il giudicato penale, ma altro giudicato tributario che vede protagoniste le sette parti del processo). Con il secondo motivo, la società ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 e dell’art. 2697 c.c., nonchè vizio di motivazione, in quanto il giudice di merito avrebbe superato l’eccezione sollevata da essa ricorrente circa la mancata produzione del verbale GdF, acquisendolo in giudizio ex officio.

Il motivo non è fondato. Il verbale di cui si parla, come emerge dalla sentenza impugnata, era stato prodotto in giudizio connesso relativo ad altra annualità di imposta oggetto del medesimo accertamento: esso, peraltro, si palesa come un documento necessario per la pronuncia di una sentenza ragionevolmente motivata, sicchè sarebbe persino illegittimo un eventuale rifiuto del giudice tributario ad esercitare i poteri istruttori riconosciuti dalla norma (v. Cass. nn. 7678 del 2002; 16161 del 2003; 905 del 2006) Con il terzo motivo, la società ricorrente deduce, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, l’errata configurazione di "fatture inesistenti" nella specie.

Il motivo non è fondato. Infatti, "in tema di IVA, la nozione di fattura inesistente va riferita non soltanto all’ipotesi di mancanza assoluta dell’operazione fatturata, ma anche ad ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale" (Cass. n. 6378 del 2006) e nel caso di specie questa divergenza era ben rappresentata dalle anomalie nelle procedure di pagamento delle operazioni, analiticamente esaminate dalla sentenza impugnata, in esito alle quali l’emittente della fattura non era mai l’effettivo percettore del pagamento dell’operazione fatturata.

Con il quarto motivo, la società ricorrente denuncia, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, l’omessa pronuncia del giudice di merito in ordine alle sanzioni irrogate e alla richiesta applicazione del principio del favor rei.

Il motivo non è fondato. La società ricorrente afferma di aver sollevato la questione con il ricorso originario, non risulta, tuttavia, nè dal ricorso, nè peraltro dalla sentenza impugnata, che il giudice di primo grado si sia pronunciato sul punto. Se questa mancata pronuncia fosse dovuta, come è pur ragionevole credere, al fatto che quel giudice abbia ritenuto tale eccezione assorbita nella decisione di accoglimento del ricorso con l’annullamento dell’atto impositivo, allora la società ricorrente avrebbe avuto l’onere di riproporre l’eccezione in appello: come ha rilevato questa Corte ®la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, difettando di interesse al riguardo, non ha l’onere di proporre, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, appello incidentale per richiamare in discussione "le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado", da intendersi come quelle che risultino superate o non esaminate perchè assorbite o anche quelle esplicitamente respinte qualora l’eccezione mirava a paralizzare una domanda comunque respinta per altre ragioni, ma è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel giudizio di appello in modo tale da manifestare la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo, ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ." (Cass. n. 24021 del 2010). Ma tanto la società ricorrente non afferma di aver fatto e sotto questo profilo il ricorso appare assolutamente non autosufficiente.

Pertanto, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese della presente fase del giudizio che liquida in Euro 3.500,00 oltre spese prenotate a debito ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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