Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 10-06-2011, n. 417

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il comune di Piana degli Albanesi con deliberazione giuntale n. 236/1997 assegnò alla s.r.l. Dolcezze un lotto ricompreso in area P.I.P.

A fronte della richiesta conseguentemente avanzata dalla società il comune non ha però rilasciato la concessione edilizia necessaria all’edificazione del progettato stabilimento, avendo il Genio civile segnalato l’esistenza in loco di una conduttura idrica.

Al fine di non incorrere nella revoca delle agevolazioni conseguite nell’ambito delle misure per la promozione dell’imprenditoria giovanile, la Società ha dovuto quindi reperire in locazione sul mercato libero un altro lotto idoneo all’insediamento.

La Società, onde ottenere il ristoro dei danni patrimoniali subiti, ha quindi convenuto il comune avanti al Tribunale civile di Termini Imerese il quale con sentenza del 25.6.2002 ha declinato la giurisdizione.

La società ha quindi proposto ricorso avanti al T.A.R. Palermo il quale con la sentenza n. 1629 del 2007 ha respinto il gravame, a causa della omessa impugnazione da parte della ricorrente del provvedimento col quale le fu originariamente assegnato il lotto P.I.P.

Avverso tale sentenza la società ha proposto un appello, accolto da questo Consiglio con la decisione n. 95 del 2010 portante condanna del comune al risarcimento dei danni ivi quantificati.

Di tale decisione il comune di Piana degli Albanesi domanda la revocazione per errore di fatto ai sensi dell’art. 395 n. 4 del codice di procedura civile.

In tal senso evidenzia il ricorrente che la sentenza di primo grado aveva respinto il ricorso introduttivo per mancata impugnazione dell’atto lesivo e quindi applicando quel criterio della c.d. pregiudiziale amministrativa dal quale invece la decisione revocanda si è espressamente discostata.

Dal momento che il rigetto della domanda di risarcimento in applicazione della pregiudiziale aveva comportato una erronea declinatoria di giurisdizione, il Consiglio – dopo aver annullato la sentenza di primo grado – avrebbe però dovuto rinviare la causa al T.A.R., come prescritto dall’art. 35 comma secondo della legge n. 1034 del 1971.

Si è costituita la Dolcezze s.r.l., la quale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso sotto vari profili.

Il ricorrente ha depositato memoria, insistendo nelle già rappresentate conclusioni.

All’udienza del 15 marzo 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Come riferito nelle premesse il comune ricorrente domanda la revocazione della decisione di questo Consiglio n. 95 del 2010, ritenendola viziata da errore di fatto ai sensi dell’art. 395 n. 4 del codice di procedura civile.

In tal senso il ricorrente evidenzia che la sentenza di primo grado aveva respinto la domanda risarcitoria avanzata dalla s.r.l. Dolcezze per mancata impugnazione dell’atto lesivo e quindi applicando quel criterio della c.d. pregiudiziale amministrativa dal quale invece la decisione revocanda si è espressamente discostata, concedendo infatti il risarcimento.

Ciò premesso il ricorrente rileva che il rigetto della domanda di risarcimento in applicazione della pregiudiziale comporta, alla luce di ormai consolidata giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, una erronea declinatoria di giurisdizione.

Il Consiglio, dopo aver annullato la sentenza di primo grado che appunto in sostanza declinava la giurisdizione sul rapporto controverso, avrebbe quindi dovuto rinviare la causa al T.A.R., come prescritto dall’art. 35 comma secondo della legge n. 1034 del 1971 e non, come di fatto erroneamente avvenuto, decidere nel merito della domanda di risarcimento.

Il ricorso in revocazione è inammissibile.

Secondo principi consolidati in giurisprudenza, l’errore di fatto revocatorio previsto dall’art. 395 n. 4 cod. proc. civ. (applicabile al processo amministrativo per effetto del rinvio già disposto dall’art. 46 R.D. n. 1054 del 1924 e dall’art. 36 legge n. 1034 del 1971 ed ora contenuto nell’art. 106 comma 1 C.P.A.) presuppone contestualmente: a) il travisamento, da parte del giudice, dell’incontestabile contenuto materiale degli atti processuali; b) un nesso di causalità esclusiva tra l’abbaglio e la portata della decisione, la quale in sostanza, poggiando sull’errore, una volta che questo sia emendato, deve omisso medio risultare assolutamente periclitante; c) l’immediata rilevabilità della svista.

Per contro, sono vizi logici e dunque errori di diritto quelli consistenti nell’erronea interpretazione e valutazione dei fatti o nel mancato approfondimento di una circostanza risolutiva ai fini della decisione.

Applicando le coordinate ermeneutiche ora tracciate al caso in esame, può già prima facie agevolmente rilevarsi che quello addebitato al giudice della decisione revocanda non è in alcun modo un abbaglio percettivo ma piuttosto un errore nella applicazione delle regole processuali che impongono in determinati casi l’annullamento con rinvio: quindi un errore di diritto.

È evidente infatti che, anche a voler seguire l’impostazione del comune ricorrente, quel Collegio giudicante – allorchè non ha considerato che l’applicazione della pregiudiziale da parte del T.A.R. aveva comportato una sostanziale declinatoria di giurisdizione – sarebbe comunque incorso in un errore di procedura e quindi di diritto, pacificamente non rimediabile in sede revocatoria.

Nè può sostenersi che l’errore revocatorio derivi dalla errata percezione del contenuto effettivo della sentenza impugnata, in quanto si tratterebbe pur sempre non di un vizio di assunzione del contenuto degli atti di causa ma evidentemente di una erronea interpretazione di essi.

Tanto chiarito in ordine alla radicale inammissibilità della domanda revocatoria, si impone però per completezza di evidenziare, sia pure sinteticamente, che la decisione n. 95 del 2010 non incorre in realtà in alcun errore di procedura.

In tal senso va infatti rilevato che la sentenza di primo grado, pur richiamando nelle motivazioni la questione della pregiudiziale, aveva nel dispositivo respinto il ricorso introduttivo nel merito: di talché deve decisamente dubitarsi della effettiva possibilità di applicare ad una sentenza di merito previsioni procedurali relative alle sole pronunce di rito.

Anche a voler prescindere da tali profili formali, deve poi soprattutto evidenziarsi che la decisione revocanda ha inequivocamente correlato il danno risarcibile non al provvedimento di assegnazione del lotto ma al comportamento colpevolmente dilatorio successivamente tenuto dall’Amministrazione comunale.

Pertanto, come esattamente eccepisce l’intimata società, la sentenza impugnata è stata riformata non a causa dell’erronea applicazione della pregiudiziale ma perchè affetta da errore in iudicando derivante dalla lacunosa identificazione della fonte della responsabilità aquilana incombente sul comune.

Una volta accertato che il danno era stato causato non dall’assegnazione del lotto ma dal comportamento successivo del comune la questione della pregiudiziale risultava dunque irrilevante.

In conclusione, l’errore addebitato alla decisione revocanda (che sarebbe comunque di procedura e non di percezione) non sussiste in alcun modo.

Il ricorso in revocazione è quindi inammissibile.

Ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito può essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente sentenza.

Le spese di questo grado del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate forfettariamente in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, dichiara inammissibile il ricorso in revocazione in epigrafe.

Condanna il comune al pagamento in favore della s.r.l. Dolcezze di Euro 7.000,00 (settemila/00) oltre accessori per spese, onorari e diritti della presente fase del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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