Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-04-2011) 09-06-2011, n. 23144

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

vi di ricorso.
Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 7 giugno 2009, confermava la condanna pronunciata il 18 maggio 2005 dal Tribunale di Roma nei confronti di D.E. e Q.S. dichiarati colpevoli di rapina aggravata ai danni della Banca popolare di Bergamo – Credito varesino di Roma e di detenzione e porto in luogo pubblico di pistola. La Corte basava la affermazione di responsabilità sul riconoscimento del D. da parte del teste A., guardia giurata, alle cui dichiarazioni attribuisce maggior credito, per essersi trovato a stretto contatto con l’imputato, rispetto a quelle degli altri due testi S. e P., le cui discordanti dichiarazioni circa la descrizione del rapinatore sarebbero comunque apparenti. Con riferimento alla Q., gli elementi probatori utilizzati dalla Corte sono costituiti dalla individuazione, da parte di un teste, dell’autovettura utilizzata dai rapinatori per la fuga, guidata da una donna, e risultata di proprietà dell’imputata, nonchè dalla ammissione della stessa imputata di avere fatto salire, all’ora della rapina, a bordo della sua autovettura due persone, una delle quali il giorno prima le aveva chiesto di accompagnarla, pur sostenendo l’imputata di ignorare che quelle persone avevano intenzione di compiere una rapina. La Corte riteneva di non poter utilizzare le dichiarazioni della Q. ai fini della identificazione delle due persone ai sensi dell’art. 526 c.p.p., comma 1 bis.

Propongono ricorso per cassazione i difensori degli imputati.

Il difensore di D. deduce mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, in quanto la testimonianza del teste A. contrasterebbe con quella degli altri due, S. e P., in quanto il teste A. riconosce l’aggressore che lo aveva colpito alle spalle, descrivendolo in modo difforme dallo S. e dalla P..

Il difensore di Q. deduce i seguenti motivi: 1) inosservanza dell’art. 526 c.p.p., comma 1 bis, e manifesta illogicità della motivazione in rapporto all’art. 43 c.p..

Il ricorrente sostiene che la norma dell’art. 526 c.p.p., comma 1 bis, non detta una regola di esclusione probatoria, ma costituisce un criterio legale di valutazione della prova, che vieta al giudice di pronunciare una condanna sulla base dei dati acquisiti ed afferma che laddove l’uomo che la sera prima si era recato dall’imputata fosse stato identificato in Pi.Gi., suo ex coniuge, sarebbe stato possibile leggere l’appuntamento in un’ottica di accadimento estraneo al concorso in un’azione delittuosa, con conseguente esclusione dell’elemento soggettivo in capo alla Q.. 2) manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 192 c.p.p..

Il ricorrente osserva che colui che sale sull’autovettura della Q. la mattina in cui viene commessa la rapina è il D., così che l’individuazione di costui come concorrente nella rapina incide sulla posizione dell’imputata. Al tal fine, il ricorrente afferma che le testimonianze assunte in merito al riconoscimento del D. sono discordanti e la Corte avrebbe omesso di considerare che il teste A., al quale viene dato particolare credito da parte dei giudici di merito, secondo la ricostruzione dei fatti da questi stessi operata, non poteva vedere il volto dei rapinatori, essendo il contatto avvenuto di spalle.

3) inosservanza dell’art. 526 c.p.p., comma 1 bis, e manifesta illogicità della motivazione in rapporto all’art. 378 c.p..

Secondo il ricorrente l’esatta identificazione dell’uomo che chiese all’imputata di accompagnarlo il giorno dopo con la sua autovettura, renderebbe possibile la configurazione del diverso delitto di cui all’art. 378 c.p..

4) vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p..

Il ricorrente afferma che il contributo dell’imputata rispetto all’azione principale si è limitato ad una modalità non rientrante nella essenza della lesione giuridica.

5) vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all’art. 110 c.p..

La sentenza impugnata non avrebbe assolto all’obbligo di motivazione in merito al concorso morale dell’imputata, essendosi basata su una presunzione, cioè l’impensabilità della non conoscenza del piano criminoso; anche la presunzione dell’utilizzo di un’arma per la specie di reato commesso non potrebbe assurgere al rango di massima di esperienza.
Motivi della decisione

I motivi di ricorso di D. sono manifestamente infondati ovvero non consentiti nel giudizio di legittimità e devono essere dichiarati inammissibili. I motivi di ricorso sono manifestamente infondati per la parte in cui contestano l’esistenza di un logico apparato giustificativo della decisione, che invece non rivela manifeste illogicità; non consentiti per la parte in cui pretendono di valutare, o rivalutare, gli elementi probatori al fine di trarre proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito chiedendo alla Corte di legittimità un giudizio di fatto che non le compete. Secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. I motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione ampia ed esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento.

I motivi di ricorso con i quali la G. censura la mancata utilizzazione, ai sensi dell’art. 526 c.p.p., comma 1 bis, delle dichiarazioni da essa rese non sono fondati, in quanto la decisione è stata assunta dai giudici di merito sulla base della corretta applicazione del chiaro disposto di legge, posto che l’imputata non ha ripetuto nel contraddittorio delle parti le dichiarazioni in precedenza rese nel corso delle indagini preliminari; nè, d’altro canto, l’imputata può dolersi della mancata valutazione di dette dichiarazioni nella parte in cui avrebbero potuto essere interpretate a proprio favore, posto che tale parte è inscindibilmente connessa, non solo nell’acquisizione, ma anche nella valutazione, con quella che avrebbe potuto comportare la dichiarazione di colpevolezza di terzi. La denunciata illogicità della motivazione con riguardo al riconoscimento di D. è inammissibile per le ragioni esposte con riferimento ad analogo motivo di ricorso proposto dallo stesso D..

Per quanto concerne il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p., la sentenza impugnata ha affermato che "l’imputata svolse invero nell’occorso l’insostituibile ruolo di consentire agli autori della rapina di allontanarsi rapidamente dalle vicinanze del luogo ove avevano posto in essere l’attività criminosa": qualsiasi diversa valutazione non è consentita in questa sede di legittimità.

Per quanto riguarda il concorso dell’imputata, non solo nella rapina, ma anche nel reato concernente l’uso della armi, è infondata l’affermazione del ricorrente che la sentenza si sia basata su una presunzione, dovendosi più correttamente affermare, che, nel contesto più ampio della ricostruzione della vicenda criminosa, i giudici di merito hanno fatto applicazione di una regola di logica e di esperienza, secondo la quale "il D. e il complice non potevano certo correre il rischio, omettendo di avvisare l’imputata di quale fosse la sua funzione in relazione alla rapina, di non trovarla sul posto convenuto per un semplice ritardo o per una banale dimenticanza sempre possibili quando si tratti di un comune appuntamento".

Alla inammissibilità del ricorso di D. consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso, al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende.

Al rigetto del ricorso della Q. consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso di D.E.; rigetta quello di Q.S. e condanna entrambi al pagamento delle spese processuali, nonchè D. anche al versamento della somma di Euro 1000,00 alla cassa delle ammende.

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