T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, Sent., 10-06-2011, n. 3074 Impianti di ripetizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato in data 12 ottobre 2004 e depositato il successivo 15 ottobre H.S., ha impugnato la nota n.3539 del 14.6.2004, successivamente comunicata, con cui il Capo Settore del Servizio Urbanistica del Comune di Casalnuovo di Napoli ha ordinato "di non dare corso all’esecuzione delle opere oggetto della comunicazione di inizio attività" in relazione alla D.I.A. protocollata il 30/04/2004 da H3G per installare un impianto di telefonia in via dei Tigli.

Ha altresì richiesto il risarcimento dei danni per lucro cessante, in relazione alla mancata attivazione dell’impianto de quo.

A sostegno del ricorso ha dedotto in punto di fatto:

1) che il Comune resistente aveva già adottato atto di diniego in relazione ad altro impianto- sito in altra zona – contenente una motivazione similare a quella dell’atto di cui all’odierno gravame, oggetto di annullamento da parte di questo T.A.R. con sentenza 4041/2004; tale sentenza veniva appellata innanzi al Consiglio di Stato che con ordinanza n. 3745 del 2004 respingeva l’istanza di sospensione dell’efficacia della sentenza;

2) che l’ordinanza oggetto dell’odierno giudizio concerne l’inibizione dei lavori in relazione alla D.I.A. presentata dalla ricorrente per la realizzazione in zona F8 del PRG, in viale dei Tigli, nei pressi della stazione Circumvesuviana, del secondo degli impianti necessari alla propria rete infrastrutturale, denuncia corredata di tutta la documentazione prescritta del nuovo T.U.;

3) che l’ordinanza de qua è motivata sulla base di illegittimi rilievi, ovvero sulla circostanza:

a) che la stazione radio base è in contrasto con le NTA del vigente P.R.G. in quanto ricade in zona F8 destinata a verde parco dove son consentite unicamente costruzioni temporanee che integrano la destinazione di zona e cioè attrezzature per il gioco, chioschi e ritrovi ristoranti;

b) che la stazione radio base risulta in contrasto con l’art. 83 del vigente Regolamento Edilizio, la quale consente la realizzazione delle suddette strutture solo all’esterno della perimetrazione;

c) che gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria, se sono realizzati da soggetti diversi dal Comune, sono soggetti a permesso di costruire, previsto per l’istallazione di torri e tralicci;

d) che la pratica in oggetto non era corredata del parere A.R.P.A.C..

Ciò posto ha articolato le seguenti censure avverso l’atto in epigrafe, affidate a sei motivi di ricorso:

1) Violazione di legge; violazione dell’art. 3 comma 8 della legge n. 205/2000, come sostituito dall’art. 21, settimo comma della legge n. 1034/1971; inottemperanza ed elusione dell’ordine della magistratura; violazione dell’art. 2909 c.c.; violazione del giusto procedimento di legge.

Con l’atto oggetto di impugnativa l’Amministrazione resistente ha reiterato la motivazione di incompatibilità con le disposizioni del P.R.G. e di insufficienza del permesso di costruire, già ampiamente censurate da questo Tribunale con la sentenza n. 4041 del 2004 innanzi richiamata; in senso analogo a tale pronuncia il T.A.R. adito si è inoltre pronunciato con la sentenza n. 9671/2004.

L’atto è pertanto illegittimo in quanto emanato in aperta violazione del contenuto delle pronunce di questo Tribunale.

2) Violazione di legge; violazione e mancata applicazione del Dlgs. 259/2003; violazione e falsa applicazione della legge regionale n. 5/2002; eccesso di potere; erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto; difetto di istruttoria.

Il provvedimento impugnato presenta gravi profili di illegittimità, sub specie di eccesso di potere, derivante da un lato dalla erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto e dall’altro dall’evidente difetto di istruttoria, anche nell’unica parte motiva originale nella quale viene dedotto che la pratica non è corredata dal parere dell’ARPAC.

Costituisce infatti ius receptum che il deposito del parere preventivo favorevole dell’ARPA non è prescritto per la formazione del titolo ovvero l’inizio dei lavori o la fine dei lavori ma solo, in via esclusiva, per l’attivazione dell’impianto, come palesato dalla disanima dell’art. 87 del codice delle comunicazioni che prescrive al quarto comma che "copia dell’istanza ovvero della denuncia viene inoltrata contestualmente all’Organismo di cui al comma 1 (in Campania l’ARPAC) che si pronuncia entro trenta giorni dalla comunicazione.

Nel caso di specie la ricorrente ha diligentemente provveduto ad inoltrare all’ARPA Campania accurata relazione, contenente l’Analisi di Campo Elettromagnetico (cd. A.I.E.), proprio al fine di acquisire il parere tecnico sanitario, preventivo alla attivazione, secondo quanto prescritto dalla l. 36/2001 ed oggi dal Dlgs. 259/2003, ai fini della conformità del progetto ai limiti prescritti dal D.P.C.M. 8/07/2003.

Detto parere pertanto è solo preventivo alla attivazione dell’impianto e non anche ai lavori di realizzazione dell’impianto.

La normativa pertanto non subordina il perfezionarsi del titolo abilitativo alla previa acquisizione dei prescritti pareri ed in particolare di quello sanitario, alla cui acquisizione potrà al più essere condizionata l’attivazione del segnale telefonico.

3) Violazione di legge; Violazione del codice delle comunicazioni approvato con il Dlgs. n. 259/2003; violazione dell’art. 86, comma 3 ed art. 87 ed art. 93 del Dlgs. 259/2003; violazione della normativa comunitaria; violazione e falsa applicazione art. 14 l. n. 36/2001; illegittimità derivata da quella delle NTA del PRG del Comune; eccesso di potere, incompetenza; difetto assoluto di istruttoria; carenza di motivazione; violazione dell’art. 41 Cost.; eccesso di potere; sviamento.

L’atto impugnato è illegittimo in quanto si è fatta applicazione di una disposizione, risalente al 1990, ormai divenuta incompatibile con la sopravvenuta normativa statale e comunitaria in materia di telecomunicazioni.

Lo stesso infatti viola le disposizioni di cui agli artt. 86 comma 3, 87 e 93 del Dlgs. 259/2003 ed in generale le disposizioni, poste a tutela della salute dalla esposizione di campi elettromagnetici introdotte dalla l. 36/2001 e dal D.P.C.M. 8/07/2003, le quali hanno introdotto valori di esposizione ed obiettivi di qualità che non prevedono affatto divieti assoluti di istallazione in tutte le aree del perimetro abitato, né nella zona "F", come nel caso in esame.

Ed invero le infrastrutture per impianti di telefonia, in base alla normativa di settore, sono equiparate alla opere di urbanizzazione primaria di cui all’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001, per cui il dirigente avrebbe dovuto disapplicare la disposizione preclusiva, di contro applicata, atteso che le opere di urbanizzazione primaria, che costituiscono servizi essenziali che rendono funzionale e praticabile una destinazione di zona, anche se specifica, sono compatibili con ciascuna destinazione di zona di P.R.G. ed altresì in zona "F8" destinata a parco, tanto più che nell’ipotesi di specie trattasi di zona prossima alla stazione circumvesuviana.

La preclusione di impianti in tutte la zona del centro abitato è inoltre in contrasto con i limiti introdotti dal D.P.C.M. del 8/07/2003, nonché con quanto oggi disposto dalla lett. c) dell’art. 5 del Dlgs. 259/2003.

Pertanto la disposizione regolamentare, preclusiva della realizzazione delle infrastrutture de quibus in tutto il centro abitato, in quanto in contrasto con la normativa nazionale di settore avrebbe dovuto essere disapplicata dal Dirigente.

Detto disposto è quindi disapplicabile da parte del G.A. adito essendo ormai ius receptum che non deve essere oggetto di specifica impugnativa unitamente all’atto applicativo l’atto regolamentare in contrasto con la fonte primaria.

4) Violazione di legge; violazione e falsa applicazione della legge n. 36/2001; violazione e falsa applicazione del D.M. n. 381/98 (oggi D.P.C.M. 8707/2003); violazione e falsa applicazione del D.M. n. 259/2003; violazione dell’art. 41 Cost.; incompetenza del Comune di Casalnuovo, Difetto assoluto di motivazione e di istruttoria; eccesso di potere per sviamento; illogicità e contraddittorietà; Violazione del giusto procedimento.

L’atto impungnato è illegittimo in quanto si basa su una motivazione del tutto erronea in relazione a ciascuno dei profili ostativi addotti.

Ed invero il Comune non può, seppure servendosi delle proprie potestà in materia urbanistica, dettare in modo surrettizio ulteriori limiti per ridurre l’esposizione ai campi elettromagnetici.

Infatti le disposizioni richiamate dal Comune di Casalnuovo prescindono completamente dai criteri (esclusivamente rapportati ai limiti di valore di campo elettromagnetico, previsti dal D.M. n. 391/98 a protezione della salute della popolazion) e mirano ad introdurre limiti e criteri ulteriori, di diversa natura, e- in ogni caso- più restrittivi di quelli dettati a livello statale.

Il Comune pertanto non era competente a statuire su una materia (limite all’esposizione di campo elettromagnetico), fissando limiti generalizzati di esposizione diversi da quelli previsti dallo Stato; ciò tra l’altro in contrasto con la previsione di cui all’art. 86 Dlgs. 259/2003 che equipara le opere de quibus a quelle di urbanizzazione primaria, come tali realizzabili anche nelle zone residenziali abitate.

5) Violazione di legge; violazione dell’art. 87 Dlgs. 259/2003; Violazione e falsa applicazione del comma 15 dell’art. 4 del D.L. n. 398/2003, oggi D.P.R: 380/2001; Violazione del codice delle comunicazioni; violazione e falsa applicazione dell’art. 10. lett. A) del D.P.R: 380/01; Violazione dell’art. 7 lett. B del D.P.R. 380/2001. Violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90; Difetto assoluto di motivazione e di istruttoria; Eccesso di potere per sviamento; Violazione del giusto procedimento.

Il provvedimento appare del pari viziato laddove il Dirigente ritiene insufficiente la D.I.A. di cui all’art. 87 del T.U. delle Comunicazioni; rilevando "che a norma dell’art. 3 comma 1 lett. e 2 del DPR n. 380/01 gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria, se sono realizzati da soggetti diversi dal Comune, sono soggette a permesso di costruire previsto dalla medesima norma lett. e 4 per l’istallazione di impianti e tralicci".

Detto rilievo è stato invero già sconfessato dalla citata sentenza T.A.R. Campania – Napoli, sez. I. n. 9671/2004 nella quale si è evidenziato che la D.I.A. deve ritenersi titolo idoneo anche per gli impianti GSM con potenza eguale o inferiore a 20 Watt, principio questo perfettamente applicabile alla fattispecie de qua, atteso che e nella documentazione progettuale allegata alla D.I.A. si era precisato che l’impianto aveva una potenza eguale o inferiore a 20 Watt.

Del tutto erronea è pertanto la motivazione addotta dal Comune atteso che il D.P.R. 380/01 è, per quanto riguarda le infrastrutture delle telecomunicazioni, superato dal disposto dell’art. 87 del Dlgs. 259/2003, da ritenersi applicabile alla fattispecie de qua in quanto disposizione posteriore e speciale.

6) Violazione del principio della libera concorrenza fra gli operatori del settore delle telecomunicazioni fissato dall’art. 2 del D.P.R. 318/1997; violazione dell’art. 13 comma 4 e 5 del Dlgs. n. 259/2003; disparità di trattamento.

Il provvedimento impugnato appare illegittimo anche sotto altro profilo, atteso che il Comune impedisce a H3G di poter realizzare l’impianto sul Comune di Casalnuovo, laddove altri operatori potranno continuare ad esercitare il segnale telefonico, in violazione del principio cardine fissato dall’art. 2 del D.P.R. n. 318/1997 che stabilisce la concorrenza tra gli operatori di telecomunicazioni.

In merito all’istanza risarcitoria parte ricorrente ha dedotto che il traffico telefonico in transito attraverso stazioni omologhe a quelle di cui è causa poteva essere stimato in non meno di euro 1.500,00 pro die; pertanto l’Amministrazione, alla quale può imputarsi la colpa grave, dovrebbe essere condannata al risarcimento dei danni pari al mancato utile giornaliero per il periodo di forzata inattività dell’impianto.

Si è costituto il Comune resistente depositando in data 8 novembre 2004 articolata memoria difensiva nella quale tra l’altro ha dedotto che la denuncia di inizio attività era stata presentata a soggetto non competente a riceverla, dovendo la stessa, ai sensi della legge regionale Campania n. 14 del 2001 essere presentata al Presidente dalla Provincia competente per territorio.

Con ordinanza n. 5210/2004 adottata all’esito della camera di consiglio del 10 novembre 2004 il Collegio ha rigettato l’istanza cautelare sulla base del rilievo che deve ritenersi consentito al sindaco il divieto di realizzazione dell’impianto stesso in un’area destinata a parco pubblico.

Con atto depositato in data 8 marzo 2011 il Comune resistente si è costituito a mezzo di nuovo difensore in sostituzione del precedente, che si è limitato a fare proprie le deduzioni ed eccezioni del precedente difensore.

In data 21 marzo 2011 parte ricorrente ha depositato memoria difensiva in cui ha ulteriormente illustrato i motivi di ricorso.

In data 8 aprile 2011 il Comune resistente ha depositato memoria di replica nella quale ha in particolare dedotto che sull’area de qua doveva essere realizzato un parco urbano attrezzato.

Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’udienza pubblica del 21 aprile 2011.
Motivi della decisione

1. In via preliminare va precisato che non può essere presa in considerazione la memoria depositata dal Comune resistente in data 8 aprile 2011, ovvero oltre la scadenza del termini di venti giorni liberi prima dell’udienza fissato dall’art. 73 comma 1 c.p.a. previsto per le memorie di replica, né la documentazione allegata a detta memoria che doveva essere depositata nel termine di quaranta giorni liberi prima dell’udienza, ai sensi del medesimo disposto normativo.

1.1 Ed invero, in considerazione della circostanza che l’udienza di discussione del ricorso è stata fissata successivamente alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 104/2010, recante il codice del processo amministrativo e che pertanto si applica ratione temporiis la nuova disciplina dei termini di cui all’art. 73 comma 1, la memoria depositata dall’Amministrazione deve considerarsi tardiva (cfr la riguardo T.A.R. Toscana Firenze, sez. III, 02 febbraio 2011, n. 183 secondo cui "l’art. 2 dell’allegato 3 del d.lgs. n. 104/2010 statuisce che, per i termini in corso alla data di entrata in vigore del codice del processo amministrativo, continuano a trovare applicazione le norme previgenti. Pertanto, ad avviso del Collegio, per definire il regime transitorio rilevante ai fini del giudizio su tale eccezione, occorre distinguere il caso in cui, alla data del 16 settembre 2010, risulti essere già stata fissata l’udienza, dal caso in cui ciò non sia avvenuto. Nella prima ipotesi, preesistendo all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo la concreta identificazione del dies a quo (ancorché a ritroso) coincidente con la data di udienza, la presentazione di memorie e documenti avviene in pendenza del termine fissato per il deposito, con conseguente applicazione della normativa previgente al d.lgs. n. 104/2010; nella seconda ipotesi, in mancanza della concreta individuazione, alla data del 16 settembre 2010, del dies a quo stesso, il deposito di memorie e documenti, benché sia comunque consentito, non può avvenire durante la pendenza del periodo previsto dal citato art. 2, non essendo nella suddetta data predefinito il giorno dell’udienza che funge da termine di riferimento").

1.2 Anche nel sistema introdotto dal codice deve invero ritenersi – come nel precedente (cfr Consiglio Stato, sez. IV, 09 luglio 2010, n. 4462, secondo cui "nel processo amministrativo non si può tener conto delle memorie o della documentazione depositate dalla parte dopo la scadenza del termine previsto per tali adempimenti dall’art. 23, l. 6 dicembre 1971 n. 1034, applicabile anche al giudizio d’appello, essendo espressione del generale principio di rispetto del contraddittorio, a sua volta riconducibile al principio dell’equo processo di cui all’art. 6, conv. europea dei diritti dell’uomo, resa esecutiva con l. 4 agosto 1955 n. 848; Consiglio Stato, sez. V, 17 novembre 2009, n. 7166, secondo cui "nel giudizio amministrativo, il termine assegnato alle parti per il deposito delle memorie è perentorio e non può subire deroghe nemmeno con il consenso delle parti, essendo esso previsto non solo a tutela del contraddittorio ma anche a garanzia del corretto svolgimento del processo e dell’adeguata e tempestiva conoscenza degli atti di causa da parte del collegio giudicante) – che i termini fissati per il deposito di memorie e documenti siano perentori.

1.3 Tali conclusioni risultano confermate anche dal disposto di cui all’art. 54 comma 1 del c.p.a. che prevede la possibilità del collegio di autorizzare, su richiesta di parte, la presentazione tardiva di memorie e documenti, assicurando comunque il rispetto del diritto delle controparti al contraddittorio su tali atti, quando la produzione nel termine di legge risulta estremamente difficile, disposto questo di carattere eccezionale e derogatorio da non applicarsi al di fuori dei casi in esso contemplati e quindi non applicabile alla fattispecie di cui è causa, in mancanza di istanza di parte e dell’allegazione dell’impossibilità di produrre l’atto difensivo nel termine di legge.

2. Sempre in via preliminare va evidenziato come non può prendersi in alcuna considerazione la deduzione contenuta nella memori difensiva depositata dal Comune in data 8 novembre 2004 relativamente al fatto che la denuncia di inizio attività era stata presentata a soggetto non competente a riceverla, dovendo la stessa, ai sensi della legge regionale Campania n. 14 del 2001 essere presentata al Presidente dalla Provincia competente per territorio, venendo nella specie in rilievo una motivazione postuma – come tale inammissibile – realizzata mediante gli atti difensivi, predisposti dall’Amministrazione resistente.

2.1 Infatti si deve ritenere anche dopo le modifiche apportate dalla l. 7 agosto 1990 n. 241, dalla l. 11 febbraio 2005 n. 15, che rimane sempre valido il principio secondo cui la motivazione del provvedimento non può essere integrata nel corso del giudizio, dovendo la motivazione precedere e non seguire ogni provvedimento amministrativo, a tutela del buon andamento amministrativo e dell’esigenza di delimitazione del controllo giudiziario. (giurisprudenza costante, ex mulitiis da ultimo T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 01 dicembre 2010, n. 26444; Consiglio Stato, sez. V, 15 novembre 2010, n. 8040; in senso analogo T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 17 febbraio 2011, n. 996; T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 16 dicembre 2010, n. 4550).

3. Venendo al merito del ricorso, lo stesso si presenta fondato nei limiti di seguito indicati.

4. La censura di cui al primo motivo di ricorso con cui si prospetta la violazione del giudicato per avere il Comune resistente adottato un atto contenente motivazione affine ad altro atto già oggetto di annullamento da parte di questo T.A.R. con sentenza n.4041 /2004 non può essere accolta, venendo nell’ipotesi di specie in rilievo una denuncia di inizio attività del tutto distinta da quella che aveva formato oggetto della citata pronuncia del T.A.R., relativa ad altra stazione radio base, per cui non si è in presenza di un atto reiterativo del precedente.

4.1 Inoltre per stessa ammissione di parte ricorrente l’atto di cui è causa contiene una motivazione almeno in parte diversa da quella contenuta nell’atto oggetto di annullamento,ovvero la circostanza che la denuncia non era corredata dal parere ARPAC.

Del pari nuova deve considerarsi la motivazione relativa all’incompatibilità dell’impianto de quo con la destinazione a verde parco.

Dette motivazioni sarebbero invero idonee, ove fondate, a sorreggere da sola l’atto de quo, essendosi in presenza di un atto plrurimotivato.

5. Il secondo motivo di ricorso, con cui si deduce la violazione dell’art. 87 Dlgs. 259/2003 ed il correlativo vizio di motivazione in relazione alla necessità, prospettata nell’atto gravato, del rilascio del parere ARPAC ai fini della formazione del titolo e dell’inizio dei lavori, è meritevole di accoglimento.

Ed invero come anche affermato di recente dal Consiglio di Stato "la previsione ci cui all’art. 87, d.lgs. n. 259 del 2003 postula che il parere dell’ARPA sia richiesto solo ed esclusivamente ai fini della concreta attivazione dell’impianto, non sussistendo un onere per il richiedente di allegare il parere in questione in sede di presentazione dell’istanza (ovvero della DIA), né un puntuale obbligo di far pervenire il parere medesimo all’Ente procedente entro il termine di novanta giorni di cui al comma 9 dell’art. 87, cit..(Consiglio Stato, sez. VI, 24 settembre 2010, n. 7128; in senso analogo T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 15 luglio 2009, n. 696; T.A.R. Sicilia Palermo, sez. II, 09 gennaio 2008, n. 9; T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 20 dicembre 2006, n. 10647).

6. Del pari fondato è il terzo motivo di ricorso nella parte in cui si deduce la violazione degli art. 86 comma 3 e dell’art. 93 del Dlgs. 259/2003, per avere il Comune motivato l’atto de quo anche con il richiamo all’art. 83 del regolamento edilizio comunale, il quale consente l’istallazione delle strutture di cui è causa solo all’esterno della perimetrazione del centro abitato, norma da doversi disapplicare in quanto in contrasto con la suindicata sopravvenuta normativa di rango primario.

6.1 Ed invero il collegio ritiene di condividere quanto già affermato da questo T.A.R. con la sentenza sez. I. n. 4041/2004 secondo cui "neppure il richiamo all’art. 83 del regolamento edilizio è idoneo a supportare il provvedimento impugnato, atteso che, come correttamente osserva la ricorrente, un divieto generalizzato di istallazione delle stazioni radio base all’interno del centro abitato è illegittimo, contrastando apertamente con le riserve statali e regionali in materia di tutela della salute e di localizzazione degli impianti; che non può essere condivisa l’osservazione della difesa del Comune, secondo la quale la norma regolamentare doveva essere tempestivamente impugnata, atteso che è stata ormai acquisita dalla giurisprudenza amministrativa la possibilità di disapplicare le norme regolamentari illegittime".

6.2 In base al consolidato indirizzo della giurisprudenza del Consiglio di Stato "la selezione dei criteri di insediamento degli impianti deve tener conto della nozione di rete di telecomunicazione, che per definizione richiede una diffusione capillare sul territorio, segnatamente nei casi di telefonia mobile c.d. cellulare, che alla debolezza del segnale di antenna associa un rapporto di maggiore contiguità delle singole stazioni radio base. L’ assimilazione per effetto dell’ art. 86 del d.lgs. n. 259 del 2003 delle infrastrutture di reti pubbliche di telecomunicazione alle opere di urbanizzazione primaria implica, inoltre, che le stesse debbano collegarsi ed essere poste al servizio dell’insediamento abitativo e non essere dalle stesso avulse (cfr. da ultimo Cons. St., VI, n. 2434 del 28 aprile 2010; Cons. Stato Sez. VI, Sent., 27122010, n. 9404).

6.3 A tale stregua va disapplicato, in quanto configgente con la normativa di rango primario, il disposto dell’art. 83 del regolamento edilizio comunale.

Infatti secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 29 maggio 2008, n. 2535; T.A.R. Lombardia Milano, Sez. II, 19 febbraio 2009, n. 1322), il giudice amministrativo ha il potere di disapplicare un regolamento non conforme a legge, valutando così direttamente il contrasto tra provvedimento e legge, ed annullando il provvedimento, a prescindere dall’impugnazione congiunta del regolamento e del relativo provvedimento attuativo.

7. Del pari fondato è il terzo di ricorso, laddove si deduce la violazione della citata normativa di cui al Dlgs. 259/2003, in relazione a quella parte del provvedimento motivata sul rilievo dell’incompatibilità dell’impianto de quo con la destinazione a verde pubblico, in contrasto con le norme tecniche di attuazione del P.R.G..

7.1 Come già evidenziato da questa Sezione, "a fronte delle richieste di autorizzazione alla realizzazione di impianti di telefonia o di denunce di inizio di attività, i Comuni hanno l’obbligo di rendere esplicite le eventuali concrete difformità dell’impianto dalle previsioni regolamentari preesistenti o sopravvenute (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, n. 7391 del 2005 e n. 9674 del 2005), mentre nel caso di specie si rinvia genericamente alla non coerente localizzazione dell’impianto con la destinazione di utilizzo dell’area a verde pubblico non indicando la previsione pianificatoria che vieta tale installazione (tra l’altro illegittima vista l’assimilazione ex lege degli impianti alle opere di urbanizzazione primaria compatibili con ciascuna zona del PRG (T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, 07112005, n. 18583).

Infatti in presenza della specifica previsione di cui all’art. 86 del D.lgs. n. 259/2003, il quale assimila, ad ogni effetto, le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione alle opere di urbanizzazione primaria, ed in assenza di specifiche previsioni, deve ritenersi che gli impianti di telefonia mobile non possano essere assimilati alle normali costruzioni edilizie; pertanto, la loro realizzazione non è soggetta a prescrizioni urbanistico edilizie preesistenti, le quali si riferiscono a tipologie di opere diverse e sono state elaborate con riferimento a possibilità di diverso utilizzo del territorio, nell’inconsapevolezza del fenomeno della telefonia mobile e, più in generale, dell’inquinamento elettromagnetico in generale. Conseguentemente, il titolo autorizzatorio non può essere negato se non avuto riguardo ad una specifica disciplina conformativa, che prenda in considerazione le reti infrastrutturali tecnologiche necessarie per il funzionamento del servizio pubblico (in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, 17 ottobre 2003, n. 7725; TAR Campania, sez. I, 13 febbraio 2002, n. 983, 20 dicembre 2004, n. 14908; 16309; T.A.R. Sicilia Palermo Sez. II, Sent., 09032011, n. 419).

7.2 Pertanto ancorchè il Comune mantenga intatte le proprie competenze in materia di governo del territorio, queste tuttavia, per espressa valutazione legislativa, non possono interferire con quelle relative alla installazione delle reti di telecomunicazione e, in particolare, non possono determinare vincoli e limiti così stringenti da concretizzarsi in un divieto di carattere pressoché generalizzato (e senza prevedere alcuna possibile localizzazione alternativa) in contrasto con le esigenze tecniche necessarie a consentire la realizzazione effettiva della rete di telefonia cellulare che assicuri la copertura del servizio nell’intero nel territorio comunale.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 331/2003 ha, infatti, chiarito che nell’esercizio dei suoi poteri, il Comune non può rendere di fatto impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, trasformando i criteri di individuazione, che pure il comune può fissare, in limitazioni alla localizzazione con prescrizioni aventi natura diversa da quella consentita dalla legge quadro n. 36 del 2001.

7.3 Infine vi è da osservare che l’art. 90 del citato D.Lgs. n. 259/2003 dispone che gli impianti in questione e le opere accessorie occorrenti per la loro funzionalità hanno "carattere di pubblica utilità", con possibilità, quindi, di essere ubicati in qualsiasi parte del territorio comunale, essendo compatibili con tutte le destinazioni urbanistiche (residenziale, verde, agricola, ecc.: cfr., in tal senso, C.G.A. ordinanza 5 luglio 2006, n. 543; Cons. Stato, sez. VI, 4 settembre 2006, n. 5096; T.A.R. Sicilia Palermo Sez. II, Sent., 09032011, n. 419).

8. Del pari fondato è il quarto motivo di ricorso con cui si deduce la violazione e falsa applicazione della legge n. 36/2001, del D.M. n. 381/98 (oggi D.P.C.M. 8707/2003; del D.M. n. 259/2003; violazione dell’art. 41 Cost., l’ incompetenza del Comune di Casalnuovo, il difetto assoluto di motivazione e di istruttoria

8.1 Infatti il Comune non può, mediante il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia urbanistica, adottare misure le quali nella sostanza costituiscano una deroga ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato, quali, esemplificativamente, il divieto generalizzato di installare stazioni radiobase per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee, ovvero la introduzione di distanze fisse da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino (cfr. anche, in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, 29 novembre 2006, n. 6994;T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 06 aprile 2009, n. 661).

Tali disposizioni sono, infatti, funzionali non al governo del territorio, ma alla tutela della salute dai rischi dell’elettromagnetismo e si trasformano in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva allo Stato attraverso l’individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro della Salute (in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, IV, 3 giugno 2002, n. 3095, 20 dicembre 2002, n. 7274, 14 febbraio 2005, n. 450, 5 agosto 2005, n. 4159; sez. VI, 1° aprile 2003, n. 1226, 30 maggio 2003, n. 2997, 30 luglio 2003, n. 4391; 26 agosto 2003, n. 4841, 15 giugno 2006, n. 3534).

luglio 2010, n. 4557; T.A.R. Sicilia Palermo Sez. II, Sent., 09032011, n. 419).

9. Parimenti fondato è il quinto motivo di ricorso con cui si deduce la violazione dell’art. 87 Dlgs. 259/2003 in relazione a quella parte del provvedimento che, rinviando all’art. 3 del D.P.R. 380/01, prevede che l’intervento de quo è soggetto a permesso di costruire – da ciò l’insufficienza della d.i.a. – in quanto le opere di urbanizzazione primaria e secondaria se sono realizzate da soggetti diversi dal Comune sono soggette a permesso di costruire, previsto inoltre con riferimento all’istallazione di torri e tralicci.

9.1 Ed invero i procedimenti autorizzatori relativi alle infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici sono disciplinati dall’art. 87, d.lg. n. 259 del 2003 che, nel caso di installazione di impianti, con tecnologia UMTS od altre, con potenza in singola antenna uguale od inferiore ai 20 Watt, considera sufficiente la denuncia di inizio attività, conforme ai modelli predisposti dagli Enti locali e, ove non predisposti, al modello B di cui all’allegato n. 13 (ex multiis T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 03 marzo 2009, n. 1216).

Detta norma, in quanto di carattere speciale deve considerarsi prevalente su quella di cui all’art. 3 D.P.R. 380/2001, tra l’altro antecedente.

La prevalenza del disposto di cui al citato art. 87, d.lg. n. 259 si ha pertanto sia in forza del prevalente principio"lex specialis derogat generali", che in forza del generico principio, secondo cui "lex posterior derogat priori".

9.2 Detta opzione ermeneutica è tra l’altro in linea con l’orientamento del Consiglio di Stato (Cons. Stato Sez. VI, sent. n. 100 del 21 gennaio 2005; Cons. Stato Sez. VI, sent. n. 3040 del 9 giugno 2005; da ultimo Cons. Stato Sez. VI, Sent., 27122010, n. 9404) con cui si è sottolineato che l’esigenza di far confluire in un procedimento unitario le valutazioni sia radioprotezionistiche che di compatibilità urbanistica ed edilizia dell’intervento trova riscontro nei criteri di delega del Codice delle radiocomunicazioni, intesi all’introduzione di procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti per la concessione del diritto di installazione di infrastrutture e ricorso alla condivisione delle strutture; riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi, nonché regolazione uniforme dei medesimi procedimenti, anche con riguardo a quelli relativi al rilascio di autorizzazioni per la installazione delle infrastrutture di reti mobili, in conformità ai principi di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241 (art. 41 della legge 1 agosto 2002, n. 166).

E’ evidente che dette esigenze di tempestività e contenimento dei termini resterebbero vanificate se il nuovo procedimento venisse ad abbinarsi e non a sostituirsi a quello previsto in materia edilizia.

9.3 Sussistono, inoltre, plurimi elementi di carattere strettamente testuale che evidenziano gli effetti abilitanti, anche sul piano della trasformazione urbanistica del territorio, dei titoli autorizzatori regolamentati dall’ art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003.

Ed invero:

– l’oggetto di siffatti provvedimenti è identificato nell’ installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici, che costituisce proprio il momento trasformativo sul piano materiale dell’assetto del territorio;

– il momento valutativo degli enti locali, in relazione alla sfera di attribuzioni sul controllo del territorio, è mantenuto distinto dagli accertamenti sulla compatibilità dell’impianto quanto ai limiti di esposizione, ai valori di attenzione ed agli obiettivi di qualità, che è riservato, in via preventiva, all’ organismo competente i sensi dell’art. 14 della legge n. 36 del 2001;

– il carattere omnicomprensivo del procedimento quanto alla valutazione di tutti gli interessi di rilievo pubblico coinvolti dall’installazione della infrastruttura di telecomunicazione, è avvalorato dal comma sesto dell’art. 87 ove è prevista, nel caso di motivato dissenso di una delle amministrazioni interessate, la convocazione di apposita conferenza di servizi per l’adozione, a maggioranza ed in via sostitutiva, di atti di competenza di singole amministrazioni;

– infine il comma decimo della disposizione in esame, con norma di chiusura, stabilisce che le opere debbono essere realizzate, a pena di decadenza, nel termine perentorio di dodici mesi dalla ricezione del provvedimento autorizzatorio espresso, ovvero dalla formazione del silenzio assenso, il che dimostra per tabulas che i procedimenti autorizzatori ivi disciplinati esplicano piena efficacia abilitante con riguardo anche all’esercizio del ius aedificandi (Cons. Stato Sez. VI, Sent., 27122010, n. 9404).

10. In considerazione della fondatezza dei motivi di ricorso con cui si contestano tutte le motivazioni poste a base dell’atto gravato, va assorbito il sesto motivo di ricorso.

11. Va per contro rigettata l’istanza risarcitoria, in primo luogo in quanto non vi è alcuna certezza del diritto della perdita da lucro cessante in relazione all’impianto de quo in assenza del parere favorevole dell’ARPAC, necessario ai fini dell’attivazione dell’impianto medesimo.

In secondo luogo l’istanza risarcitoria è formulata in termini estremamente generici e senza il supporto di alcun elemento probatorio in ordine al dedotto mancato guadagno, quantificato genericamente in euro 1.500,00 pro die.

12. In conclusione il ricorso va accolto nei sensi di cui in motivazione e per l’effetto va annullato il provvedimento in epigrafe, mentre la domanda risarcitoria va rigettata.

13. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto annulla l’atto in epigrafe indicato.

Rigetta la domanda risarcitoria.

Condanna il Comune resistente alla refusione delle spese di lite nei confronti di parte ricorrente, liquidate complessivamente in euro 2.000.00 (duemila/00), oltre alla restituzione di quanto eventualmente anticipato a titolo di contributo unificato, ed oltre ad i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2011 con l’intervento dei magistrati:

Salvatore Veneziano, Presidente

Michelangelo Maria Liguori, Consigliere

Diana Caminiti, Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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