T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, Sent., 10-06-2011, n. 3089 Bellezze naturali e tutela paesaggistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato in data 27 febbrario 2010 e depositato il successivo 26 marzo 2010 G.D.G. ha impugnato l’atto del 09/12/2009 in epigrafe indicato, con cui la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Napoli e Provincia ha annullato il parere positivo a fini ambientali, ex art. 32 l. 47/85 e 167 Dlgs. 42/2004 emanato dal Comune di Vico Equense con atto n. 258 del 20/10/2009, in ordine alla opere edilizie eseguite dal ricorrente alla via R.. Bosco, loc. Alberi.

Con il parere oggetto di annullamento ad opera della Soprintendenza il Comune aveva espresso parere favorevole sia per quanto attiene alle opere oggetto di istanza di condono edilizio presentata ai sensi della l. 47/85, che in relazione ad opere di ristrutturazione successivamente eseguite.

A sostegno del ricorso ha dedotto le seguenti censure, articolate in cinque motivi di ricorso:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 32 l. n. 47/85. Violazione e falsa applicazione degli artt. 146,159 e 167 del Dlgs. n. 42/2004 e successive modificazioni e integrazioni. Violazione dei principi in materia di tutela ambientale; Violazione e falsa applicazione del PUT dell’area Sorrentino Amalfitana. Violazione e falsa applicazione del protocollo d’intesa tra la Regione Campania e la Soprintendenza BB.AA. di Napoli e Provincia del 25/07/2001. Violazione e falsa applicazione della l. n. 241/1990 e in particolare dell’art. 3. Eccesso di potere sotto molteplici profili. Difetto dei presupposti. Travisamento. Sviamento. Straripamento. Istruttoria carente e perplessa. Difetto di motivazione. Perplessità.

La Soprintendenza ha annullato il parere favorevole ex art. 32 l. 47/85 sulla base dell’erroneo assunto che: 1) al primo piano del corpo maggiore, al momento della richiesta di condono ai sensi della l. 47/85, esisteva una veranda che, senza alcun atto autorizzativo, da struttura in ferro e copertura in lamiera era stata trasformata, per effetto di intervento di ristrutturazione edilizia in un manufatto in muratura, del tutto differente da quello esistente per dimensioni, tipologia e materiali; 2) il provvedimento in esame con una illegittima procedura che vede riuniti in un unico atto sia il parere favorevole ex art. 32 della legge n. 47/85 per opere abusive, sia il parere favorevole ex art. 167 Dlgs. 42/2004, per la compatibilità paesaggistica delle trasformazioni operate, ha sanato il tutto, ritenendo compatibile con il contesto le opere illegittime radicalmente trasformate attraverso una ristrutturazione edilizia; 3) il provvedimento comunale risultava pertanto illegittimo per la commistione di procedure differenti, tese alla tutela di interessi pubblici distinti e perché relativo alla sanatoria di un’opera non più nei fatti esistente e alla dichiarazione di compatibilità paesaggistica – per opere di ristrutturazione edilizia – rilasciata senza il preventivo vincolante parere della Soprintendenza, come prescritto dal comma 5 dell’art. 167 del Dlgs. 42/2004.

La Soprintendenza pertanto ha annullato il parere favorevole non per accertata incompatibilità ambientale dell’intervento, favorevolmente valutato dalla C.E.I. e dal Funzionario del Comune di Vico Equense, ma esercitando un controllo di natura prettamente edilizia e, comunque, di merito.

Il Comune di Vico Equense aveva infatti rilasciato tale parere favorevole sulla base di un’articolata valutazione dell’inserimento dell’opera nel contesto circostante.

La Soprintendenza, per contro, sconfinando in valutazioni prettamente urbanistiche, non ha indicato in che modo l’intervento possa incidere sul paesaggio.

Di qui la violazione degli artt. 146, 159 e 167 del Dlgs. 42/2004, oltreché l’eccesso di potere per travisamento, sviamento, mancanza di presupposti di fatto e di diritto e per istruttoria erronea e perplessa.

1.1 In ogni caso i presupposti su cui di fonda l’atto gravato sono erronei in quanto:

a) l’interessato, nel richiedere il rilascio del condono edilizio, può presentare un progetto di completamento.

Lo stesso protocollo d’intesa fra Regione Campania e Soprintendenza del 25/07/2001, applicato nel caso in esame, prevede la possibilità che il parere di cui all’art. 32 della legge n. 47/85 "dovrà contenere una esplicita prescrizione degli interventi, anche di completamento ritenuti necessari per il miglior inserimento delle opere abusive nel contesto ambientale, paesistico, naturale, al fine della riqualificazione architettonica dei manufatti abusivi".

A tale stregua palesemente illegittima è la motivazione dell’atto di annullamento, dal momento che risultano ammissibili opere finalizzate al miglior inserimento di quanto abusivamente realizzato.

b) In secondo luogo la circostanza che tali opere di adeguamento siano state realizzate, in pedissequa corrispondenza a quanto consentito nell’ambito del citato Protocollo d’Intesa fra Regione e Soprintendenza, prima dell’esame della pratica di condono appare del tutto irrilevante, posto che le opere sono identiche, specie quanto a volumi e superfici, esaurendosi gli ulteriori interventi in misure di adeguamento architettonico tese a garantire la compatibilità con il restante edificato e con il contesto ambientale.

Pertanto si preclude la sanatoria di un intervento non solo ammissibile ma la cui previsione, nell’ambito del richiamato protocollo d’intesa, era condizionante del rilascio del condono stesso.

c) Infatti se è vero che nel corso del procedimento di condono non è possibile realizzare nuovi volumi, insistenti sul manufatto abusivo, è consentita sicuramente la realizzazione di interventi di natura eminentemente conservativa.

Devono infatti ritenersi ammissibili interventi, sino alla ristrutturazione, su immobili sottoposti a condono.

Pertanto tali interventi, ove eseguiti senza titolo abilitativo, ben possono essere sanati, anche dal punto di vista paesaggistico, ove ricorrano i presupposti di cui all’art. 167 del Dlgs. 42/2004.

Inoltre la motivazione dell’atto gravato si fonda su aspetti meramente procedurali, privi di alcun fondamento normativo, considerato che la possibilità di concentrare in un unico atto formale due provvedimenti scaturenti dall’esercizio di poteri diversi non risulta affatto preclusa, rispondendo anzi ad esigenze di concentrazione ed economia procedurale in tutto rispondente ai principi sanciti dalla l. n. 241/90.

In ogni caso l’esecuzione di ulteriori lavori su immobile oggetto di domanda di condono edilizio, non ancora esaminata, ove non sanabili, imponeva unicamente di disporre il ripristino dello stato dei luoghi esistente all’atto della domanda di sanatoria, lasciando impregiudicati l’esame e l’eventuale rilascio del condono edilizio.

La legge n. 47/85 non pone alcun divieto in ordine all’autorizzazione di ulteriori opere all’atto del rilascio del condono edilizio.

Sicchè mentre è insussistente qualsiasi contraddittorietà ed eccesso di potere nel nulla osta dirigenziale è il decreto soprintendizio a essere stato adottato in violazione di legge.

2) Eccesso di potere sotto molteplici profili. Violazione dei principi di congruità e proporzionalità.

Anche a volere accettare l’assunto del Soprintendente – sulla pretesa inammissibilità delle trasformazioni – lo stesso avrebbe dovuto annullare la sanatoria solo in parte qua, venendo in rilievo anche altre opere non interessate da tali modifiche.

3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 159 del Dlgs. n. 42/2004. Violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 8 e ss. della l. 241/90 e successive modificazioni ed integrazioni, Eccesso di potere sotto molteplici profili. Violazione del giusto procedimento di legge.

Violazione degli artt. 2,3,97 Cost. Illegittimità Costituzionale dell’art. 159 del Dlgs. n. 42/2004. Violazione dei principi in materia di trasparenza. Difetto di istruttoria e di motivazione. Difetto dei presupposti.

L’art. 159 Dlgs. 42/2004 introduce un equipollente dell’avvio del procedimento che tuttavia, non garantendo affatto che la pratica sia stata effettivamente trasmessa all’autorità statale e che questa l’abbia ricevuta, si rileva un adempimento formale del tutto inidoneo alla scopo partecipativo.

Ciò tanto più che il termine per l’eventuale annullamento del nulla osta decorre solo dalla ricezione della documentazione completa.

Di qui la necessità di una congrua comunicazione ex art. 7 l. n. 241/90 nonché l’irragionevolezza in parte qua dell’art. 159 del Dlgs. 42/2004, di cui si denuncia l’illegittimità costituzionale per evidente contrasto con gli artt. 2,3, 97 della Costituzione.

La comunicazione inviata dal Comune in merito al parere rilasciato, anche ove inviata alla ricorrente, risulterebbe comunque del tutto inidonea allo scopo di cui all’art. 7 della legge n. 241/1990, anche sotto il profilo contenutistico, non potendo tra l’altro indicare l’Ufficio e la persona responsabile del procedimento.

4) Violazione e falsa applicazione dell’art. 10 bis l. 241/90. Eccesso di potere sotto molteplici profili. Violazione del giusto procedimento di legge. Violazione dei principi generali in materia di trasparenza. Difetto di istruttoria, Difetto di motivazione. Difetto dei presupposti.

L’atto gravato è altresì illegittimo non essendo stato inviata al ricorrente la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza ex art. 10 bis l. 241/90, da ritenersi applicabile anche alla fattispecie di cui è causa. Omissione questa che incide anche sulla correttezza del motivazione e sulla completezza dell’istruttoria.

5) Violazione e falsa applicazione del Dlgs. n. 42/2004 e succ. mod. e int. e in particolare dell’art. 159. Violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del D.M. n. 495/1994. Violazione della l. n. 241/90 e in particolare degli artt. 3 e 31 bis. Violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia. Violazione e falsa applicazione dei principi della trasparenza e della correttezza dell’azione amministrativa. Eccesso di potere sotto molteplici profili. Difetto dei presupposti. Genericità e indeterminatezza. Lesione del legittimo affidamento. Difetto di motivazione.

Il decreto impugnato risulta inoltre tardivo in quanto il termine assegnato alla Soprintendenza per l’annullamento dell’autorizzazione paesaggistico è perentorio e nella specie l’atto è stato notificato al ricorrente oltre il termine di sessanta giorni.

Ai sensi dell’art. 6 comma 1 D.M. 13 giungo 1994 n, 495 "i termini per la conclusione dei procedimenti si riferiscono alla data di adozione del provvedimento, ovvero, nel caso di atti recettizi, alla data in cui il destinatario ne riceva la comunicazione".

Con l’introduzione ad opera della l. n. 15/2005 dell’art. 21 bis nella l. 241/90 si è invero determinata un’espansione della categoria degli atti recettizi, con l’introduzione della categoria degli atti recettizi a comunicazione individuale, individuandosi l’atto recettizio in quel provvedimento che per la sua incidenza negativa sugli interessi dei destinatari, prima di poter svolgere i propri effetti tipici ed essenziali, deve essere portato a conoscenza degli stessi destinatari, come comprovato dai lavori parlamentari.

Pertanto a seguito di tale novella va riconosciuta la natura di atto recettizio anche al decreto della Sopreintendenza di annullamento del nulla osta ambientale, in quanto nell’ambito dei provvedimenti recettizi rientrano non soltanto i provvedimenti da cui derivi una deminutio del patrimonio giuridico dei destinatari ma anche la mancata acquisizione di un bene o il prodursi di un minor vantaggio.

Pertanto il decreto di cui è causa risulta tardivo in quanto comunicato al ricorrente oltre il termine perentorio di sessanta giorni dalla ricezione della documentazione completa.

5.1 In ogni caso il provvedimento gravato non presenta alcun numero di protocollo e ciò in violazione dei principi di trasparenza dell’azione amministrativa che impongono di rendere immediatamente intellegibile – e verificabile – la data di adozione dell’atto, specie nel caso di procedimenti da concludersi entro un termine perentorio.

Si è costituta l’Amministrazione intimata, instando per il rigetto del ricorso.

Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’udienza pubblica del 7 aprile 2011.
Motivi della decisione

1. Con il presente ricorso De Gennaro Giovanni impugna il decreto della Soprintendenza di annullamento dell’atto con cui il Comune di Vico Equense, in relazione ad opere costruite in tempi diversi da parte ricorrente, articolate in corpi di fabbrica anche separati, aveva espresso parere favorevole a fini ambientali, sia ex art. 32 l. 47/85, relativamente alle opere di più vecchia fattura, oggetto di istanza di condono edilizio, sia ex art. 167 comma 5 Dlgs. 42/2004, in relazione ad opere di ristrutturazione eseguite successivamente sull’immobile principale oggetto della domanda di condono non ancora esitata.

1.1 Più precisamente le opere in questione sono state realizzate, secondo quanto è dato evincere dall’atto gravato, non oggetto di contestazione sul punto, in area dichiarata di notevole interesse pubblico, giusti DD.MM. 5 novembre 1955 e 2/05/1958, nonché in zona territoriale 1 B del P.U.T. (tutela dell’ambiente naturale di 2° grado) e in zona H1.2 (Ristorazione) del P.R.G. adeguata al P.U.T..

1.2 Secondo quanto si legge nell’atto impungnato "al primo piano del corpo maggiore, al momento della richiesta di condono ai sensi della legge n. 47/85, esisteva una veranda che, senza alcun titolo autorizzativo, da struttura in ferro vetro e copertura in lamiera, è stata trasformata, per effetto di intervento di ristrutturazione edilizia, in un manufatto in muratura che per dimensioni, tipologia e materiali è del tutto differente da quello esistente".

2. Ciò posto il primo motivo di ricorso, con il quale parte ricorrente deduce in primo luogo che non ricorrevano i presupposti per l’annullamento, avendo la Soprintendenza operato un inammissibile sindacato di merito e comunque un sindacato basato sul solo profilo urbanistico, si rileva infondato.

2.1 E’ infatti noto che il parere ex art. 32 L. 47/85, al pari del nulla osta paesistico, è sottoposto al sindacato di legittimità della Soprintendenza, per cui ben può farsi applicazione del consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi in relazione al sindacato esercitato dalla Soprintendenza sul nulla osta paesistico. A tal riguardo costituisce ius receputm che "il potere ministeriale di annullamento d’ufficio del nulla osta paesaggistico, se da un lato può riguardare tutti i vizi di legittimità, estendendosi a tutte le ipotesi riconducibili all’eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, dall’altro non è tale da determinare la sovrapposizione o sostituzione di una propria valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio dell’autorizzazione; pertanto, l’autorità ministeriale, nell’esercizio del potere di annullamento, esercita un potere di riesame per così dire estrinseco, con riferimento all’assenza di vizi di legittimità comprendenti quello di eccesso di potere nelle diverse figure sintomatiche, ma non può rinnovare il giudizio tecnicodiscrezionale sulla compatibilità paesaggisticoambientale dell’intervento, che appartiene in via esclusiva all’autorità preposta alla tutela del vincolo". A tale stregua "il provvedimento del nulla osta paesaggistico, rilasciato dall’ente territorialmente competente e finalizzato alla realizzazione di un’opera edilizia in una zona sottoposta a vincoli, può legittimamente essere annullato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, purché l’atto di annullamento sia dotato di una motivazione adeguata e specifica riguardo ai vizi del nulla osta" (ex multiis T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 10 novembre 2010, n. 23751).

2.2 Si è anche affermato che "in sede di esame dell’istanza di autorizzazione paesistica la regione (o l’amministrazione subdelegata) deve rispettare il principio fondamentale della leale collaborazione con gli organi del Ministero per i beni e le attività culturali e gli altri principi sulla legittimità dell’azione amministrativa; pertanto, la motivazione dell’autorizzazione deve consentire il riscontro dell’idoneità dell’istruttoria, dell’apprezzamento di tutte le rilevanti circostanze di fatto e della non manifesta irragionevolezza della scelta effettuata sulla prevalenza di un valore in conflitto con quello tutelato in via primaria. Ne discende che il potere dell’amministrazione centrale si estrinseca in un controllo di mera legittimità, che deve ritenersi ben esercitato quanto l’annullamento segua alla constatazione di un difetto di motivazione del nulla osta paesaggistico ambientale, poiché il riesame di legittimità si estende anche al vizio di eccesso di potere per difetto di motivazione (T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 24 ottobre 2009, n. 2982; in senso analogo Consiglio Stato, sez. VI, 22 marzo 2007, n. 1362).

2.3 Deve pertanto evidenziarsi che (cfr. Ad. Plen., 14 dicembre 2001, n. 9; T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 14 settembre 2010, n. 3523), l’autorità che esamina una domanda di autorizzazione paesistica:

– deve manifestare la piena consapevolezza delle conseguenze derivanti dalla realizzazione delle opere nonché della visibilità dell’intervento progettato nel più vasto contesto ambientale e non può fondarsi su affermazioni apodittiche, da cui non si evincano le specifiche caratteristiche dei luoghi e del progetto;

– deve verificare se la realizzazione del progetto comporti una compromissione dell’area protetta, accertando in concreto la compatibilità dell’intervento col mantenimento e l’integrità dei valori dei luoghi.

In relazione ai poteri al riguardo spettanti al Ministero, va ricordato che:

– il potere esercitato dall’Amministrazione statale sulla autorizzazione paesaggistica rilasciata dall’autorità regionale (o dalle autorità subdelegate) va definito in termini di "cogestione dei valori paesistici", nel senso che esso costituisce espressione di amministrazione attiva, nell’ambito di un unitario procedimento complesso nel quale la conclusione del procedimento è appannaggio esclusivo all’amministrazione regionale (o a quella delegata da quest’ultima) soltanto nella ipotesi di diniego di autorizzazione, mentre, al contrario, ove l’autorizzazione sia accordata, essa costituisce il presupposto formale la cui comunicazione al Ministero attiva il necessario riesame del contenuto dell’autorizzazione e dà avvio, dunque, ad un’altra fase necessaria e non autonoma, nella quale il Ministero può annullare entro il prescritto termine di sessanta giorni;

– l’Autorità statale può annullare l’autorizzazione paesistica (oltre che per il vizio di violazione di legge in senso stretto e per quello di incompetenza) anche quando risulti un suo profilo di eccesso di potere (per sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta); la medesima Autorità non può, viceversa, annullare l’autorizzazione paesistica sulla base di proprie considerazioni tecnicodiscrezionali, contrarie a quelle effettuate dalla Regione o dall’Ente subdelegato; – l’esame della domanda di autorizzazione paesaggistica da parte dell’Autorità statale deve essere coerente con il piano paesistico (ove sia stato emanato), si deve basare su un’idonea istruttoria e deve rendere un’adeguata motivazione (da cui devono risultare le ragioni poste a base della affermata prevalenza di un interesse diverso da quello tutelato in via primaria) e deve tenere conto del principio di leale cooperazione che in materia domina i rapporti tra il Ministero e le Regioni (cfr. TAR Brescia 25.2.2008 n. 153).

2.4 La sanatoria in via postuma a fini ambientali è invece consentita soltanto nei ristretti limiti di cui all’art. 167 comma 4 Dlgs. 42/2004 e presuppone l’acquisione del previo e vincolante parere della Soprintendenza, secondo lo speciale procedimento contemplato dal comma 5 del medesimo disposto normativo.

2.5 Alla stregua di tali rilievi non può dirsi che la Soprintendenza abbia esercitato un inammissibile sindacato di merito, in quanto la stessa ha operato nell’ambito del sindacato di legittimità, che non può non riguardare anche i vizi procedimentali.

Ciò tanto più laddove, come nell’ipotesi di specie, si sia recato pregiudizio alla sfera di competenza dell’ organo controllante, e, laddove con una commistione di procedure, non si sia reso possibile il controllo di legittimità delle due distinte procedure, come quella di cui all’art. 32 L. 47/85 e quella di cui all’art. 167 Dlgs, 42/2004, basate su presupposti completamente differenti, il tutto in violazione del principio di leale collaborazione innanzi richiamato.

Ed invero detta commistione in primo luogo non ha consentito un adeguato sindacato della motivazione espressa in sede di rilascio del parere favorevole, ex art. 32 l. 47/85, con conseguente vulnus del potere di controllo della Soprintendenza, posto a tutela del vincolo paesistico ed in secondo luogo ha portato alla pretermissione del parere, obbligatorio e vincolante della Soprintendenza, che deve sussistere ai fini del rilascio in via postuma del nulla osta paesistico ex art. 167 comma 5 del Dlgs. 42/2004.

Come correttamente motivato nell’atto gravato "il provvedimento in esame, con una illegittima procedura che vede riuniti in un unico atto il parere favorevole ex art. 32 della l. 47/85 per le opere abusive, sia il parere favorevole ex art. 167 del D.lvo n. 42/2004 per la compatibilità paesaggistica delle trasformazioni operate, ha sanato il tutto, ritenendo compatibile con il contesto le opere illegittime radicalmente trasformate attraverso una ristrutturazione edilizia. Pertanto il D.D. in esame risulta illegittimo perché commistione di procedure differenti, tese a tutela di interessi pubblici distinti, e perché relativo alla sanatoria di un’opera non più, nei fatti, esistente e alla dichiarazione di compatibilità paesaggistica per opere di ristrutturazione edilizia rilasciata senza il preventivo vincolante parere della Sopreintendenza, come prescritto dal comma 5 dell’art. 167 del D.lvo 42/2004".

Detta motivazione pertanto è da sola sufficiente a sorreggere la legittimità del gravato provvedimento, atteso che ben distinti sono i presupposti delle due procedure e che la procedura ex art. 167 comma 5 Dlgs. 42/2004 contempla il parere preventivo e vincolante della Soprintendenza.

Ciò tanto più che il parere rilasciato dal Comune, con motivazione che richiama pedissequamente il parere positivo della C.E.C.I., non opera alcuna analitica distinzione fra le opere oggetto di istanza di condono ex art. 32 l. 47/85 non oggetto di modifica sostanziale ad opera delle opere successivamente eseguite e tali ultime opere, oggetto di sanatoria in via postuma ex art. 167 Dlgs. 42/2004, non consentendo un adeguato controllo circa la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione della sanatoria in via postuma. Infatti come si è affermato in giurisprudenza "l’art. 167, d.lg. n. 42 del 2004 consente il rilascio di un provvedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica in sanatoria solamente nelle ipotesi tassative previste al comma 4. Al di fuori di tali casi eccezionali vige il divieto previsto dall’art. 146, comma 4, d.lg. n. 42/2004. Non può dunque ritenersi consentito il rilascio di un titolo in sanatoria subordinatamente alla realizzazione di ulteriori lavori, al fine di rendere l’opera conforme alla previsione di cui all’art. 167, d.lg. n. 42 del 2004: la necessità di un intervento edilizio palesa, invero, l’attuale non riconducibilità dell’opera alle ipotesi in cui è consentito il rilascio di un titolo in sanatoria. L’istante non può, quindi, pretendere che l’amministrazione si pronunci sulla compatibilità paesaggistica non dell’opera, quale essa è attualmente, ma quale essa sarebbe a seguito delle modifiche progettuali proposte, perché la legge non lo consente (T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 22 novembre 2010, n. 7311).

2.6 Né rileva nell’ipotesi di specie il richiamo operato dal ricorrente al Protocollo d’Intesa per il coordinamento delle funzioni in materia di sanatoria degli interventi edilizi realizzati in aree soggette al vincolo paesaggistico ambientale nella Provincia di Napoli, sottoscritto dalla Soprintendenza e dalla Regione Campania in data 25 luglio 2001, il quale contempla la possibilità che il Comune in sede di rilascio di condono possa richiedere la presentazione di un progetto di riqualificazione, in quanto detto protocollo presuppone che il progetto sia richiesto dal Comune e non presentato ad iniziativa dall’interessato e che le opere di riqualificazione non siano state eseguite durante la pendenza del condono ma siano contemplate nello stesso provvedimento di condono. Giova ricordare, come già posto in rilievo da questa Sezione in altre occasioni (T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, Sent., 25032011, n. 1773; T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII, 4 maggio 2009, n. 2282; 17 luglio 2008, n. 8937) che: a) nelle premesse del predetto protocollo d’intesa è stato evidenziato "che nella materia dell’abusivismo edilizio è interesse della Soprintendenza… che la sanabilità degli interventi abusivi realizzati nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico ambientale sia subordinata all’esecuzione di opere di riqualificazione ritenute idonee a consentire e/o migliorare l’inserimento dei manufatti abusivi nei contesti tutelati…"; b) all’articolo 1, comma 1, del medesimo protocollo d’intesa è stato stabilito che "il rilascio della concessione edilizia in sanatoria delle opere eseguite su aree sottoposte a vicolo paesaggistico ambientale è subordinato alla presentazione all’Amministrazione comunale, su richiesta di quest’ultima e laddove sia ritenuto necessario, di un progetto di completamento e/o riqualificazione dell’intervento abusivo"; c) nel successivo comma 2 è stato precisato che "il progetto di cui al comma 1 dovrà essere conforme alle direttive e prescrizioni tecniche contenute nell’allegato al presente Protocollo, definite dalla Soprintendenza d’intesa con la Regione, mediante l’individuazione di criteri omogenei rapportati agli specifici valori paesaggistico ambientali delle aree sottoposte a vincolo"; d) nei "criteri generali per la valutazione della compatibilità paesistica delle opere abusive", previsti dall’allegato al Protocollo d’intesa, è specificato che "indipendentemente dalle caratteristiche geomorfologiche delle aree in cui ricadono le opere abusivamente realizzate, la valutazione di ogni singolo caso dovrà accertare che le stesse… non costituiscano organismo in contrasto, per materiali, tipologia edilizia, ovvero per connotazione di precarietà strutturale ed esecutiva, con le caratteristiche ambientali e paesaggistiche del contesto, ovvero con le connotazioni specifiche della preesistenza di cui risultino eventuale ampliamento e/o modificazione"; e) nel medesimo allegato al Protocollo d’intesa è specificato altresì, con particolare riferimento agli "interventi per il completamento, la mitigazione e il miglioramento delle opere abusive", che "per il miglior inserimento delle opere abusive nel contesto ambientale, paesistico e naturale, al fine della riqualificazione dei manufatti abusivi", è prevista la possibilità di imporre "un insieme sistematico di opere atte a riqualificarne l’aspetto esteriore", ivi compresa la sostituzione degli intonaci, dei rivestimenti, delle coperture e delle opere di finitura in genere, laddove quelle esistenti "risultino incongrue con i caratteri architettonici ricorrenti ed i materiali tradizionalmente impiegati nell’architettura locale e/o nella zona di intervento".

Pertanto ove non si ricada nell’ambito di applicabilità del citato protocollo d’intesa, per essere state le opere di ristrutturazione, sia pure da ascriversi ad opere di riqualificazione, eseguite ad iniziativa del privato e prima del rilascio del condono, in relazione alle opere successive non può farsi applicazione della normativa in materia di condono, ma della più rigorosa normativa di cui all’art. 167 Dlgs. 42/2004.

2.7 Del pari irrilevante è il richiamo, contenuto nel primo motivo di ricorso alla possibilità di eseguire opere di completamento su un’immobile per il quale sia pendente istanza di condono.

Come già ritenuto da questa sezione infatti la mera presentazione dell’istanza di condono non autorizza la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento delle opere oggetto della richiesta di sanatoria, le quali, fino al momento dell’eventuale accoglimento della domanda di condono, devono ritenersi comunque abusive (T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 03 novembre 2010, n. 22302; in senso analogo T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 24 novembre 2009, n. 7961). Infatti "in presenza di manufatti abusivi non condonati né sanati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale, alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive. Ciò non significa negare in assoluto la possibilità di intervenire su immobili rispetto ai quali pende istanza di condono, ma solo affermare che, a pena di assoggettamento della medesima sanzione prevista per l’immobile abusivo cui ineriscono, ciò deve avvenire nel rispetto delle procedure di legge, ovvero segnatamente dell’art. 35, l. n. 47 del 1985 (T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 03 dicembre 2010, n. 26788).

Detta norma consente – in presenza dei richiesti presupposti, fra i quali che si tratti di opere di cui all’art. 31, non comprese tra quelle indicate nell’art. 33 – queste non suscettibili di sanatoria in quanto incidenti su aree gravate da vincoli di inedificabilità assoluta – il completamento "sotto la propria responsabilità" di quanto già realizzato e fatto oggetto di domanda di condono edilizio "solo al decorso del termine dilatorio di trenta giorni dalla notifica al Comune del proprio intendimento, con allegazione di perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi" (T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 12 novembre 2010, n. 24017). Parte ricorrente non ha invero dedotto di essersi avvalsa di questa procedura.

Peraltro, ove anche se ne fosse avvalsa, è evidente che per le opere successivamente eseguite, su immobile sottoposto a vincolo paesaggistico, operano i più stringenti limiti, di carattere sostanziale e procedurale, di cui all’art. 167 Dlgs. 42/2004.

3. Del pari è infondato il secondo motivo di ricorso, con cui parte ricorrente deduce che la Soprintendenza avrebbe dovuto procedere ad un annullamento parziale del parere favorevole rilasciato dal Comune di Vico Equense, solo in relazione a quella parte dell’immobile principale interessata dai lavori successivamente eseguiti, consentendo il rilascio del condono in relazione alle altre opere e agli altri manufatti.

Detto assunto, oltre a non trovare alcun fondamento normativo, si rileva comunque infondato atteso

che il Comune ha rilasciato un atto unitario, nell’ambito della cui motivazione non è dato neanche esattamente distinguere in che modo le opere successivamente eseguite abbiano inciso sostanzialmente, sia a livello paesaggistico, che ai fini dell’osservanza di limiti di cui all’art. 167 comma 4 del Dlgs. 42/2004, sulle opere precedenti, rientranti nell’ambito dell’istanza di condono.

4. Del pari infondato è il terzo motivo di ricorso, con cui parte ricorrente deduce la violazione dell’art. 7 della l. 241/90 per non potersi considerare la comunicazione di cui all’art. 159 comma 2 Dlgs. 42/2004, inviata dal Comune, come un equipollente della comunicazione ex art. 7 l. 241/90.

L’assunto è infondato atteso che è la stessa norma di cui all’art. 159 comma 2, secondo periodo ad operare detta equipollenza. In ogni caso, come osservato di recente dal Consiglio di Stato (Consiglio di stato, sez. VI, 01 dicembre 2010, n. 8379) detta comunicazione, seppure diversa da quella di cui all’art. 7 l. 241/90 e basata su un minimum, assolve la funzione di favorire la partecipazione procedimentale.

Infatti ai sensi dell’ art. 159, co. 1, d.lgs. n. 42/2004 nel testo vigente applicabile ratione temporis alla controversia in causa, i Comuni danno comunicazione alle competenti Soprintendenze delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate, e la comunicazione è inviata contestualmente anche agli interessati per i quali costituisce avviso di avvio del procedimento ai sensi e per gli effetti dell’art. 7, l. n. 241/1990.

Nel caso specifico tale prescrizione è stata puntualmente rispettata, in quanto il parere rilasciato dal Comune risulta contestualmente comunicato alla Soprintendenza e all’odierno ricorrente, con nota prot. 30177 del 29 ottobre 2009, nella quale si legge, testualmente che "ai sensi e per gli effetti dell’art. 7 della legge n. 2421/90 e ss.mm.ii tale comunicazione costituisce avvio di procedimento teso al completamento dell’iter di permesso di costuire in sanatoria per gli interventi edilizi di cui all’oggetto", né parte ricorrente ha dedotto di non avere ricevuto tale nota, avendo semplicemente dedotto che la stessa non può valere come comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 l. 241/90.

Né rileva, come osservato nella citata pronuncia Consiglio di Stato, sez. VI, 01 dicembre 2010, n. 8379, che in altra pronuncia il Consiglio di Stato (sez. VI, 24 febbraio 2009 n. 1077), abbia solo apparentemente adottato una soluzione contraria al principio di diritto qui enunciato, "in quanto tale precedente si riferiva ad una fattispecie concreta risalente al 2003 e che ratione temporis era regolata dal d.m. n. 165 del 2002 che non richiedeva il previo avviso da parte della Soprintendenza".

Infatti l’invocato precedente esclude la sussistenza del vizio di omesso avviso di avvio del procedimento, e solo in via di obiter dictum inapplicabile al caso deciso, nel ricostruire la vicenda normativa, afferma "Il Codice sui beni culturali n. 42 del 2004, infine, ha espressamente reintrodotto l’obbligo di previa comunicazione dell’avvio del procedimento di competenza della Sovrintendenza, e da quel momento la giurisprudenza ha ritenuto implicitamente abrogato, per il principio di gerarchia delle fonti, il d.m. n. 165 del 2002. Da allora si è precisato che l’onere di comunicazione non può essere soddisfatto dalla comunicazione che, a volte, il Comune dà all’interessato dell’avvenuta trasmissione della documentazione alla Sovrintendenza per la successiva fase decisoria, perché detta comunicazione sarebbe comunque incompleta non potendo indicare con precisione il giorno dell’inizio del subprocedimento, né il responsabile di quel procedimento, né il termine entro il quale far pervenire all’autorità statale eventuali memorie da parte del richiedente la sanatoria".

Per converso altri precedenti della Sezione affermano che dall’ art. 159, d.lgs. n. 42/2004 si evince che non occorre un autonomo avviso di avvio del procedimento di controllo del nulla osta agli interessati, che ha il suo equipollente nella comunicazione fatta dal Comune agli interessati, volta a renderli edotti che l’autorizzazione non è definitiva, essendo stata inviata alla Soprintendenza (Cons. St., sez. VI, 02 novembre 2007 n. 5682)".

La Sezione quindi condivide il principio di diritto espresso nella citata pronuncia secondo cui "la forma partecipativa prevista dall’art. 159, n. 42/2004 si discosta, nonostante l’espresso richiamo alla l. n. 241/1990, sotto vari profili, dal quadro delle formalità contemplate dalla legge generale sul procedimento amministrativo, in quanto pone l’obbligo della comunicazione a carico di un’amministrazione differente da quella che sarà poi tenuta a provvedere ed, inoltre, non contiene alcun richiamo ai (e, dunque, non impone i) contenuti previsti nell’art. 8, l. n. 24/1990, dal momento che per espressa disposizione di legge l’avviso partecipativo in parola si ritiene compiutamente assolto per effetto della mera comunicazione dell’avvenuta trasmissione del provvedimento autorizzatorio al competente organo statale (Cons. St., sez. V, 29 maggio 2006 n. 3220)".

A tale stregua si deve ritenere che comunque il citato disposto normativo consenta la partecipazione procedimentale, rimettendo all’interessato l’onere di informativa circa l’arrivo degli atti presso la Soprintendenza e circa l’unità organizzativa responsabile del procedimento, restando inteso che ove sia identificata detta unità, per espressa previsione normativa (art. 5 l. 241/90) il responsabile del procedimento si identifica con il titolare dell’Unità medesima, in mancanza di designazione di altro funzionario.

Pertanto le censure di illeggittmità costituzionale dedotte avverso il richiamato disposto dell’art. 159 comma 2 Dlgs. 42/2004 si rilevano del tutto infondate, non essendo comunque vulnerata, nonostante il minimum di informazione contemplata dal predetto art. 159 comma 2 Dlgs. 42/2004, la garanzia partecipativa del privato, funzionale a sua volta al buon andamento dell’Amministrazione ( art. 97 Cost.), né potendo tale disposto considerarsi irragionevole o lesivo della parità di trattamento, in considerazione della diversità delle situazioni contemplate dalle due norme, riferendosi il disposto di cui all’art. 159 comma 2 Dlgs. 42/2004 ad un procedimento attivato d’ufficio – destinato a concludersi nel breve e decadenziale termine di sessanta giorni – ma che s’innesta a sua volta su un procedimento (rilascio nulla osta) attivato dalla parte, che pertanto è in grado di controllare gli sviluppi dell’iter procedimentale.

5. Del pari infondato è il quarto motivo di ricorso, con cui parte ricorrente, deduce la violazione del disposto dell’art. 10 bis l. 241/90, che per costante giurisprudenza non si applica al procedimento di cui è causa.

Infatti "il procedimento di controllo del parere favorevole adottato dall’amministrazione comunale ai sensi dell’art. 32 della L. n. 47/1985 non può essere incluso tra i procedimenti ad istanza di parte perché trattasi di un procedimento che viene avviato a seguito della trasmissione d’ufficio del suddetto parere da parte della stessa Amministrazione comunale; il che esclude che ricada sotto l’imperio dell’art. 10 bis della L. n. 241/1990 (ex multis, Tar Lazio, Roma, sezione seconda, n. 3505/2008; Tar Sardegna, Cagliari, sezione seconda, n. 387/2008; T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, 21052009, n. 2843).

6. Parimenti infondato è il quinto motivo di ricorso, con cui si deduce che il provvedimento sarebbe intervenuto oltre il termine decadenziale di sessanta giorni, avuto riguardo alla data della ricezione da parte del ricorrente, dovendo il provvedimento de quo, in quanto destinato ad incidere sfavorevolmente sulla sfera del destinatario, considerarsi atto recettizio, ai sensi del disposto di cui all’art. 21 bis legge n. 241/90, e dovendo pertanto il termine per la conclusione del procedimento riferirsi al tempo della ricezione dell’atto, ai sensi dell’art. 6 comma 1 del D.M. n. 495/1994.

Ed invero la costante giurisprudenza ha sempre ritenuto di carattere non recettizio l’atto de quo e riferito il termine di sessanta giorni contemplato dall’analogo disposto normativo di cui al previgente 82 comma 2 dpr n. 616 del 1977, nel testo modificato dall’art. 1 dl n. 312 del 1985, conv. nella legge n. 431 del 1985 all’adozione dell’atto (Consiglio Stato, sez. II, 13 dicembre 2006, n. 10387; Cons. Stato, VI, 29 gennaio 2008, n. 224; Consiglio Stato, sez. VI, 29 dicembre 2008, n. 6586, Consiglio Stato, sez. VI, 12 ottobre 2010, n. 7419; da ultimo consiglio di Stato, Sez. VI – sentenza 9 marzo 2011 n. 1483 secondo cui "Il termine di sessanta giorni per l’annullamento in sede statale del nulla osta paesaggistico – previsto dall’art. 82 comma 2 dpr n. 616 del 1977, nel testo modificato dall’art. 1 dl n. 312 del 1985, conv. nella legge n. 431 del 1985 – ancorché perentorio – attiene al solo esercizio del potere di annullamento dell’autorizzazione rilasciata dal Comune, sia perché è estranea alla previsione normativa l’ulteriore fase della comunicazione o notificazione, sia perché l’atto di annullamento non può essere considerato di natura recettizia. E’ pertanto tempestivo l’annullamento in sede statale di detto nulla osta che sia stato adottato entro il termine di 60 giorni dalla data in cui è pervenuto, a nulla rilevando che esso è stato comunicato oltre detto termine")..

Né a diverse conclusioni può prevenirsi sulla base del disposto dell’art. 159 comma 2 Dlgs. 42/2004 secondo cui "la Soprintendenza, se ritiene l’autorizzazione non conforme alle prescrizioni di tutela del paesaggio, dettate ai sensi del presente titolo, può annullarla, con provvedimento motivato, entro i sessanta giorni successivi alla ricezione della relativa, completa documentazione. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 6, comma 6bis, del regolamento di cui al decreto del Ministro per i beni culturali e ambientali 13 giugno 1994, n. 495", in quanto il termine di sessanta giorni appare riferito all’annullamento e quindi all’adozione dell’atto e non alla comunicazione all’interessato. Ciò si evince anche dalla circostanza che in detto comma viene richiamato il solo disposta del comma 6 bis del decreto del Ministro per i beni culturali e ambientali 13 giugno 1994, n. 495 e non anche il comma 1, richiamato da parte ricorrente.

6.1 Tale conclusione non può infine considerarsi superata a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 21 bis l. 241/0, in primo luogo in quanto la norma de qua è norma di carattere generale, laddove quella speciale innanzi richiamata non connota l’atto come recettizio, e in secondo luogo in quanto non può dirsi che l’atto de quo, volto ad un controllo di legittimità di altro atto ampliativo della sfera del privato – quale il parere a fini paesistici in sede di condono – possa considerarsi limitativo della sfera giuridica del destinatario, essendo l’effetto pregiudizievole da riconnettersi solo al successivo atto, con cui l’Amministrazione comunale, in esito al diniego di condono abbia disposto la demolizione del manufatto.

6.2 Del pari destituita di fondamento è la deduzione di parte ricorrente circa la mancanza di protocollo nella nota gravata, indicazione questa necessaria anche ai fini della verifica della tempestività dell’atto, in quanto, come desumibile dalla documentazione depositata dall’Amministrazione resistente il protocollo – n. 5398 del 2009 – è recato nella nota di trasmissione dell’atto gravato.

7. In considerazione dell’infondatezza di tutti i motivi di gravame il ricorso va rigettato.

7.1 Ne consegue che il Comune dovrà partitamente provvedere, nel rispetto delle regole procedimentali e delle competenze della Soprintendenza, con due distinti procedimenti, uno relativo alle opere oggetto di condono, per la parte in cui le stesse non siano state sostanzialmente incise dalle opere successivamente eseguite – verificando se la realizzazione del progetto comporti una compromissione dell’area protetta, accertando in concreto la compatibilità dell’intervento col mantenimento e l’integrità dei valori dei luoghi – e l’altro per le opere successivamente eseguite, nel rispetto di quanto prescritto dall’art. 167 Dlgs. 42/2004 e previa acquisizione del parere preventivo e vincolante della Soprintendenza.

7. Le spese di lite seguono la soccombenza nei rapporti fra le parti costituite si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite nei confronti del Ministereo resistente, liquidate complessivamente in euro 2.000,00 (duemila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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