Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 28-04-2011) 09-06-2011, n. 23294 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S.G. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella di primo grado, lo ha riconosciuto colpevole del reato di detenzione illecita di droga (trattavasi di cocaina contenuta in un unico involucro, del peso di grammi 74,774 e percentuale di principio attivo del 75 per cento, in grado di consentire di ricavarne n. 445 dosi medie).

Con il ricorso contesta il giudizio di responsabilità, con specifico riferimento alla ravvisata finalità di illecita destinazione della droga.

Contesta, altresì, il diniego dell’attenuante del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

Quanto al primo motivo, la sentenza di appello, confermando sul punto quella di primo grado, ha infatti sviluppato analitica motivazione sugli elementi probatori in forza dei quali doveva ritenersi provata la destinazione illecita della droga, quanto meno per la maggior parte del quantitativo detenuto (con attribuito rilievo al dato quantitativo, inconciliabile con la destinazione all’uso personale in ragione del contesto, sul rilievo che, pur in considerazione delle disponibilità economiche dimostrate dal prevenuto, tale quantitativo era inconciliabile con un "accumulo" per riserva personale così importante; con spiegazione non irragionevole della ritenuta irrilevanza, per fondare l’uso personale, del mancato frazionamento in dosi e della condizione di assuntore di sostanza stupefacente: con riferimento al primo profilo, vertendosi comunque in ipotesi di trasporto che poteva essere foriera al frazionamento solo successivo;

con riferimento all’altro, perchè non era stato dimostrato un grado di tossicodipendenza tale da giustificare un accumulo così consistente).

La censura proposta sia risolve nella contestazione degli argomenti sviluppati concordemente dai giudici di merito e, quindi, è squisitamente di merito, evocando una rinnovazione dell’apprezzamento probatorio che il giudice ha sviluppato con motivazione satisfattiva.

La Corte ha fatto, in vero, corretta applicazione del principio secondo cui, in materia di stupefacenti, la valutazione in ordine alla destinazione della droga va effettuata dal giudice di merito, ogni qualvolta la condotta non appaia indicativa della immediatezza del consumo, tenendo conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive del fatto e, in particolare, dei parametri indicati nel D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1 bis, lett. a), ("quantità", "modalità di presentazione", "altre circostanze dell’azione"), che appunto costituiscono criteri probatori idonei ad orientare la valutazione del giudice in ordine alla dimostrazione della destinazione "ad un uso non esclusivamente personale", tale da integrare l’illecito penale (tra le tante, Sezione 4, 15 giugno 2010, Mennonna ed altro, non massimata).

Tale apprezzamento è sindacabile in sede di legittimità soltanto sotto il profilo della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione: ciò che qui è da escludere proprio in ragione di una motivazione ampiamente satisfattiva.

Corretto è anche il diniego dell’attenuante del fatto di lieve entità, spiegato dal giudicante in sostanza valorizzando negativamente il quantitativo importante della droga, desumibile dal fatto che la maggior parte di questa doveva considerarsi destinata a terzi.

Il giudice ha, quindi, fatto corretta applicazione del principio in forza del quale, ai fini della concedibilità o del diniego della circostanza attenuante del fatto di lieve entità ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5), il giudice è tenuto a complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa): dovendo, conseguentemente, escludere la concedibilità dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi (qui, evidentemente, quello quantitativo) porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di "lieve entità" (di recente, Sezione 4, 19 gennaio 2011, Proc. gen. App. Napoli ed altro in proc. Prota, non massimata).

Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1000,00 (mille) a titolo di sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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