Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 28-04-2011) 09-06-2011, n. 23290

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Perugia, con sentenza del 20.07.2009, dichiarava R.H. colpevole in ordine al reato di cui agli artt. 582 e 585 c.p. (così derubricata l’imputazione di tentato omicidio) e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 e, esclusa l’aggravante di cui all’art. 62 c.p., n. 2, riconosciuta la continuazione, disapplicata la contestata recidiva e concessa l’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, lo condannava alla pena di anni tre di reclusione ed Euro 3.500,00 di multa oltre al pagamento delle spese processuali.

La Corte di appello di Perugia, con sentenza datata 23.03.2010, oggetto del presente ricorso, confermava la sentenza emessa nel giudizio di primo grado nei confronti di R.H. e dallo stesso appellata e lo condannava al pagamento delle spese processuali del grado.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione R. H. personalmente e concludeva chiedendone l’annullamento con ogni conseguente statuizione.
Motivi della decisione

R.H. ha censurato la sentenza impugnata per i seguenti motivi:

1) nullità della pronuncia per inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale, nonchè di norme di cui occorre tenere conto nell’applicazione della legge penale e segnatamente ex art. 606 c.p.p., n. 1, lett. b), in quanto la contestazione suppletiva, con riferimento al delitto di cui all’art. 81 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, andava effettuata ai sensi dell’art. 518 c.p.p., e mancanza o manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e). Secondo il ricorrente infatti la contestazione suppletiva in ordine all’ulteriore reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 non poteva essere effettuata ai sensi dell’art 517 c.p.p., ma andava effettuata ai sensi dell’art. 518 c.p.p., non essendovi connessione a norma dell’art. 12, comma 1, lett. b) tra la contestazione suppletiva ed i "reati contestati, posto che da nulla risultava essere stata una offerta di sostanza stupefacente la sera in cui si verificarono i fatti contestati all’imputato, nè che quella sera fosse sorta una lite tra l’imputato e la persona da lui ferita B.A., detto "(OMISSIS)". 2) inosservanza o erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., n. 1, lett. a) laddove la Corte di appello di Perugia ha posto a fondamento della colpevolezza di R.H. per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 una piattaforma contraddittoria insufficiente e contraddittoria, contravvenendo ai principi ispiratori dell’art. 530 c.p.p., comma 2, in quanto, a tal fine, sarebbero insufficienti le dichiarazioni rese dalla teste Re.Va..

3) Nullità della pronuncia ex art. 606 c.p.p., lett. b) per mancata assunzione di una prova decisiva laddove la Corte di Appello ha rigettato la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, in quanto la Corte territoriale avrebbe erroneamente rigettato la richiesta di rinnovazione del dibattimento avente ad oggetto una nuova escussione della teste Re.Va..

4) Nullità della pronuncia ex art. 606 c.p.p., lett. b) per violazione e mancata applicazione dell’art. 512 c.p.p., artt. 52, 55 e 59 c.p. e vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione alle predette scriminanti in ordine al reato di lesioni dolose, in quanto erroneamente i giudici di merito avrebbero acquisito la querela di B.A. sulla base del fatto che la sua irreperibilità, essendosi verificata nelle more del giudizio, non era prevedibile precedentemente. Secondo il ricorrente invece la irreperibilità di B.A. era prevedibile fin dall’inizio, dal momento che costui era soggetto privo di permesso di soggiorno, senza fissa dimora e senza attività lavorativa. Le dichiarazioni di quest’ultimo in sede di querela sarebbero poi in contrasto con quelle rese dalla teste Re., mentre nella condotta dell’odierno ricorrente sarebbe ravvisabile la legittima difesa, almeno putativa, o, guanto meno, l’eccesso colposo, dal momento che il R. avrebbe allungato la mano che stringeva il tagliaunghie solo per allontanare il B.A., il quale solo accidentalmente sarebbe stato colpito al collo.

5) Nullità della pronuncia per inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale laddove la Corte di appello di Perugia ha rigettato la richiesta di derubricazione del reato di lesioni dolose nell’ipotesi di lesioni colpose di cui all’art. 590 c.p..

6) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche ex art. 606 c.p.p., lett. b) laddove la Corte di appello di Perugia non ha assolto l’imputato ai sensi dell’art. 530 c.p.p., commi 1 o 2, in ordine al reato di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 4. Secondo il ricorrente infatti non sarebbe integrata la fattispecie contestata "… di avere portato e detenuto fuori della propria abitazione… ", dal momento che egli è soggetto senza fissa dimora e portava con sè la pinzetta tagliaunghie e la forbicetta affinchè assolvessero alla loro normale funzione.

7) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche ex art. 606 c.p.p., lett. b), laddove la Corte di appello di Perugia ha negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche prevalenti o quanto meno equivalenti alle contestate aggravanti, omettendo di contestare circostanze, dedotte con i motivi di appello, che effettivamente incidevano sulla valutazione della gravità del reato, essendo, ad avviso del ricorrente, eccessiva la pena, in considerazione della lieve entità del fatto e dell’assenza in capo al ricorrente di precedenti specifici.

I proposti motivi di ricorso sono infondati. Per quanto attiene al primo osserva la Corte che il Pubblico Ministero ha effettuato la contestazione suppletiva con riferimento al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 ai sensi dell’art. 517 c.p.p. all’udienza dibattimentale del 22.06.2009. Il difensore nulla ha eccepito, essendosi limitato a richiedere i termini a difesa. Solo nell’atto di appello ha eccepito che, non essendoci connessione tra i reati originariamente contestati e quello oggetto della contestazione suppletiva, la stessa doveva essere effettuata ai sensi dell’art. 518 c.p.p.. Trattandosi di una ipotesi di nullità a regime intermedio, la relativa eccezione è stata quindi proposta tardivamente.

Peraltro, argomentando in modo logico e congruo, la Corte territoriale ha ritenuto che la contestazione suppletiva è stata correttamente effettuata ai sensi dell’art. 517 c.p.p., sussistendo la connessione tra il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e quelli originariamente contestati. Ha osservato infatti la sentenza impugnata che dalle dichiarazioni della teste Re.Va. si poteva arguire che i suoi rapporti con l’odierno ricorrente e con la persona offesa B.A.M.S.B.T. erano connessi al suo uso di stupefacenti. La connessione tra la violazione contestata in via suppletiva e i reati originariamente ascritti all’odierno ricorrente trova quindi fondamento nell’unicità del disegno criminoso che ha caratterizzato l’azione delittuosa del ricorrente protrattasi nel tempo e che ha riguardato sia le cessioni di stupefacente sia gli altri reati oggetto del processo. Anche, il secondo e il terzo motivo di ricorso non hanno fondamento. Come hanno correttamente osservato i giudici della Corte territoriale,infatti, le dichiarazioni della teste Re., pur se caratterizzate da tratti di incertezza, hanno peraltro consentito di ricostruire gli eventi oggetto dell’addebito. Correttamente pertanto la Corte territoriale ha ritenuto di rigettare la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale avente ad oggetto una nuova escussione della predetta teste.

Non può infatti essere ritenuta prova decisiva l’escussione di una testimone sulle circostanze di cui sopra così come suggerito dalla difesa del ricorrente.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, (cfr. Cass., Sez. 6, Sent. n. 37173 dell’11.06.2008, Rv 241009), la mancata assunzione di una prova può essere dedotta in sede di legittimità, a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), in quanto si tratti di una" prova decisiva", ossia di un elemento probatorio suscettibile di determinare una decisione del tutto diversa da quella assunta, ma non quando i risultati che la parte si propone di ottenere possono condurre, confrontati con le ragioni poste a sostegno della decisione, solo ad una diversa valutazione degli elementi legittimamente acquisiti nell’ambito dell’istruttoria dibattimentale.

Anche il quarto motivo di ricorso è infondato poichè, come ben evidenziato nella sentenza impugnata, l’irreperibilità della persona offesa è stata verificata soltanto in occasione della celebrazione del dibattimento, ossia nel giugno 2009, molto tempo dopo quindi rispetto a quando B.A.S. ha presentato la querela.

Pertanto, all’esito delle ricerche risultate infruttuose, è stata ritenuta la mancata reperibilità del teste ed è stata correttamente acquisita la querela ai sensi dell’art. 512 c.p.p..

Manifestamente infondato è poi il quinto motivo di ricorso che propone una diversa ricostruzione del fatto, preclusa a questa Corte, da cui si evincerebbe, in relazione al reato di lesioni dolose, per cui il ricorrente è stato condannato, la sussistenza della scriminante della legittima difesa, quanto meno nella forma putativa, oppure dell’eccesso colposo, oppure ancora la sussistenza del reato di lesioni non già dolose, ma colpose.

Sul punto la sentenza impugnata con un processo argomentativo assolutamente logico ha ritenuto invece che la condotta tenuta dal R. era chiaramente indirizzata a ledere l’antagonista attraverso l’uso di un oggetto, della cui potenzialità offensiva l’imputato era assolutamente consapevole.

Anche il settimo motivo di ricorso è infondato dal momento che, come ben chiarito nella sentenza impugnata, lo strumento in possesso dell’imputato (un tagliaunghie) era chiaramente utilizzabile per l’offesa alla persona, anche se l’imputato aveva sostenuto che il suo porto non era ingiustificato in quanto l’oggetto in questione doveva servire per soddisfare le sue esigenze personali. Nè poteva sostenersi che, non avendo l’odierno ricorrente un’abitazione, il porto dell’oggetto in questione fosse legittimo, atteso che il concetto di abitazione, con riferimento alla violazione di legge a lui addebitata, non deve essere limitato a quello di dimora ovvero di casa, potendo comprendere qualunque posto in cui si svolge la vita di una persona.

Infine l’ottavo motivo di ricorso è infondato in quanto correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto non eccessiva la pena comminata all’odierno ricorrente e, in particolare, ha rilevato che la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, non concedibili in considerazione della gravità dei fatti e dei suoi numerosi precedenti penali, non ha inciso sul quantum della pena inflitta, che non appare assolutamente eccessiva.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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