Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15-04-2011) 09-06-2011, n. 23275 Infortunio sul lavoro

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

M.M. è stato tratto a giudizio davanti al Tribunale di Avellino per rispondere del reato di cui all’art. 40 cpv. c.p., art. 590 c.p., comma 3 perche, quale titolare della ditta Conceria Roma, per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia e in particolare nella violazione del D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 10 e 389 omettendo di verificare ed esigere il rispetto delle condizioni di sicurezza nell’ambiente di lavoro, così da consentire al dipendente C.A., operaio con la qualifica di bottalista di accedere al reparto bottali ed operare sugli sportelli di carico e scarico dei bottali stessi posizionandosi sui rispettivi ripiani di carico siti a quota 2,80 mt rispetto al calpestio del capannone e privi di solide coperture e parapetti, gli cagionava lesioni gravi con frattura alla colonna vertebrale giudicate guaribili oltre il quarantesimo giorno ed una incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni oltre il quarantesimo giorno, in quanto il C., in data 28.08.2001, impugnando uno dei maniglioni dello sportello di carico e scarico del bottale perdeva l’equilibrio e cadeva sul sottostante pavimento.

Con sentenza del 4.01.08 il Tribunale di Avellino in composizione monocratica aveva dichiarato M.M. responsabile del reato di cui sopra e lo aveva condannato, concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, alla pena di mesi tre di reclusione (pena condonata) oltre al pagamento delle spese processuali, al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede e alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile.

Avverso la decisione del Tribunale di Avellino ha proposto appello il difensore dell7 imputato. La Corte di Appello di Napoli, con la sentenza oggetto del presente ricorso emessa in data 20.01.2009, in riforma della sentenza emessa nel giudizio di primo grado, sostituiva la pena detentiva inflitta a M.M. in quella pecuniaria pari ad Euro 3420,00; confermava nel resto e condannava l’appellante alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, liquidate in complessivi Euro 1000,00 oltre al rimborso forfettario, I.V.A. e C.P.A..

Avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli M.M., a mezzo del suo difensore, proponeva ricorso per Cassazione e concludeva chiedendone l’annullamento.

All’udienza pubblica del 15/01/2011 il ricorso era deciso con il compimento degli incombenti imposti dal codice di rito.
Motivi della decisione

M.M. ha censurato la sentenza impugnata per il seguente motivo:

violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) anche per contrasto con specifici atti del processo ed in relazione agli artt. 516, 521 e 522 cod. proc. pen.. Secondo il ricorrente dall’istruttoria dibattimentale sarebbe emersa una modalità di produzione delle lesioni diversa da quella contestata nel capo di imputazione e ritenuta dai giudici di merito, in quanto la persona offesa aveva riferito che, mentre stava lavorando su di una passerelle, all’incirca a quattro metri di altezza, era venuto meno un sostegno determinando la sua caduta al suolo. Pertanto il M. non aveva omesso, come ritenuto dai giudici di merito, di predisporre i parapetti, nè rispondeva al vero che su quella postazione di lavoro c’era più spazio tra pedana e macchinario,ma, come aveva riferito la persona offesa C.A., era venuta meno la pedana e tale fatto spiegava perchè, nel sopralluogo compiuto dall’Ispettorato del lavoro, mesi dopo l’infortunio, era risultata una distanza tra bottale e pedana più ampia rispetto agli altri bottali. Secondo il ricorrente la Corte territoriale non aveva fornito alcuna motivazione relativamente alle doglianze formulate con i motivi di appello ed aveva operato una ricostruzione in totale contrasto con le dichiarazioni della stessa persona offesa, senza stabilire quale fosse la condotta, derivante dalla comune prudenza ed esperienza che l’imputato avrebbe dovuto tenere e senza verificare la sussistenza del nesso di causalità tra l’omissione e l’evento.

Il proposto motivo di ricorso è palesemente infondato, in quanto ripropone questioni di merito a cui la sentenza impugnata ha dato ampia e convincente risposta e mira ad una diversa ricostruzione del fatto preclusa al giudice di legittimità.

Tanto premesso si osserva che il ricorso proposto per illogicità della motivazione seleziona un percorso che si esonera dalla individuazione dei capi o dei punti della decisione cui si riferisce l’impugnazione ed egualmente si esonera dalla indicazione specifica degli elementi di diritto che sorreggono ogni richiesta. Le censure che investano la manifesta illogicità della motivazione impongono una analisi del testo censurato al fine di evidenziare la presenza dei vizi denunziati.

Tutto ciò non è rintracciabile nell’odierno ricorso poichè manca di qualsiasi considerazione per la motivazione criticata, e lungi dall’individuare specifici difetti di risposta, si duole del risultato attinto dalla sentenza impugnata e accumula circostanze che intenderebbero ridisegnare il fatto ascritto al ricorrente in chiave a lui favorevole, al fine di ottenere in tal modo una decisione solamente sostitutiva di quella assunta dal giudice di merito.

Nella sentenza oggetto di ricorso è infatti chiaro il percorso motivazionale che ha indotto quei Giudici a confermare la sentenza di primo grado.

La Corte di Appello infatti ha correttamente ritenuto la riconducibilità dell’infortunio al vuoto eccessivo esistente tra il ripiano e il bottale, sulla base del rapporto informativo dell’Ispettorato del Lavoro, secondo cui l’infortunio era avvenuto poichè il bottale presso cui si è verificato il sinistro era distante dal ripiano circa cm. 40 ed era privo di pedana. Nè è condivisibile l’assunto della difesa secondo cui la circostanza che mancasse proprio la pedana costituisse un mutamento del fatto, dal momento che nel capo di imputazione si legge che i ripiani di carico siti a quota 2,80 metri rispetto al calpestio del capannone erano privi di solide coperture e parapetti, trattandosi di un elemento non idoneo a modificare la sostanza del fatto. Correttamente sul punto la Corte territoriale ha sottolineato la compiuta articolazione del capo di imputazione, nel quale è stato fatto riferimento ai generali profili di colpa, oltre che alla violazione del D.P.R. n. 547 del 1955.

Sulla base di queste argomentazioni correttamente i Giudici della Corte di Appello hanno confermato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato il M. responsabile del grave infortunio, in quanto il M. aveva omesso di prendere le opportune precauzioni affinchè il lavoratore C.A. operasse in condizioni di sicurezza, in quanto egli, nella sua qualità di datore di lavoro, era tenuto, ai sensi dell’art. 2087 c.c., a preservare l’incolumità fisica del dipendente.

Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Non può invece essere dichiarata la prescrizione del reato, in quanto la dichiarazione di inammissibilità, secondo la concorde giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass., Sez. 1, Sent. n. 24688 del 4.06.08, Rv.240594),preclude la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione anche se maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non dedotta, nè rilevata nel giudizio di merito.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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