Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 13-04-2011) 09-06-2011, n. 23228

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

F. che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

Con sentenza dell’8-3-2010 la Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma di quella emessa il 25-2-2008 dal GUP del Tribunale di Termini Imerese nei confronti di M.F., e in accoglimento dell’appello del PM in punto di determinazione della pena, elevava la pena a questi inflitta ad anni due, mesi uno e giorni dieci di reclusione ed Euro 400 di multa, in relazione al reato di furto pluriaggravato della tessera bancomat di C. F. e all’abusivo utilizzo della stessa per il prelievo di Euro 250.

L’appello del difensore dell’imputato veniva rigettato sul rilievo, tra l’altro, dell’attendibilità delle dichiarazioni della p.o. che aveva riferito come la mattina del 27-7-2004, mentre, con l’imputato ed altre persone, si stava recando in un bar di Termini Imerese per fare colazione, M. lo avesse invitato a lasciare il portafoglio, contenente fra l’altro la tessera bancomat, nel cruscotto della sua autovettura, onde evitare di perderlo stante l’abbigliamento estivo indossato, privo di tasche. M. si era poi allontanato in autovettura, adducendo un impegno urgente, per fare ritorno dopo circa mezz’ora, tempo compatibile con l’abusivo utilizzo del bancomat. Pure credibile era ritenuta la deposizione della fidanzata di C., A.R., secondo la quale alcuni giorni prima, mentre si trovavano alla cassa di un negozio, M. si era avvicinato e, spingendola, aveva così avuto l’opportunità di vedere e memorizzare il codice pin digitato dal fidanzato.

Ricorre M. per il tramite del difensore avv. Francesco Caratozzolo, deducendo violazione di diverse norme processuali e sostanziali nonchè vizio di motivazione. Le censure investono innanzi tutto la ritenuta attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa e della fidanzata di questi, qualificate per contro oggettivamente inverosimili e quindi non credibili, anche perchè C. ha reso dichiarazioni a formazione progressiva (la prima querela è stata accompagnata da successive integrazioni) in modo da adattare i fatti asseritamente occorsi, all’orario del prelievo presso lo sportello bancomat.

Un rilievo subordinato investe la sussistenza dell’aggravante della destrezza, esclusa la quale si rendono applicabili le sanzioni di cui all’art. 626 c.p., comma 1, n. 1, questione che la corte d’appello ha esaminato per puro tuziorismo pur ritenendola estranea al devolutum, ma che il ricorrente assume già oggetto dei motivi d’appello con i quali era stata chiesta l’integrale rivalutazione del compendio processuale.

Inoltre "per completezza espositiva", si rilevava l’omessa notifica dell’appello del PM, con richiesta di rimessione in termini per la proposizione di appello incidentale. Da ultimo il ricorrente censurava il rigetto della richiesta di applicazione della disciplina della continuazione in relazione ad altre condanne per fatti analoghi, indicando quali indici rivelatori dell’unicità di disegno criminoso la distanza temporale tra i fatti, le modalità di essi, l’omogeneità delle violazioni.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va disatteso.

La prima censura è inammissibile, in quanto tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito e già adeguatamente valutati sia dal tribunale che dalla corte d’appello.

Nel caso in esame, infatti, entrambe le pronunce hanno ineccepibilmente osservato che la prova del fatto ascritto all’imputato riposava nella testimonianza della persona offesa, la cui credibilità è stata adeguatamente argomentata (valorizzando, in particolare, l’assenza di motivi di inimicizia o di astio nei confronti del prevenuto, conosciuto da poco), e nel sostegno a questa derivante dalle dichiarazioni della fidanzata, la quale, corroborando analoghe dichiarazioni di C., aveva evidenziato come l’accoglimento da parte di questi della proposta di depositare il portafoglio nel cruscotto dell’autovettura di M., fosse il frutto di una precedente, subdola azione di questi volta ad accreditarsi presso i due giovani come ufficiale dei carabinieri, giungendo a mostrare loro una divisa custodita in un armadio. La sentenza impugnata non è dunque sindacabile, sotto tal profilo, in questa sede, perchè questa corte non deve condividere o sindacare la decisione, ma verifica re se la sua giustificazione sia, come nel caso in esame, sorretta da validi elementi dimostrativi, compatibile con il senso comune e, data come valida la premessa in fatto, logica, senza aver trascurato elementi in astratto decisivi (nella specie non allegati dal ricorrente, tale non potendo ritenersi l’asseritamente sospetta "formazione progressiva" delle dichiarazioni di C., all’evidenza frutto di ricostruzione per gradi del fatto, una volta rilevato l’abusivo prelievo mediante la sua carta bancomat, senza contare che proprio una versione studiata a tavolino, non avrebbe richiesto progressivi adattamenti).

La censura inerente alla sussistenza dell’aggravante della destrezza, è del pari inammissibile in quanto integra violazione di legge non dedotta con i motivi d’appello (ma soltanto, tardivamente, con le conclusioni rassegnate nel giudizio di secondo grado). Si aggiunga che, anche a ritenere impugnato il punto relativo a tale aggravante per effetto dell’impugnazione della pronuncia di responsabilità – secondo il, peraltro discutibile, criterio che il più contiene il meno -, la doglianza sarebbe infondata avendo le sentenze di merito evidenziato le ragioni per le quali le modalità della condotta di M. implichino approfittamento di circostanze atte a sviare l’attenzione della persona offesa, distogliendola dal controllo della cosa. Comunque il fine perseguito attraverso la doglianza, cioè la qualificabilità del furto come d’uso ex art. 626 c.p., comma 1, n. 1, sarebbe comunque precluso dal rilievo che soltanto un’interpretazione distorta di tale ultima norma, la cui ratio risiede nell’esigenza di punire più lievemente una forma di appropriazione ritenuta meno grave, potrebbe ricomprendere nel concetto di "uso momentaneo" previsto dalla stessa, seguito da immediata restituzione, la commissione di un reato (quale l’abusivo utilizzo della carta bancomat, avvenuto nella specie). Manifestamente infondata è poi la censura di omessa notifica all’imputato dell’appello del PM, peraltro non sollevata nel giudizio di secondo grado (in cui era stato chiesto il rigetto del gravame), risultando la stessa ritualmente effettuata ai sensi dell’art. 157 c.p.p., con la compiuta giacenza della raccomandata mediante la quale era stato spedito l’avviso dell’avvenuta notificazione.

Da ultimo, quanto alla doglianza relativa al mancato riconoscimento della continuazione, si osserva che alla stessa, già oggetto di motivo d’appello, la corte territoriale ha dato compiuta risposta sia richiamando le pertinenti osservazioni del Gup, sia osservando che i reati già giudicati non si riportano, per tempo, modalità e condotta, al disegno criminoso alla base dei fatti in esame (tutt’altra cosa essendo l’omogeneità dello stile di vita), e a tali argomenti il ricorrente non ha opposto concreti elementi di segno contrario, avendo solo genericamente osservato che, dalla lettura delle predette sentenze, emergerebbe la ricorrenza dei presupposti legittimanti l’applicazione della disciplina della continuazione.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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