T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, Sent., 10-06-2011, n. 3076 Atti amministrativi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato in data 5 aprile 2007 e depositato il successivo 30 aprile Filippo Maresca ha impugnato l’ordinanza in epigrafe indicata, notificatagli in data 6 febbrario 2007, con cui gli si ordinava la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi in relazione ad opere abusivamente eseguite in ampliamento rispetto a manufatto già oggetto di due istanze di condono edilizio, presentate ai sensi della l. 47/85 e ai sensi della l. 724/94, non ancora esitate perché in attesa di integrazione documentale.

Avverso tale atto ha articolato le seguenti censure, affidate a sette motivi di ricorso.

1)Eccesso di potere per erroneità dei presupposti di fatto; Violazione del principio del giusto procedimento indeterminatezza; violazione dell’obbligo di provvedere; violazione degli artt. 38 e 44 legge 47/85, artt. 2,7, e 8 l. 241/90; violazione D.P.R. 380/01.

In relazione alle opere contestate il ricorrente ha presentato due istanze di condono edilizio per cui il Comune non avrebbe potuto ingiungerne la demolizione, senza la previa definizione, anche al fine di verificare se le opere eseguite successivamente alla presentazione delle istanze di condono potevano essere considerate quale opere di completamento di quanto oggetto di condono edilizio.

2) Violazione e falsa applicazione art. 31 D.P.R: 380/01 in relazione all’art. 31 l. b) L. 47/85, art. 3, comma 1, lett. b) D.P.R. 380/01 nonché al D.L. 24/95 e successive reiterazioni, richiamato dalla l. 662/96; eccesso di potere per violazione del principio del giusto procedimento.

Eccesso di potere per carenza di motivazione e genericità del provvedimento; carenza di istruttoria ed erroneità dei presupposti di fatto. Genericità.

L’Ufficio tecnico senza indicare la tipologia urbanistica degli interventi edilizi contestata alla ricorrente e soprattutto senza indicate la norma del D.P.R. violata ha ingiunto il ripristino dello stato dei luoghi delle opere rinvenute al momento del sopralluogo, in quanto ritenute sprovviste di permesso di costruire.

Il Comune avrebbe dovuto invece qualificare al tipologia degli interventi contestati ai ricorrenti secondo le categorie previste dal D.P.R. 380/01 e indicare quindi quale titolo edilizio ritenesse necessario per la tipologia edilizia, applicando infine le sanzioni irrogabili in assenza del tiolo ritenuto necessario.

Nel caso di specie in particolate sembrerebbero sussistere i presupposti per l’applicazione della sanzione pecuniaria.

L’illegittimità del provvedimento impugnato è inoltre di tutta evidenza laddove non specifica con esattezza le opere oggetto di ripristino, non consentendo al ricorrente di ottemperare all’ordinanza medesima.

3) Violazione art. 31 D.P.R. 380/01 in relazione agli artt. 3 lett. e), 6, artt. 32 e 34 D.P.R. 380/01; eccesso di potere e violazione del principio legalità e tipicità delle sanzioni amministrative; carenza di motivazione.

La sanzione del ripristino dello stato dei luoghi ex artt. 31 D.P.R: 380/01 è legittima solo in presenza di opere costruite in assenza o in difformità di permesso di costruire che abbiano comportato la creazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quelle oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile.

Soltanto siffatta tipologia di opere, che abbiano specifica rilevanza e siano autonomamente utilizzabili, possono essere oggetto di acquisizione gratuita da parte del Comune, tanto è vero che la P.A. deve indicare già nel provvedimento l’area che viene acquisita, ai sensi del comma 3 del medesimo disposto normativo, in caso di inottemperanza.

Nulla di tutto ciò è contenuto nell’ordinanza impugnata, che pertanto si appalesa illegittima anche sotto tale profilo.

4) Violazione e falsa applicazione art. 3 comma 3 l. n. 241/90; eccesso di potere; carenza di motivazione; violazione del giusto procedimento.

Il provvedimento impungnato non contiene alcuna motivazione in forza della quale si sarebbe optato per una sanzione così grave, essendovi solo un generico riferimento all’art. 31 D.P.R. 380/01.

5) Violazione e falsa applicazione art. 31 D.P.R. 380/01; eccesso di potere; violazione del giusto procedimento; sviamento.

Il provvedimento impungnato non contiene la benché minima indicazione dell’area di sedime e di quella necessaria alla realizzazione di opere analoghe che sarà di diritto acquisita al patrimonio comunale nell’ipotesi di mancata ottemperanza all’ordine di ripristino dello stato dei luoghi.

Evidente sotto questo profilo l’illegittimità del provvedimento impugnato.

6) Violazione e falsa applicazione D.P.R: 380/01; violazione della l. 241/1990; Eccesso di potere; Inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto. Sviamento.

Il gravato provvedimento è stato adottato senza la valutazione della possibilità di sanare la costruzione de quo, ai sensi delle previsioni urbanistiche vigenti.

Da ciò un ulteriore profilo d’illegittimità dell’atto impugnato.

7) Violazione e falsa applicazione D.P.R. 380/01; Violazione della L. 241/90; eccesso di potere; Inesistenza dei presupposti in fatto e in diritto. Sviamento.

La misura ripristinatoria è frutto di carente istruttoria che ha portato a conseguenze travisate sul piano dell’esatta identificazione dell’abuso e quindi della sanzione prescelta.

Nell’ipotesi di specie le opere non comportano alcun rilevante mutamento dell’assetto edilizio urbanistico del territorio comunale, trattandosi tra l’altro di opere conformi alle previsioni urbanistiche.

Da ciò l’illeggittmità del provvedimento anche per difetto di istruttoria e di motivazione.

Si è costituito il Comune resistente, instando per il rigetto del ricorso, siccome infondato.

All’esito della camera di consiglio del 23 maggio 2007, fissata per la trattazione del’istanza cautelare il collegio ha emanato l’ordinanza n 1515/2007 con la quale "Considerato che il provvedimento impugnato resiste alle doglianze di parte, in quanto sanziona la realizzazione, senza titolo, di superfici e volumi aggiuntivi rispetto alle opere già fatte oggetto di domanda di condono edilizio" ha rigettato l’istanza cautelare.

In data 11 marzo 2011 parte ricorrente ha prodotto le due istanze di condono edilizio, nonché domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica.

In data 21 marzo 2011 il Comune resistente ha depositato memoria difensiva, controdeducendo ai motivi di ricorso.

In pari data anche parte ricorrente ha prodotto memoria difensiva con la quale, oltre a reiterare le censure già articolate con il ricorso, ha invocato l’applicabilità al caso di specie della nuova disciplina regionale di cui alla l. n. 1 del 5 gennaio 2011 recante modifiche alla legge regionale n. 19/09 ccc.dd. "piano casa", che consente aumenti volumetrici nella misura del 20%., deducendo che

l’art. 11 bis comma VII della legge n. 1/2011 ha sancito l’applicabilità del disposto dell’art. 4 della medesima legge anche alle opere realizzate anteriormente all’entrata in vigore della norma.

Da ciò l’illegittimità, nella prospettiva del ricorrente, dell’ordinanza gravata anche per contrasto con lo ius superveniens.

Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’udienza pubblica del 21 aprile 2011.
Motivi della decisione

1. In via preliminare il Collegio evidenzia la tardività delle memorie difensive prodotte da entrambe le parti in data 21 marzo 2011, ovvero 29 giorni liberi, prima dell’udienza in violazione del disposto di cui all’art. 73 comma 1 c.p.a. che prevede quale termine per il deposito delle memorie il termine di trenta giorni liberi (senza computo né del dies a quo né del dies ad quem) prima dell’udienza.

1.2 Alcuna rilevanza ha al riguardo la circostanza che il giorno antecedente cadeva in giorno festivo, in quanto, come noto "l’art. 155 quarto comma cod. proc. civ., diretto a prorogare al primo giorno non festivo il termine che scada in giorno festivo, opera con esclusivo riguardo ai termini cosiddetti a decorrenza successiva, e non anche per quelli che si computano "a ritroso", con l’assegnazione di un intervallo di tempo minimo prima del quale deve essere compiuta una determinata attività, in quanto, altrimenti, si produrrebbe l’effetto contrario di un’abbreviazione di quell’intervallo, in pregiudizio delle esigenze garantite con la previsione del medesimo" (ex multiis Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19041 del 12/12/2003).

1.3 Ciò posto, in considerazione della circostanza che l’udienza di discussione del ricorso è stata fissata successivamente alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 104/2010 recante il codice del processo amministrativo e che pertanto si applica ratione temporiis la nuova disciplina dei termini di cui all’art. 73 comma 1, le memoria depositate da entrambe le parti devono considerarsi tardive (cfr la riguardo T.A.R. Toscana Firenze, sez. III, 02 febbraio 2011, n. 183 secondo cui "l’art. 2 dell’allegato 3 del d.lgs. n. 104/2010 statuisce che, per i termini in corso alla data di entrata in vigore del codice del processo amministrativo, continuano a trovare applicazione le norme previgenti. Pertanto, ad avviso del Collegio, per definire il regime transitorio rilevante ai fini del giudizio su tale eccezione, occorre distinguere il caso in cui, alla data del 16 settembre 2010, risulti essere già stata fissata l’udienza, dal caso in cui ciò non sia avvenuto. Nella prima ipotesi, preesistendo all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo la concreta identificazione del dies a quo (ancorché a ritroso) coincidente con la data di udienza, la presentazione di memorie e documenti avviene in pendenza del termine fissato per il deposito, con conseguente applicazione della normativa previgente al d.lgs. n. 104/2010; nella seconda ipotesi, in mancanza della concreta individuazione, alla data del 16 settembre 2010, del dies a quo stesso, il deposito di memorie e documenti, benché sia comunque consentito, non può avvenire durante la pendenza del periodo previsto dal citato art. 2, non essendo nella suddetta data predefinito il giorno dell’udienza che funge da termine di riferimento").

1.4 Anche nel sistema introdotto dal codice deve invero ritenersi – come nel precedente (cfr Consiglio Stato, sez. IV, 09 luglio 2010, n. 4462, secondo cui "nel processo amministrativo non si può tener conto delle memorie o della documentazione depositate dalla parte dopo la scadenza del termine previsto per tali adempimenti dall’art. 23, l. 6 dicembre 1971 n. 1034, applicabile anche al giudizio d’appello, essendo espressione del generale principio di rispetto del contraddittorio, a sua volta riconducibile al principio dell’equo processo di cui all’art. 6, conv. europea dei diritti dell’uomo, resa esecutiva con l. 4 agosto 1955 n. 848; Consiglio Stato, sez. V, 17 novembre 2009, n. 7166, secondo cui "nel giudizio amministrativo, il termine assegnato alle parti per il deposito delle memorie è perentorio e non può subire deroghe nemmeno con il consenso delle parti, essendo esso previsto non solo a tutela del contraddittorio ma anche a garanzia del corretto svolgimento del processo e dell’adeguata e tempestiva conoscenza degli atti di causa da parte del collegio giudicante) – che i termini fissati per il deposito di memorie e documenti siano perentori.

1.5 Tali conclusioni risultano confermate anche dal disposto di cui all’art. 54 comma 1 del c.p.a. che prevede la possibilità del collegio di autorizzare, su richiesta di parte, la presentazione tardiva di memorie e documenti, assicurando comunque il rispetto del diritto delle controparti al contraddittorio su tali atti, quando la produzione nel termine di legge risulta estremamente difficile, disposto questo di carattere eccezionale e derogatorio da non applicarsi al di fuori dei casi in esso contemplati e quindi non applicabile alla fattispecie di cui è causa, in mancanza di istanza di parte e dell’allegazione dell’impossibilità di produrre l’atto difensivo nel termine di legge.

2. In ogni caso, a prescindere da tali assorbenti rilievi, vi è da evidenziare che parte ricorrente con la memoria depositata in data 21 marzo 2011 ha dedotto una censura ulteriore rispetto a quelle articolate con il ricorso, ovvero il contrasto dell’atto impungnato con la normativa sopravvenuta di cui alla legge. n. 1/2011.

Tale censura non può comunque essere presa in considerazione in quanto come noto con la memoria difensiva non può essere allargato il "thema decidendum" e in particolare non possono essere dedotte censure ulteriori, che possono formare solo oggetto di motivi aggiunti, né una memoria difensiva non notificata all’Amministrazione può valere come ricorso per motivi aggiunti (ex multiis T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 17 novembre 2010, n. 25190, secondo cui "le memorie che non sono state notificate non valgono come ricorso per motivi aggiunti, ma come mera memoria difensiva che, nel processo amministrativo, non può allargare il "thema decidendum").

Ciò posto il ricorso si appalesa infondato, alla stregua dei rilievi che seguono.

3.Nell’esaminare i motivi di ricorso il Collegio procederà ad una trattazione congiunta dei motivi che presentano affinità dal punto di vista logico e strutturale.

4. Ciò posto, il Collegio osserva che l’atto oggetto di gravame è stato adottato sulla base del presupposto dell’esecuzione, ad opera della ricorrente, sine titulo, di ulteriori opere su immobile oggetto di due domande di condono edilizio, ex lege n. 47/85 ed ex lege n. 724/1994, dopo la presentazione dell’istanza di condono, come è dato evincere dalla lettura del provvedimento, nel quale si specifica che erano state rilevate le seguenti opere:

A) Corpo di fabbrica su due livelli completamente finito avente una superficie utile residenziale di circa 190 mq;

B) Locale cantina posta sotto al piano terra del fabbricato avente superficie di circa 65 mq;

C) corpo di fabbrica in ampliamento al piano terra del fabbricato di cui al punto, A) parzialmente al rustico e posto a copertura della cassa scale del locale cantina di cui al punto B), avente due vani finestra privi di infissi e superficie di circa mq. 8,5;

D) Piccola piscina prefabbricata.

Nel provvedimento medesimo si specifica inoltre che in relazione alle opere di cui sopra agli atti dell’ufficio risultava:

1) istanza di condono ai sensi della legge n. 47/85 per una superficie abitabile di mq. 66,24 e di mq. 14,03 di superficie non residenziale (pratica in attesa di integrazione)

2) istanza di condono ai sensi della l. 724/1994 per una superficie utile di mq. 65 e di mq. 100 di superficie non residenziale.(pratica in attesa di integrazione).

Le opere rinvenute pertanto presentano caratteristiche planovolumetriche diverse da quelle che avevano formato oggetto di condono, come è dato evincere dal confronto della superficie residenziale, dal che si evince che sono stati eseguite delle opere in ampliamento successivamente alla presentazione delle istanze di condono.

In particolare il manufatto sub C) risulta senza dubbio costruito in un secondo momento come si evince dalla circostanza che lo stesso era stato rinvenuto al rustico.

Il Dirigente ha quindi disposto la demolizione limitatamente alle opere non oggetto di condono edilizio.

5. Alla stregua di questa premessa il primo motivo di ricorso si appalesa infondato, in quanto l’Amministrazione, al contrario di quanto dedotto da parte ricorrente, non ha ingiunto la rimessione in pristino in relazione alle opere oggetto di condono, ma in relazione ad opere successivamente realizzate, per le quali la parte non ha dedotto di avere seguito la procedura di cui all’art. 35 comma 13 l. 47/85.

La mera presentazione dell’istanza di condono non autorizzava pertanto la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento delle opere oggetto della richiesta di sanatoria, le quali, fino al momento dell’eventuale accoglimento della domanda di condono, devono ritenersi comunque abusive (T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 03 novembre 2010, n. 22302; in senso analogo T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 24 novembre 2009, n. 7961 secondo cui inoltre "laddove poi si tratti di opere eseguite in area vincolata" – come nella specie – "occorre che venga acquisito il parere delle autorità competenti ai sensi dell’articolo 32 della stessa legge ed è inapplicabile il meccanismo del silenzio assenso, alla luce delle disposizioni di cui alla legge summenzionata").

Pertanto l’ingiunzione di demolizione è del tutto legittima atteso che "in presenza di manufatti abusivi non condonati né sanati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale, alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione. Ciò non significa negare in assoluto la possibilità di intervenire su immobili rispetto ai quali pende istanza di condono, ma solo affermare che, a pena di assoggettamento della medesima sanzione prevista per l’immobile abusivo cui ineriscono, ciò deve avvenire nel rispetto delle procedure di legge, ovvero segnatamente dell’art. 35, l. n. 47 del 1985 (T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 03 dicembre 2010, n. 26788).

Detta norma consente – in presenza dei richiesti presupposti, fra i quali che si tratti di opere di cui all’art. 31, non comprese tra quelle indicate nell’art. 33 – queste non suscettibili di sanatoria in quanto incidenti su aree gravate da vincoli di inedificabilità assoluta – il completamento "sotto la propria responsabilità" di quanto già realizzato e fatto oggetto di domanda di condono edilizio "solo al decorso del termine dilatorio di trenta giorni dalla notifica al Comune del proprio intendimento, con allegazione di perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi" (T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 12 novembre 2010, n. 24017).

6. Alla stregua di tali rilievi del tutto infondato si appalesa anche il secondo e il terzo motivo di ricorso, atteso che, come detto, le opere eseguite a completamento di immobili oggetto di condono edilizio ripetono le medesime caratteristiche di illegittimità rispetto all’immobile principale non ancora condonato, che nella specie non può che essere qualificato che quale nuova costruzione, ex art. 31 D.P.R., trattandosi di immobile ad uso abitabile di notevoli dimensioni, norma questa correttamente indicata nel gravato provvedimento.

6.1 In ogni caso le opere eseguite successivamente alla presentazione dell’istanza di condono hanno comportato aumento di volumetria e modifica dei prospetti per cui le stesse, a prescindere dal superiore rilievo, sarebbero qualificabili comunque quali opere di ristrutturazione edilizia, ai sensi e per gli effetti dell’art. 33 D.P.R. 380/01.

6.2 Inoltre le opere medesime sono state eseguite in zona sottoposta a vincolo paesistico, come è dato evincere dalla disanima dell’atto gravato, non oggetto di contestazione sul punto, per cui le stesse, a prescindere dalla loro qualificazione, in quanto eseguite sine titulo, sono comunque suscettibili di demolizione ai sensi dell’art. 27 comma 2 D.P.R: 380/01,

6.3 Vi è infine da evidenziare che le opere oggetto di demolizione appaiono esattamente individuate in forza del raffronto fra le opere oggetto di condono e quelle accertate.

Da ciò la possibilità del ricorrente, che ha prodotto i progetti dei due condoni edilizi, di procedere all’ottemperanza dell’ordinanza de qua.

6.4 Correttamente pertanto il Comune, nelle more della definizione del condono, in presenza di opere di completamento non oggetto di alcuna istanza ex art. 35 l. 47/85, ha fatto applicazione dell’art. 31 D.P.R. 380/01.

6.5 Né alcun rilievo assume la circostanza, essendosi in presenza di una mera ingiunzione di demolizione, sia pure adottata ex art. 31 D.P.R., che non sia indicata l’area oggetto di acquisizione in ipotesi di inottemperanza in quanto "l’indicazione dell’area di sedime da acquisire al patrimonio comunale non deve considerarsi requisito dell’ordinanza di demolizione – e dunque la mancanza non ne inficia la legittimità – giacché siffatta specificazione è elemento essenziale del distinto provvedimento con cui l’Amministrazione accerta la mancata ottemperanza alla demolizione da parte dell’ingiunto(ex multiis da ultimo T.A.R. Puglia Lecce, sez. III, 09 dicembre 2010, n. 2809).

A tale stregua va disatteso anche il quinto motivo di ricorso.

7. Del pari infondati sono il quarto ed il quinto motivo di ricorso con cui si deducono il vizio di motivazione, in relazione alla sanzione irrogata, anche in considerazione della possibilità di sanare l’opera.

7.1 Ed invero presupposto per l’adozione dell’ordine di demolizione di opere abusive è soltanto la constatata esecuzione di un intervento edilizio in assenza del prescritto titolo abilitativo, con la conseguenza che, essendo tale ordine un atto dovuto, esso è sufficientemente motivato con l’accertamento dell’abuso, e non necessita di una particolare motivazione in ordine all’interesse pubblico alla rimozione dell’abuso stesso, – che è in re ipsa, consistendo nel ripristino dell’assetto urbanistico violato – ed alla possibilità di adottare provvedimenti alternativi (ex multis, T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, 28 dicembre 2009, n. 9638; Sez. VI, 9 novembre 2009, n. 7077; Sez. VII, 4 dicembre 2008, n. 20987).

7.2 Pertanto alcuna valutazione sulla sanabilità delle opere de quibus doveva essere effettuata dall’Amministrazione in quanto le opere medesime non avevano formato oggetto di alcuna istanza di sanatoria; correttamente l’ingiunzione di demolizione si giustifica con il mero richiamo alla realizzazione delle stesse in assenza del prescritto permesso di costruire.

Inoltre venendo nella specie in rilievo opere eseguite in zona vincolata, comportanti aumento di volumetria e modifica della sagoma, le opere medesime non appaiono comunque suscettibili di sanatoria, non essendo consentito il rilascio del nulla osta ambientale in via postuma ex art. 167 dlgs. 42/2004 (T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 02 marzo 2010, n. 1235, secondo cui "qualora si tratti di opere che comportino aumento di volumetria e modifiche della sagoma, in assenza di nulla osta paesistico conseguito prima dell’attività edificatoria, non può essere inoltrata un’istanza di accertamento di conformità. Come noto, infatti, l’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146, l. n. 42 del 2004 non può essere rilasciata in sanatoria dopo la realizzazione dell’opera"; in senso analogo Consiglio Stato, sez. IV, 08 ottobre 2007, n. 5203; T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 08 maggio 2008, n. 3646).

A tale stregua si palesa irrilevante anche la documentazione prodotta da parte ricorrente, relativa alla richiesta di autorizzazione paesaggistica.

8. Alla stregua di quanto innanzi indicato va del pari disatteso l’ultimo motivo di ricorso, in quanto in presenza della tipologia delle opere e della circostanza che le stesse sono state eseguite in ampliamento di immobile oggetto di due istanze di condono edilizio non ancora esitate in zona sottoposta tra l’altro a vincolo paesaggistico correttamente il Comune irrogato la sanzione demolitoria.

9. In considerazione dell’infondatezza di tutte le censure il ricorso va rigettato.

10. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite nei confronti del Comune resistente, liquidata in complessivi euro 2.000.00 (duemila/00) oltre i.v.a e c.p.a., se dovuti, come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2011 con l’intervento dei magistrati:

Salvatore Veneziano, Presidente

Michelangelo Maria Liguori, Consigliere

Diana Caminiti, Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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