Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 06-04-2011) 09-06-2011, n. 23335 Applicazione della pena Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ricorrono per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di Appello Brescia e il difensore di fiducia di O.K. avverso la sentenza emessa in data 5.10.2010 dal GIP del Tribunale di Bergamo ai sensi dell’art. 444 c.p.p. con la quale veniva applicata al predetto O., previa concessione delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti contestate, la pena concordata di anni tre e mesi 10 di reclusione ed Euro 18.000 di multa per i reati, riuniti sotto il vincolo della continuazione, di resistenza a pubblico ufficiale, lesioni volontarie pluriaggravate e detenzione per lo spaccio di hashish (per 10,068 kg.).

La parte pubblica deduce l’inosservanza dell’art. 29 c.p. e art. 445 c.p.p. per omessa applicazione della pena accessoria dell’interdizione dai pp.uu., attesa l’entità della pena detentiva inflitta.

La difesa dell’imputato denunzia il vizio motivazionale non essendo stato esposto il ragionamento logico in ordine alla quantificazione della pena richiesta dalle parti e alla corretta qualificazione giuridica del fatto.

Il Procuratore generale in sede, all’esito della requisitoria scritta, ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente all’omessa applicazione della pena accessoria dell’interdizione legale (rectius: dai pubblici uffici) per anni cinque, instando per la sua applicazione.

Il ricorso della parte pubblica è fondato atteso che, ai sensi dell’art. 29 c.p. e art. 445 c.p.p., alla pena principale superiore ad anni tre di reclusione consegue obbligatoriamente quella accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.

A tanto si può provvedere già in questa sede, ai sensi dell’art. 620 c.p.p., lett. l), previo annullamento senza rinvio della sentenza impugnata sul punto.

Il ricorso dell’imputato è, invece, inammissibile, essendo le censure mosse manifestamente infondate e generiche.

Quantunque sia consentito in sede di legittimità denunciare l’erronea qualificazione giuridica del fatto nel l’impugnata sentenza di patteggiamento, così come prospettata nell’accordo delle parti e recepita dal giudice, in quanto la qualificazione giuridica del fatto è materia sottratta alla disponibilità di parte (Sez. un., 19 gennaio 2000, n. 5), di certo tale possibilità deve ritenersi limitata alle ipotesi in cui quella prospettata dalle parti sia palesemente erronea ovvero ai casi in cui la contestazione originaria sia anch’essa manifestamente erronea. In definitiva occorre che trattisi di un errore manifesto e tale, quindi, da far ritenere che vi sia stato un indebito accordo non sulla pena ma sul reato, dovendosi, per converso, escludere detta possibilità, anche sotto il profilo del difetto di motivazione, qualora la diversa qualificazione presenti oggettivi margini di opinabilità (Cass. pen. Sez. 3^, 23.10.2007, n. 44278, Rv. 238286).

Ma tanto non ricorre nel caso di specie, nè il ricorrente ha specificato quale sarebbe, a suo avviso, la corretta qualificazione giuridica del fatto ovvero in quali errori sia incorso il giudice di merito.

Quanto all’obbligo di motivazione in ordine all’entità della pena, questo è ritenuto assolto da parte del giudice quando egli dia atto, sia pur sinteticamente, di avere positivamente effettuato la valutazione della correttezza della qualificazione giuridica del fatto, dell’applicazione e comparazione delle circostanze prospettate dalle parti e della congruità della pena: risultando dal testo della gravata sentenza effettuata una tale indagine, con esito positivo per la ratifica del patto, l’obbligo di motivazione è stato dunque assolto (Cass. pen. Sez. 5^, n. 489 del 25.1.2000, Rv. 215489).

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.500,00, in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso di O.K. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della cassa delle ammende.

Annulla senza rinvio l’impugnata sentenza impugnata limitatamente alla omessa applicazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici; pena accessoria che applica per la durata di anni cinque.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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