Cass. civ. Sez. V, Sent., 13-10-2011, n. 21087

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In esito al controllo fiscale, attivato a seguito della richiesta della S.r.l. Organizzazione Vendite Latina (OR.VE.L) di rimborso dell’IVA per il 1997, l’Agenzia delle Entrate ha escluso l’esistenza del debito d’imposta, ed ha provveduto alla rettifica parziale della dichiarazione IVA, col recupero dell’imposta evasa e con le relative sanzioni, ritenendo che, attraverso la intermediazione delle società che avevano acquistato merci con dichiarazione di intento nell’anno 1997, la contribuente fosse dedita alla vendita di bevande nel mercato interno, in evasione di imposta, "modus agendi" che le era stato contestato, anche, per gli anni precedenti.

La CTP di Latina ha accolto il ricorso della contribuente, con decisione confermata dalla CTR del Lazio con sentenza n. 1051/39/05, depositata il 31.12.2005, avverso cui ricorrono, sulla scorta di due motivi, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate. La Società resiste con controricorso, illustrato con memoria.
Motivi della decisione

Va, preliminarmente, rilevata l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che non ha partecipato al pregresso grado di giudizio, con compensazione delle spese. A seguito dell’istituzione dell’Agenzia delle Entrate, avvenuta con D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, e divenuta operativa dal 1 gennaio 2001 ( D.M. 28 dicembre 2000, ex art. 1), si è verificata una successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto della quale deve ritenersi che la legittimazione "ad causam" e "ad processum", nei procedimenti introdotti successivamente al 1 gennaio 2001, spetta all’Agenzia, e la proposizione dell’appello da parte o nei confronti della sola Agenzia, senza esplicita menzione dell’ufficio periferico che era parte originaria, si traduce nell’estromissione di quest’ultimo (cfr.

S.U. n. 3116 e n. 3118 del 2006, n. 22641 del 2007).

Col primo motivo, l’Agenzia deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., artt. 112 e 132 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e art. 62, comma 1, ed, in subordine, omessa o insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, per avere la C.T.R., con motivazione apparente, omesso di prendere in considerazione gli argomenti addotti dall’Amministrazione in sede d’appello, in cui era stato evidenziato che: 1) nessuna delle società che aveva rilasciato alla contribuente la dichiarazione di intento svolgeva attività di esportazione, ed era quindi abilitata ad acquistare in esenzione d’imposta; 2) alcune società non avevano presentato la dichiarazione Iva, altre erano fallite, altre non svolgevano attività di commercio di bevande; 3) le vendite erano molto rilevanti e pagate per cassa; 4) alcune società erano riconducibili alla stessa persona; 5) tutte le società cui la contribuente aveva ceduto merce in esenzione di imposta avevano messo in atto un’attività fraudolenta; 6) spesso non era stata trovata corrispondenza tra gli assegni incassati e le registrazioni sul libro giornale; 7) si era creato un rapporto confidenziale tra la contribuente e le Società acquirenti comprovati dal fatto che alcuni pagamenti avvenivano con assegni post datati e molto spesso con importo precompilato. Tale complesso di elementi, prosegue la ricorrente, deponeva per un sistema fraudolento di cui la società accertata costituiva parte integrante, e che non era stato, in alcun modo, analizzato dalla CTR. Il motivo è fondato. La CTR ha ritenuto infondato l’appello affermando che "l’accertamento operato fonda su semplici presunzioni e che l’Atto di Rettifica si risolve in generiche contestazioni e di una serie di addebiti che devono ritenersi presunti e comunque infondati. La Commissione ritiene infine che l’Avviso di Rettifica non fonda su validi elementi probatori per cui le risultanze dello stesso non possono essere condivise".

La serie di formule di stile, sopra testualmente riportate, addotte a sostegno della decisione adottata, sono tanto generiche da poter esser riferite a qualsiasi controversia e non possono ritenersi idonee a soddisfare il requisito della motivazione della sentenza:

così facendo, la Commissione regionale si è, insomma, sottratta al dovere di indicare gli elementi da cui ha tratto il suo convincimento., ed omettendo di enunciare quali fossero i fatti dedotti dall’Amministrazione a fondamento della pretesa impositiva, ha precluso, del tutto, il controllo della correttezza del percorso argomentativo.

L’assoluta laconicità della motivazione si traduce, dunque, nella carenza della motivazione, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ricorre, appunto, allorchè la sentenza manca delle argomentazioni atte a palesare le ragioni della decisione, e che determina la nullità della sentenza, deducibile ex art. 360 c.p.c., n. 4 (Cass. SU n. 9321/2001) incidendo sul modello descritto dalle norme di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1, che costituiscono attuazione del principio costituzionale di cui all’art. 111 Cost., in virtù del quale tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati (Cass. n. 13990/2003, n. 12114/2004).

La circostanza, evidenziata dall’intimata in sede di memoria, secondo cui le impugnazioni avverso gli avvisi di rettifica relativi alle annualità precedenti – fondati sui medesimi rilievi e derivanti da un’attività accertativa unitaria – erano state definitivamente accolte, non appare qui rilevante, tenuto conto che la decisione oggetto della presente impugnazione è diversa, nel suo contenuto, rispetto a quelle in precedenza esaminate con le prodotte sentenze di questa Corte.

L’accoglimento del primo motivo assorbe l’esame del secondo, col quale è stata denunciata violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51 e 54, sul rilievo che l’Ufficio può procedere all’accertamento, non solo, in base alle scritture contabili della contribuente, ma, anche, in base ad ogni altro dato e notizia comunque raccolto o acquisito, attraverso l’attività ispettiva, nei modi previsti dal D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51 e 51 bis.

La sentenza va, dunque, cassata, ed, essendo necessaria una nuova valutazione del merito, va disposto il rinvio della causa a sezione diversa della stessa CTR del Lazio, affinchè valuti gli elementi addotti dall’Ufficio a fondamento della sua pretesa (come, ovviamente, quelli eventualmente offerti dal contribuente), dia motivatamente conto del complessivo iter logico seguito per giungere alla conclusione adottata e provveda, anche, alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso del Ministero, spese compensate; accoglie il ricorso dell’Agenzia, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della CTR del Lazio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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