Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 21-04-2011) 09-06-2011, n. 23234 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.C. è stato ritenuto colpevole di bancarotta fraudolenta impropria patrimoniale e documentale – nella sua veste di amministratore di STL S.r.l. (dichiarata fallita il (OMISSIS)) e di GIC INT. S.r.l. (dichiarata fallita il (OMISSIS)) – in ragione del disavanzo creato senza giustificazione e per condotte di inquinamento contabile, nonchè per la redazione di comunicazioni sociali infedeli e per fatti di bancarotta semplice.

Il Tribunale di Torino lo ha condannato con sentenza 17.10.2006. La Corte d’Appello subalpina – in data 14.4.2010 – ha dichiarato la prescrizione dei reati di bancarotta semplice ed ha confermato nel resto la prima decisione.

La vicenda contempla il dissesto di due società, tra loro collegate in ragione dei medesimi interessi riferibili allo stesso attuale ricorrente. Dissesto contrassegnato dall’asserita distruzione di attività strumentali e contabilità da un incendio di origine dolosa del capannone ove avevano sede entrambe le società.

Il ricorso interposto avverso la decisione si duole:

– della violazione di legge e carenza di motivazione a) nella parte in cui qualifica apoditticamente come doloso l’incendio e l’azione riferibile al C., che addebita all’imputato l’onere di dimostrare chi diversamente potesse essere interessato all’atto;

b) nella reiezione dell’istanza di integrazione probatoria, la quale avrebbe consentito di precisare il ruolo di M. e di Q. nella gestione;

c) per quanto attiene alla distrazione da GIC a STL, anche dell’erronea applicazione della legge penale, a fronte della documentazione depositata dalla difesa, che attestava una logica di gruppo, per la quale soccorre anche l’assenza di volontà pregiudizievole, atteso il convincimento che gli affari divisati fosse effettivamente realizzabili;

d) sulla responsabilità della distruzione delle scritture contabili, distrutte nell’incendio;

stessi vizi in merito alle statuizioni sanzionatorie attesa la leale collaborazione del C. e la cooperazione al dissesto di terzi, sì che la reiezione del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti contestate risulta immotivato.
Motivi della decisione

Il ricorso non viene accolto poichè la motivazione risulta adeguata.

E’ stata ritualmente ritenuta integrativa della condotta delittuosa la concessione di finanziamenti, da GIC a STL, privi di garanzia di restituzione, rivelatisi vere e proprie erogazioni di denaro a fondo perduto, esulanti – quindi – dall’oggetto sociale, anche se asseritamente assunte nell’ottica di un investimento profittevole: il rischio conseguente alla loro mancata restituzione, in assenza di qualsiasi garanzia da parte della mutuante, colora di illecita siffatta prassi.

Del resto l’imputato non ha dimostrato in alcun modo la cd. "logica di gruppo" invocata da ricorrente (con sotteso, ancorchè inespresso, richiamo all’art. 223, comma 1, L. Fall., art. 2634 c.c., comma 3), sempre che detta logica abbia possibilità di riconoscimento nel nostro sistema (il che è fortemente contestato da parte di autorevole dottrina e da considerevole giurisprudenza di legittimità).

Sicuramente provate e foriere di responsabilità penale per l’amministratore sono, invece, le infedeltà riscontrate nei bilanci di esercizio (e non obiettivamente contestate), integrative di fatti di bancarotta fraudolenta societaria, indubbiamente a costui imputabili, ancorchè la contabilità potesse essere stata affidata a terzi: la redazione dei documenti di supporto proviene dalla società e la contabilità è primario incombente dell’amministratore che diviene responsabile per la sua mendace tenuta.

Attiene, invece, al profilo del merito – non suscettibile di vaglio da parte del giudice di legittimità – la disamina della congruenza della giustificazione desumibile dalla documentazione che indica M. e Q. accusati dal C. di appropriazioni indebite.

Allo stato degli atti, la mancata verifica giudiziale delle rispettive penali responsabilità giustifica la decisione dei giudici del merito.

Più complessa è l’adeguatezza della motivazione concernente la distruzione di attrezzatura e di contabilità, in sostanza lo scrutinio sull’iniziativa e sulla responsabilità dell’incendio delle due sedi societarie.

In linea astratta è errato il convincimento, espresso dai giudici, secondo cui la (eventualmente) provata attribuzione a terzi del fatto doloso, non gioverebbe all’imputato che risultasse estraneo alla causa della perdita del patrimonio societario, nella misura interessata dall’incendio. Invero, la distruzione del patrimonio societario per assumere rilevanza penale deve provenire dall’azione del soggetto qualificato (l’amministratore della fallita società) e discendere da fatto a costui rapportabile in via di consapevole condotta (non già per addebito colposo).

Ha torto, al contempo, la difesa quando dubita dell’esecuzione volontaria del fatto.

La natura dolosa è processualmente attestata in via peritale;

l’archiviazione è stata resa dal GIP. per essere ignoti gli autori del fatto, non già per l’insussistenza del medesimo (cfr. Sent. pag.

8).

Gli è che i giudici di merito hanno addebitato l’evento distruttivo al C. ritenuto suggeritore/istigatore della manovra. Essi sono pervenuti a questo risultato giovandosi della risposta al "cui prodest?".

Il percorso seguito dalla decisione impugnata non è in sè censurabile (e tantomeno in sede di legittimità), purchè la decisione sia sorretta da altri elementi di fatto di sicuro valore indiziante.

Orbene, la sentenza impugnata rammenta:

– la singolare coincidenza dell’occorso, esattamente tra la data dell’udienza prefallimentare e quella della sentenza dichiarativa del fallimento;

– i dubbi sorti sulla collocazione della contabilità nei capannoni danneggiati che mal si prestavano a costituire luogo di deposito del corredo contabile per cui è poco credibile che tali documenti ivi si trovassero al momento dell’incendio (Sent. pag. 9).

Sono elementi probatori che si aggiungono al ravvisato tornaconto dell’interessato (che, alla luce delle condotte di fraudolenza patrimoniale e di infedeli comunicazioni sociali, non riesce affatto "suicida", come ritiene il ricorrente, ma frutto di accorta e callida strategia) e, come tali, legittimano il percorso dimostrativo dei giudici dell’appello.

E’ sufficiente – nel palesare il percorso argomentativo seguito dai giudici – la motivazione relativa alle statuizioni sanzionatorie, considerando l’inconsueta recidivarla palesata dal prevenuto e le reiterazione di fatti di fraudolenza. La doglianza sul punto è infondata.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *