Cass. civ. Sez. V, Sent., 13-10-2011, n. 21098

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Accogliendo l’appello proposto da P.F. ed in totale riforma della sentenza pronunciata in primo grado, la Commissione tributaria della regione Lombardia sez. staccata di Brescia con sentenza n. 220 in data 17.1.2005 dichiarava illegittimo l’avviso di rettifica emesso dall’Ufficio IVA di Mantova con il quale erano stati contestati al contribuente la omessa fatturazione di operazioni imponibili, violazioni inerenti la conservazione dei documenti, la omessa regolarizzazione di acquisti intracomunitari, la emissione di fatture con dati incompleti, la indebita detrazione di IVA per operazioni "soggettivamente" inesistenti, con recupero di imposta, relativamente all’anno 1994, per L. 403.369.000 ed irrogazione di sanzioni pecuniarie per L. 504.711.000.

I Giudici territoriali, dopo aver rilevo che l’accertamento derivava dai risultati delle indagini svolte dalla Guardia di Finanza nei confronti della GENERALE s.r.l. per omessi versamenti di IVA, hanno ritenuto che gli elementi offerti dalla Amministrazione finanziaria per dimostrare il diretto coinvolgimento del P. nella frode perpetrata ai danni dello Stato erano insufficienti a rivestire il carattere di prova presuntiva ex art. 2729 c.c., in quanto:

– la contestata falsità delle fatture non trovava riscontro nella effettività delle operazioni commerciali risultanti dalle scritture contabili;

– la circostanza emersa dalle bolle di consegna che la merce era spedita dal fornitore francese direttamene al P. quale cliente della Generale s.r.l., non era dimostrativa della interposizione soggettiva fittizia di tale società, essendo tali documenti conformi ai requisiti del D.P.R. n. 627 del 1978;

– la tesi secondo cui il P. avrebbe lucrato utilizzando in detrazione le fatture emesse dalla Generale s.r.l. con aliquota IVA al 19%, sulla differenza tra tali importi e l’aliquota del 9% effettivamente corrisposta ai fornitori di oltralpe, risultava smentito dal fatto che le operazioni di acquisto erano intervenute esclusivamente tra il P. e la Generale s.r.l. sicchè il contribuente aveva diritto a portare in detrazione l’IVA al 19% effettivamente corrisposta alla società cedente, senza che per questo potesse ravvisarsi una responsabilità del P. nell’omesso versamento dell’IVA riscossa dalla Generale s.r.l..

I Giudici di appello concludevano per l’annullamento dell’avviso in rettifica e compensavano le spese di lite rilevando che sussisteva "qualche perplessità sulla giustificazione dei movimenti bancari".

Avverso la sentenza di appello la Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, con atto notificato in data 8.3.006 presso il domicilio eletto dal contribuente, affidandosi ad un unico motivo con plurime censure.

Non ha resistito l’intimato.
Motivi della decisione

1. La Agenzia delle Entrate censura la sentenza di appello per violazione di norme di diritto in tema di riparto dell’onere della prova ( D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2) e di prova presuntiva ( art. 2729 c.c.), nonchè per vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione.

Deduce la ricorrente:

– che i Giudici di appello non hanno effettuato una complessiva ricognizione di tutti gli elementi indiziari offerti dalle risultante delle indagini svolte dalla Guardie di Finanzia e compendiate in due processi verbali di constatazione in data 26.5.1997 ed in data 15.10.1997, limitandosi soltanto ad esaminarne alcuni;

– che anche gli elementi indiziari esaminati sono stati valutati in modo illogico ed incongruo;

– che contraddittoria era la motivazione in punto di movimentazioni bancarie, avendo la CTR ritenuto apprezzabili tali indizi ma ai soli fini della regolamentazione delle spese di lite, senza considerare la presunzione legale stabilita dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51. 2. Premesso che in tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità precisione e concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei, requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 (e non già alla stregua del n. 5 dello stesso art. 360), competendo alla Corte di Cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 cod. civ., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta (cfr. Corte Cass. 3^ sez. 26.6.2008 n. 17535), occorre rilevare come, in tema di prova relativa ad operazioni oggettivamente o (come nel caso di specie) soggettivamente inesistenti, la giurisprudenza di questa Sezione, tanto con riferimento alle imposte dirette ( D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 40) che alle imposte indirette ( D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54), è ferma nel ritenere che grava sull’Amministrazione l’onere di provare – anche mediante presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. – la inesistenza di passività dichiarate o la falsa od omessa indicazione di attività imponibili (cfr. Corte Cass. 5^, sez. 19.10.2007 n. 21953. con riferimento ad "indebita detrazione IVA per operazioni inesistenti", secondo cui l’Amministrazione non può limitarsi ad una generale ed apodittica non accettazione della documentazione del contribuente, dovendo invece fondare su elementi anche indiziari tale contestazione. Sulla stessa linea si pone Corte Cass. 5^ sez. 12.12.2005 n. 2341, in relazione ad "emissione di fatture per operazioni inesistenti", affermando che l’onere della prova della difformità tra realtà e rappresentazione contabile grava sulla Amministrazione finanziaria), mentre, una volta accertata in giudizio la esistenza dei requisiti lesali di detta prova presuntiva, sorge l’onere per il contribuente di fornire la prova contraria (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 11.6.2008 n. 15395, da ultimo: Corte Cass. 5^ sez. 23.4.2010 n. 9784).

Con specifico riferimento alla fattispecie in esame, riconducibile alle c.d. "frodi carosello" (caratterizzale dal l’atto che la merce acquistata dal contribuente che esercita il diritto alla detrazione IVA proviene in realtà da soggetto diverso da quello interposto o c.d. "fantasma" che ha emesso la fattura incassando l’IVA ed omettendo poi di versarla all’Erario), la giurisprudenza di questa Corte ha stabilito che, una volta fornita dalla Amministrazione finanziaria la prova della interposizione fittizia della società "cartiera o fantasma" nella operazione commerciale effettivamente posta in essere dal cessionario/committente con un diverso soggetto – cedente/prestatore – che non figura nella fatturazione, spetta al contribuente (cessionario/committente) che ha portato in detrazione PIVA fornire la prova contraria che l’apparente cedente/prestatore non è un mero soggetto (fittiziamente) interposto e che la operazione è stata "realmente" conclusa con esso, non essendo tuttavia sufficiente a tale scopo la regolarità della documentazione contabile esibita e la mera dimostrazione che la merce sia stata effettivamente consegnata o che sia stato effettivamente versato il corrispettivo, "trattandosi di circostanze non concludenti, la prima in quanto insita nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, e la seconda perchè relativa ad un dato di fatto inidoneo di per sè a dimostrare l’estraneità alla frode" (cfr.

Corte Cass. 5^ sez. 24.7.2009 n. 17377; id. 20.1.2010 n. 867; id.

11.3.2010 n. 5912, Giurisprudenza costante: id. 3.12.2001 n. 15228, id. 6.2.2003 n. 1779, id. 23.12.2005 n. 28695, id. 23.3.2007 n. 7146).

Tanto premesso le critiche rivolte alla sentenza di appello in ordine alle conclusioni dalla stessa raggiunte sulla scorta dei limitati elementi indiziari in concreto esaminati dai Giudici territoriali, colgono nel segno tanto in relazione alle censure formulate, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), in ordine alla omessa complessiva valutazione di tutti gli elementi indiziari individuati all’esito delle indagini svolte dalla Guardia di Finanza, quanto in relazione a quelle formulate ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in ordine alla violazione della regola di riparto dell’onere probatorio ed alla inconcludenza ai sensi dell’art. 2729 c.c., degli elementi indiziari sui quali viene fondata la decisione impugnata.

Ed infatti, come ripetutamente ribadito dalle pronunce di questa Corte, se le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione, il Giudice deve esercitare tale discrezionalità in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, dovendo evidenziare la motivazione della sentenza il procedimento che deve necessariamente seguirsi in tema di prova per presunzioni e che si articola in due momenti valutativi: a) in primo luogo, occorre che il giudice valuti in maniera analitica ognuno degli elementi indiziar per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e, invece, conservare quelli che, presi singolarmente, rivestano i caratteri della precisione e della gravità ossia presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; b) successivamente, egli deve procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati e accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni indizi, con la conseguenza che deve ritenersi "viziata da errore di diritto e censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento" (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 18.9.2003 n. 13819; id. 1^ sez. 13.10.2005 n. 19894; id. 5^ sez. 15.1.2007 n. 722;

id. SU 11.1.2008 n. 584).

Orbene la sentenza impugnata non si è attenuta agli indicati principi essendosi limitati i Giudici di merito all’esame di alcuni soltanto tra i molteplici elementi circostanziali senza tuttavia esplicitare le ragioni della esclusione degli altri elementi indiziari (specificamente indicati nei processi verbali di constatazione, il cui contenuto è stato sinteticamente riprodotto nel ricorso: 1- all’indirizzo di Verona della società non era stata rinvenuta la sede operativa, nè un domicilio per la corrispondenza, ma solo "il depositario delle scritture contabile che, peraltro, non aveva più intrattenuto rapporti con la società dopo il settembre 1994; 2- La Generale s.r.l. rivendeva la merce al P. lo stesso giorno in cui l’aveva acquistata dal fornitore francese; 3- il prezzo di rivendita praticato da La Generale s.r.l. al P. era uguale e talvolta inferiore a quello pagato a fornitore francese dalla società; 4- lo stesso fornitore francese aveva sempre intrattenuto rapporti diretti con il P., salvo l’intervallo di tempo, in cui era subentrata La Generale s.r.l.: 5- le movimentazioni bancarie del P. attcstavano pagamenti della merce direttamente al fornitore anzichè a La Generale s.r.l.) ovvero della loro irrilevanza nel contribuire, unitamente a quelli considerati, ad integrare i requisiti legali di serietà, precisione e concordanza posti a fondamento della prova presuntiva della interposizione fittizia della società La Generale nel rapporto (reale) intrattenuto dal P. con il fornitore di oltralpe.

Del pari fondata è la censura relativa alla violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2), che stabilisce la presunzione legale relativa ("iuris tantum") della realizzazione di maggiori ricavi, con conseguente recupero ad imponibile, desunta dalle movimentazioni dei conti correnti bancari del contribuente e da questi non altrimenti giustificate: la presunzione legale determina, infatti, la inversione dell’onere probatorio, e la sentenza di appello limitandosi ad affermare che "sussiste qualche perplessità sulla giustificazione dei movimenti bancari" (enunciazione meramente apodittica in quanto ex se inidonea a disvelare tanto l’oggetto quanto le ragioni delle "perplessità") ha omesso di considerare che gravava sul contribuente la prova certa contraria che i maggiori ricavi presunti ex lege si riferivano ad importi oggetto di precedenti dichiarazioni fiscali ovvero ad operazioni compiute in esenzione di imposta o comunque non imponibili.

In conclusione il ricorso trova accoglimento e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Lombardia che, procederà a nuovo esame, emendando i vizi logici riscontrati ed attenendosi agli enunciati principi di diritto in materia di riparto dell’onere probatorio, provvedendo altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.

LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE – accoglie il ricorso e per l’effetto cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Lombardia che, procederà a nuovo esame, emendando i vizi logici riscontrati ed attenendosi agli enunciati principi di diritto in materia di riparto dell’onere probatorio, provvedendo altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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