Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 28-04-2011) 09-06-2011, n. 23351 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) G.G.F. ha proposto ricorso avverso l’ordinanza 18 giugno 2010 della Corte d’Appello di Roma che ha dichiarato inammissibile la domanda di riparazione per l’ingiusta detenzione subita – dal 28 gennaio al 12 marzo 2004 (dal 25 febbraio 2004 agli arresti domiciliari) – a seguito dell’emissione nei suoi confronti di ordinanza applicativa della custodia cautelare per i delitti di maltrattamenti in famiglia e di lesioni volontarie aggravate nei confronti della moglie e della figlia.

La Corte ha rilevato che l’istante era stato assolto dal delitto di maltrattamenti in famiglia e condannato per quello di lesioni volontarie. Ha quindi escluso che la riparazione fosse dovuta in base all’art. 314 cod. proc. pen., comma 1 perchè l’assoluzione non era intervenuta per tutti i reati contestati e la pena definitivamente inflitta era superiore alla custodia cautelare subita; e ha escluso altresì il diritto all’indennizzo in base al disposto del secondo comma della norma indicata.

2) Contro l’ordinanza della Corte d’Appello ha proposto ricorso l’istante il quale ha dedotto il vizio di violazione di legge e quello di motivazione con riferimento alla ritenuta ingiustizia sia formale che sostanziale della carcerazione.

Nel ricorso si ricostruisce la vicenda che ha condotto alla carcerazione preventiva dell’istante e si indicano le ragioni in base alle quali la ricostruzione effettuata dai giudici del merito non fosse corretta e come esistano conseguentemente i presupposti per la riparazione.

Il ricorrente ha depositato motivi nuovi sottoscritti personalmente, e dunque inammissibili, con i quali chiede invece gli venga riconosciuta la riparazione.

Si è costituita in giudizio l’Avvocatura dello Stato per conto del Ministero dell’economia e delle finanze che ha chiesto il rigetto del ricorso e la cancellazione di alcune frasi ritenute offensive contenute nei motivi aggiunti e ritenute offensive con la condanna del ricorrente al pagamento di Euro 1,00 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale.

3) Il ricorso, ai limiti dell’ammissibilità, è infondato e deve quindi essere rigettato.

E’ ovviamente inammissibile nella parte in cui pretende di ricostruire le vicende processuali in esito alle quali l’istante è stato condannato per il solo reato di lesioni volontarie indicando le ragioni in base alle quali avrebbe dovuto essere assolto. Ma è infondato anche sotto gli altri profili dedotti.

Sotto il profilo dell’ingiustizia cd. "sostanziale" va infatti osservato che il ricorrente – anche se soltanto per uno dei reati che gli erano stati contestati con l’ordinanza applicativa della custodia cautelare – è stato condannato e quindi astrattamente non esiste (salvo quanto si dirà più avanti) il presupposto per il riconoscimento della riparazione previsto dall’art. 314 cod. proc. pen., comma 1. Il tenore di questa norma richiede che la persona sottoposta a misura cautelare sia stata "prosciolta"; l’unico problema che potrebbe porsi riguarda il caso in cui la condanna sia intervenuta per un reato per il quale non sia stata emessa la misura cautelare ma nel nostro caso ciò non è avvenuto nè vi è contestazione sul punto.

4) Ma il discorso merita un approfondimento sotto un diverso aspetto.

Com’è noto la Corte costituzionale, con sentenza 11 giugno 2008 n. 219, ha dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 314 cod. proc. pen. "nella parte in cui, nell’ipotesi di detenzione cautelare sofferta, condiziona in ogni caso il diritto all’equa riparazione al proscioglimento nel merito delle imputazioni secondo quanto precisato in motivazione".

La Corte ha ritenuto che non fosse possibile dare un’interpretazione "costituzionalmente orientata" della norma citata ma – rifacendosi alla sua precedente giurisprudenza ed in particolare alle decisioni che avevano riaffermato la natura "servente" della custodia cautelare rispetto al perseguimento delle finalità del processo e alla necessità di bilanciare gli interessi in gioco (esigenze di tutela della collettività e temporaneo sacrificio della libertà personale per chi non sia stato ancora definitivamente giudicato colpevole) – è pervenuta alla conclusione che ove "la custodia cautelare abbia ecceduto la pena successivamente irrogata in via definitiva è di immediata evidenza che l’ordinamento, al fine di perseguire le predette finalità, ha imposto al reo un sacrificio direttamente incidente sulla libertà che, per quanto giustificato alla luce delle prime, ne travalica il grado di responsabilità personale." E ha concluso precisando che "solo in apparenza la posizione di chi sia stato prosciolto nel merito dell’imputazione penale si distingue da quella di chi sia stato invece condannato (quanto, ovviamente, al solo giudizio circa l’ingiustizia della custodia cautelare che soverchi la pena inflitta)" perchè in entrambi i casi "l’imputato ha subito una restrizione del proprio diritto inviolabile. In entrambi i casi, pertanto, ricorre l’obbligo di indennizzare il pregiudizio".

La naturale conseguenza di queste argomentazioni è stata la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 314 per violazione del principio di uguaglianza disciplinato dall’art. 3 Cost. secondo le argomentazioni contenute nella motivazione e succintamente riassunte in precedenza.

5) Come potrebbe influire questa decisione nel caso in esame (diverso da quello nel quale è intervenuto il giudice delle leggi che aveva ad oggetto un reato dichiarato prescritto nel giudizio di appello per il quale era stata subita una carcerazione preventiva di durata superiore a quella della condanna inflitta in primo grado ma non appellata dal pubblico ministero)? L’unica possibilità di un riconoscimento parziale della riparazione potrebbe aversi nel solo caso in cui la condanna definitivamente inflitta avesse una durata inferiore a quella della custodia cautelare subita. Ma così non è perchè la durata di quest’ultima è stata inferiore a quella della pena definitiva.

Nè può affermarsi, come fa il ricorrente, che ricorra un caso di ingiustizia cd. "formale" perchè la misura cautelare non è stata annullata nè è emersa successivamente la sua illegittima applicazione.

6) Alle considerazioni in precedenza svolte consegue il rigetto del ricorso con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Sussistono giusti motivi per l’integrale compensazione delle spese tra le parti. Non si ritengono esistenti i presupposti per l’accoglimento delle richieste formulate, dal Ministero resistente, ai sensi dell’art. 598 c.p., comma 2 trattandosi di espressioni forti e "colorite" che non possono peraltro essere ritenute offensive.
P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, Sezione 4^ penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Spese compensate.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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