Cons. Stato Sez. IV, Sent., 10-06-2011, n. 3527

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’appello investe la sentenza del TAR Lazio, Sez. I, n. 4924 del 2010 reiettiva del ricorso proposto dal dott. R. R. avverso la delibera di data 4.02.2009 del Consiglio Superiore della Magistratura con la quale egli è stato dichiarato non idoneo ad essere ulteriormente valutato ai fini della nomina alle funzioni direttive superiori e del contestuale conferimento di un ufficio corrispondente a tali funzioni, ai sensi della legge n. 831/1973, ed avverso il susseguente D.M. 26.02.2009 di presa d’atto e la circolare del C.S.M. n. 20691 dell’8.10.2007.

L’appellante riferisce di essere stato dichiarato idoneo ad essere ulteriormente valutato ai fini della nomina a magistrato di cassazione, con riconoscimento della VI fascia di valutazione di professionalità, e di essere, da ultimo, stato sottoposto a scrutinio ai fini della dichiarazione di idoneità alle funzioni direttive superiori per il periodo di valutazione compreso tra il 5.04.1997 ed il 5.04.2005 e per vedersi riconoscere, ad ogni effetto giuridico ed economico, il positivo conseguimento della VII valutazione di professionalità a far data dal 5.04.2005.

Espone che in sede istruttoria sono stati acquisiti il rapporto favorevole del Presidente del Tribunale di Roma ed il parere, positivo a maggioranza, del Consiglio giudiziario di Roma e lamenta che il C.S.M., abbia ricostruito in modo incompleto le vicende relative alle precedenti valutazioni di professionalità, non avendo tenuto conto della sentenza del TAR Lazio n. 6637/2005 di annullamento della precedente delibera del C.S.M. del 9.06.2004 nella parte in cui aveva valutato negativamente il dr. R. con decorrenza dal 5.04.91.

L’appellante dichiara di prestare acquiescenza alla sentenza di primo grado limitatamente al rigetto del primo motivo del ricorso e ne contesta l’erroneità con riferimento alla reiezione degli altri due motivi, che ripropone.

Contesta, quanto al secondo motivo dedotto in primo grado di "eccesso di potere per erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria", che il TAR non abbia considerato che il CSM, nella delibera impugnata, aveva omesso di tener conto della predetta sentenza n. 6637/2005, che risulterebbe di assoluta rilevanza nell’attuale valutazione di professionalità perché l’annullamento della precedente delibera del CSM è stato motivato proprio e soltanto in relazione alle medesime circostanze, ossia i precedenti disciplinari, su cui si basa la delibera attualmente impugnata, mentre il riferimento all’autonomia delle valutazioni non varrebbe ad elidere il vizio attinente all’istruttoria effettuata dall’organo di autogoverno.

La sentenza è criticata, inoltre, quanto alla reiezione del terzo motivo di primo grado ("eccesso di potere per difetto di motivazione, illogicità, difetto dei presupposti") sostenendosi l’erroneità dell’avallo dato alla legittimità della delibera del CSM, in contrasto con le valutazioni esposte dallo stesso giudice di primo grado con la sentenza n. 6637/05; l’appellante rimarca che il CSM avrebbe dovuto in ogni caso spiegare le regioni per le quali, dopo la valutazione favorevole espressa con la delibera adottata il 9.04.2004 (decorrenza dal 1991) in ordine al possesso dei requisiti di prestigio e di affidabilità, a distanza di ulteriori anni di servizio egli sia divenuto privo di prestigio e di affidabilità senza alcun fatto nuovo ma anzi in presenza di valutazioni tutte favorevoli da parte del consiglio giudiziario e dei capi degli uffici giudiziari presso i quali ha prestato servizio; proverebbe troppo l’unico elemento, invece, utilizzato dal CSM – e condiviso dal TAR – per giustificare perché i fatti disciplinari potessero esplicare di nuovo valenza negativa, vale a dire quello che l’idoneità negata consentirebbe l’accesso agli incarichi direttivi superiori, considerato che la qualifica posseduta dal dr. R. gli avrebbe consentito, già sulla base del precedente ordinamento, di poter accedere a posti quale quello di presidente aggiunto della Corte di Cassazione e di presidente del T.S.A.P. e che la legge n. 111/2007, in vigore al momento dell’adozione della delibera del CSM impugnata gli consente di partecipare alle procedure selettive per l’assegnazione di tutti gli incarichi direttivi, con esclusione della sola funzione di primo presidente della Corte di Cassazione. Stigmatizza, inoltre, come derisorio nei confronti di un magistrato ormai prossimo alla pensione il rilievo del C.S.M. che solo un’osservazione particolarmente prolungata nel tempo avrebbe potuto far ritenere superata la valenza negativa delle condanne disciplinari.

Si sono costituiti il Consiglio Superiore ed il Ministero intimati, che sostengono, in memoria, la piena con divisibilità della sentenza impugnata.

L’appellante, con atto di replica, ulteriormente richiama e valorizza la sentenza del TAR Lazio n. 6637/2005 e la confermativa decisione n. 4597/2010 di questa Sezione intervenuta successivamente al deposito della sentenza in esame.

Il ricorso in appello è stato posto in decisione all’udienza dell’1.03.2011.
Motivi della decisione

La controversia concerne la valutazione di non idoneità dell’appellante alle funzioni direttive superiori espressa dal C.S.M. con delibera del 4.02.2009, che fa perno sull’aspetto della relativa "immagine", ritenuto inibente ("siccome i predetti requisiti di prestigio e affidabilità sono indispensabili in via autonoma rispetto ad altri parametri rilevanti ai fini della valutazione di professionalità, la loro carenza non può essere bilanciata da positive considerazioni in ordine ai profili di preparazione, capacità, laboriosità o diligenza").

Il C.S.M. ricostruisce alcune vicende disciplinari dell’odierno appellante evidenziando che questi ha riportato tre condanne disciplinari irrevocabili: in data 26.11.1990 sanzione dell’ammonimento per ritardi nei depositi di sentenze civili accertati nel 1987 e nel 1988 e protrattisi in taluni casi anche per più di due anni e mezzo dalla data di discussione; in data 31.01.1992 sanzione della perdita di anzianità per anni uno perché, in concorso con il direttore generale pro tempore della Banca Popolare di Spoleto, nel dicembre 1980, distraeva dalla disponibilità della medesima banca la somma di Lire 179.954.829 e, attraverso complesse operazioni bancarie, ne accreditava l’importo sul conto intestato alla propria moglie e da lui stesso garantito, così ripianando il corrispondente debito (vicenda oggetto di giudizio penale concluso con sentenza di non doversi procedere per amnistia); in data 18.10.199 sanzione della perdita di anzianità di anni due per aver fatto parte della massoneria per diciotto anni, affiliandosi nel 1975, ossia in epoca successiva all’ingresso in magistratura e dissociandosi formalmente dalla stessa solo nel 1993 e dopo aver prestato in data 8.04.1991 "promessa solenne di IV grado".

L’Organo di autogoverno, richiamati indirizzi giurisprudenziali consolidati, ha ritenuto "che i gravi fatti verificatisi nel corso della carriera…- e, precisamente i ritardi nel deposito delle sentenze, sanzionati con l’ammonimento, nonché, soprattutto, il coinvolgimento in fattispecie di rilevanza penale ai fini di vantaggio patrimoniale, sanzionato con la perdita di anzianità per anni uno e la partecipazione alla Massoneria per diciotto anni (dal 1975 al 1993) fino alla prestazione della "promessa solenne di IV grado" in data 8.4.1991, sanzionata con la perdita di anzianità per anni due – presentano, anche per la loro concomitanza, valenza estremamente significativa, ed in chiave fortemente negativa, per l’immagine del magistrato sottoposto a scrutinio. Né può obiettarsi che gli stessi siano già stati valutati, e positivamente superati, in occasione di precedente scrutinio, compiuto per il riconoscimento della qualifica di magistrato di cassazione, in quanto, come si è già rilevato nell’elaborazione giurisprudenziale riferita, la presente valutazione, a differenza di quella precedente, consente di conseguire una qualifica che abilita a dirigere uffici giudiziari apicali e comunque di grande importanza e delicatezza, in relazione ai quali, cioè, è particolarmente necessario il godimento di una indiscussa fiducia e di un amplissimo prestigio nella collettività. Solo un’osservazione particolarmente attenta e prolungata nel tempo potrà consentire di ritenere superata la valenza negativa attribuibile ai fatti oggetto delle condanne disciplinari e di reputare acquisiti… quei requisiti di prestigio e di affidabilità assolutamente necessari per conseguire la dichiarazione di idoneità" in questione.

L’appellante contesta, innanzitutto, che il C.S.M non abbia tenuto conto nella sua istruttoria della modificazione del suo stato di servizio intervenuta a seguito dell’annullamento giurisdizionale della richiamata delibera del 2004, relativa alla valutazione ai fini della nomina a magistrato di cassazione, la cui motivazione si basa su identici elementi di fatto (i precedenti disciplinari), e che il TAR non abbia considerato, benché la questione fosse stata puntualmente sollevata col secondo motivo del ricorso di primo grado, il vizio attinente all’istruttoria.

Tale censura non persuade. Nella deliberazione del 4.2.2009 viene richiamata la precedente delibera 9.6.2004 che aveva valutato l’odierno appellante "negativamente con decorrenza dal 5.4.1991 e positivamente con decorrenza 5.4.1997" in ordine alla VI fascia di valutazione di professionalità. Il dr. R. aveva impugnato detta delibera quanto alla valutazione con decorrenza 1991 ed il TAR Lazio, con la sentenza n. 3367/2005 ha accolto il ricorso, ai fini di una nuova valutazione, ora per allora, della posizione del ricorrente, in considerazione delle rilevate carenze in punto di istruttoria e di motivazione (evidenziando che, per un verso, non si percepiva se il ricorrente, al di là dei fatti acclarati e già sanzionati con ammonimento fosse incorso in ulteriori ed effettivi ritardi nel periodo valutativo di riferimento, non essendo chiaro se i dati esposti si riferivano alla pubblicazione dei provvedimenti ovvero al deposito delle minute, e, quanto all’appartenenza alla massoneria, che i dirigenti degli uffici avevano evidenziato l’assenza di risultanze in ordine alla lesione del valore cardine dell’indipendenza del magistrato e che l’illiceità dell’affiliazione era stata sancita in modo univoco solo nel luglio 1993).

Una menzione di tale pronuncia (che non modifica direttamente lo stato di servizio ma rimanda ad una nuova valutazione del C.S.M.) nel contesto della motivazione della deliberazione impugnata sarebbe stata pertinente, ma non risulta, in concreto, necessaria a delineare i termini essenziali della vicenda – onde la mancata menzione della stessa non denota alcun profilo sintomatico di eccesso di potere – tenuto conto che la medesima deliberazione del 2004 aveva già autonomamente riconosciuto, sebbene con decorrenza diversa, l’idoneità all’ulteriore valutazione ai fini della nomina a magistrato di cassazione. I presupposti della deliberazione impugnata sono, dunque, costituiti dall’esistenza, per un verso, dei precedenti disciplinari e, per altro verso, di una precedente valutazione positiva di idoneità (la cui decorrenza non riveste nel contesto particolare significato) in relazione alla precedente tappa della progressione valutativa; valutazione, questa, espressa nel senso (riferito nel provvedimento ora in esame) che "l’originario vulnus inflitto all’immagine di imparzialità e di indipendenza che deve assistere l’attività del magistrato, unito ad un lasso di tempo ormai significativo, che allontana e rende non più attuali le riserve e i giudizi negativi che sono stati espressi sulla professionalità del magistrato, sia stato sanato".

Pienamente condivisibile è, quindi, il rilievo centrale, per la soluzione della controversia, dato dal giudice di primo grado alla connotazione di "spiccata autonomia" che la valutazione per la verifica dei requisiti personali, morali e professionali, necessari per l’assunzione di funzioni direttive superiori assume, trattandosi di attività che comportano maggiore esposizione relazionale e maggiore visibilità, rispetto ad ogni altra valutazione precedente rivolta ad altri, seppur analoghi, scopi. Autonomia, sottolineata con riferimenti all’elaborazione giurisprudenziale, che nel provvedimento impugnato si rivendica e giustifica in considerazione della grande importanza e delicatezza della direzione di uffici apicali, che richiedono "indiscussa fiducia" e "amplissimo prestigio nella collettività".

Al riguardo, il Collegio non ritiene di discostarsi dal concorde indirizzo della giurisprudenza, rammentando, in particolare, che la valutazione per l’idoneità alle funzioni direttive superiori è preordinata, in primo luogo, all’interesse ed ai fini organizzativi della magistratura, trattandosi di funzioni ulteriori e diverse da quelle giudicanti e requirenti.

Proprio detta autonomia l’appellante tende a sminuire con le argomentazioni addotte a sostegno della riproposta contestazione di cui al terzo motivo del ricorso di primo grado ("eccesso di potere per difetto di motivazione, illogicità, difetto dei presupposti, etc."), che, si indica, "attiene al merito del provvedimento impugnato".

Queste consistono nell’ulteriore richiamo alla sentenza n. 6637/2005, riferita però ad una diverso grado della progressione valutativa, e nel rilievo che la qualifica posseduta già gli consentiva, sulla base del precedente ordinamento, e gli consente, dopo l’entrata in vigore delle legge n. 111/2007, di partecipare alle procedure selettive per l’assegnazione di importanti incarichi direttivi, con esclusione della sola funzione di primo presidente della Corte di Cassazione; argomento, questo, che, ad avviso del Collegio, corrobora, piuttosto che smentire, l’esigenza di una apposita e particolarmente attenta valutazione (non necessariamente appiattita su altre precedenti, improntate sui medesimi elementi di giudizio ma rapportati ad inferiore fascia di valutazione, come nella sostanza suggerito dall’appellante) del profilo dell’integrità dell’immagine professionale e deontologica del magistrato sottoposto a valutazione.

Ai fini in esame il giudizio del C.S.M. va esteso ad ogni elemento utile a formulare la più appropriata valutazione complessiva della professionalità dell’interessato, ivi incluse anche le eventuali condotte individuali che in precedenza abbiano formato oggetto di provvedimenti disciplinari; va, pertanto, escluso che, come sostenuto dall’appellante, il C.S.M. dovesse "indicare quali fatti nuovi erano sopravvenuti per far ritenere non più attuale il positivo giudizio relativo" alla precedente valutazione per la VI fascia, come se solo fatti nuovi potessero essere ormai presi in considerazione.

Attengono, poi, al merito della valutazione contestata gli ulteriori spunti critici forniti, anche nella memoria di replica, in ordine all’apprezzamento, come "gravi", dei precedenti disciplinari cui è ricollegata la valutazione di inidoneità ed alla ipotizzabilità, consideratane la risalenza ed alla luce di un esame sereno ed imparziale della documentazione, di un loro perdurante risalto.

Va, al riguardo, rammentato che l’ambito del sindacato giurisdizionale sugli atti del C.S.M., per concorde giurisprudenza (v., recentemente, Cons. Stato, sez. IV, 9 agosto 2010, n. 5445), è ristretto alla estrinseca legittimità del provvedimento adottato, essendo inibito al giudice amministrativo sovrapporre una propria valutazione a quella effettuata dall’organo cui tale potere spetta in via esclusiva.

Nella specie la motivazione, concisa ma efficace, del provvedimento consente di seguire l’iter decisionale seguito dal C.S.M., che non rivela manifesti profili di illogicità; in particolare, quanto all’aspetto della valutazione di perdurante influenza dei precedenti disciplinari sul prestigio, rapportato alle funzioni superiori, del magistrato, ragionevolmente il C.S.M. ha soppesato aspetti di carattere oggettivo, riferendosi, da un lato, dalla tipologia dei fatti e connessa entità della sanzione per essi irrogata e, dall’altro, del tempo occorrente, in relazione alla relativa gravità, a eliderne l’effetto pregiudizievole ai fini considerati, piuttosto che quello soggettivo dell’età avanzata del magistrato.

L’appello deve, pertanto, essere respinto.

Sussistono giusti motivi di compensazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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