Cass. pen., sez. II 25-07-2008 (01-07-2008), n. 31320 Nozione di abuso – Nozione di induzione.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
1.1. Con sentenza in data 28-6-2005 la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Venezia, con la quale R.M. era stato dichiarato responsabile del delitto di cui all’art. 643 c.p., ad esso ascritto, riduceva la pena inflitta ad anni due di reclusione ed Euro 600,00, di multa, pena sospesa;
revocava, inoltre, le statuizioni afferenti l’azione risarcitoria, per avvenuta revoca della costituzione di parte civile.
Al R. era ascritto di avere – abusando, al fine di trarne profitto, dello stato di infermità psichica di M. B. e delle condizioni di menomata capacità psichica di G.A., all’epoca ultraottantenne – indotto i predetti, nella rispettiva qualità di nudo proprietario e usufrutturaria, a vendere due lotti di terreno in comune di (OMISSIS), facendo loro credere di sottoscrivere un impegno per l’assistenza a lavori di futura edificazione e, quindi, di firmare la documentazione necessaria per la edificazione, così determinando le parti offese anche per effetto degli indicati artifici e raggiri, al compimento di atti dannosi sotto il profilo economico.
In motivazione la Corte territoriale esponeva, innanzitutto, la sequenza degli atti dispositivi, osservando che – quanto al lotto più grande, il mappale (OMISSIS) – non vi era adeguato riscontro del preliminare di vendita, essendo stato esibito al notaio solo la prima pagina;
che l’atto di vendita dello stesso terreno era stato stipulato per scrittura privata autenticata da notaio, dandosi atto dell’avvenuto pagamento del corrispettivo di L. 40.000.000;
che tale circostanza era poco credibile e, comunque, risultava indimostrata;
che successivamente il medesimo terreno era stato trasferito a GI.Fa. (coimputato, assolto in primo grado perchè ritenuto estraneo al fatto reato), il quale aveva acquistato il bene, nella qualità di rappresentante della società GFG;
che anche l’altro lotto di terreno più piccolo, il mappale 43, superando i contenuti dell’originario preliminare, era stato ceduto sempre con scrittura privata autenticata a GI.Fa. per il corrispettivo di L. 200.000.000, di cui L. 50.000.000, spettanti alla G. e al M. e la differenza al R.;
che, peraltro, detto corrispettivo risultava tutto restituito all’acquirente, giacchè, tra il R. e il GI. era stata redatta una controdichiarazione in cui si dava atto che le due compravendite simulavano una permuta, in quanto il R. avrebbe avuto come contropartita m. 3.200 di costruito;
che ancora in data 14-5-1993, al fine di facilitare la vendita del mappale (OMISSIS) ad altro imprenditore, era intervenuta una nuova scrittura privata tra il R. e il GI. a seguito della quale il primo rinunciava alla cessione degli immobili previo corrispettivo di L. 675.000.000, rimanendo l’impegno di GFG sulle future edificazioni solo per il lotto più piccolo;
che, sussistendo difficoltà per la edificazione, il GI. aveva, prima, sollecitato il M. e la G. a sottoscrivere un progetto unico, anche per altro lotto rimasto in proprietà del M. e, quindi, rivenduto il mappale 853 per L. 1.250.000.000, + IVA;
che l’irritazione mostrata dal R. per l’intervento sulla G. da parte del GI., aveva insospettito la donna che aveva, infine, appreso la reale portata degli atti posti in essere.
La Corte di appello confermava, quindi, il giudizio di responsabilità evidenziando come gli atti dispositivi posti in essere dalla G. e dal M. avevano comportato per gli stessi la perdita di due lotti di terreno senza contropartita, mentre per il R. ne era derivato un indebito arricchimento per importo superiore ai L. 600 milioni;
invero l’atto unilaterale, con il quale il R. si impegnava a trasferire al M. gli 800 mc di costruito sul lotto 43, era stato consegnato dall’imputato ai parenti della parte offesa solo in prossimità della presentazione della denuncia, quando ormai lo stesso imputato era a conoscenza di tale evento;
in ordine alle condizioni psichiche del M. ribadiva l’esattezza delle considerazioni svolte nella sentenza di primo grado, in conformità alle conclusioni del consulente del P.M. ed evidenziava altresì, quanto alla G., il modesto livello intellettivo, nonchè l’età avanzata della stessa a conferma delle conclusioni del medesimo consulente in ordine alle menomate capacità critiche e volitive della donna.
La Corte si discostava dalla decisione del primo Giudice, disattendo il gravame del P.M., solo con riguardo al trattamento sanzionatorio che riteneva eccessivo e ridimensionava, anche in considerazione dell’avvenuto, almeno parziale, risarcimento del danno, sintomatico della resipiscenza del prevenuto.
1.2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione R. M., per mezzo del difensore, formulando i seguenti motivi.
Carenza e manifesta illogicità della motivazione.
Erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 643 c.p..
Con il primo motivo si deduce, sotto il duplice profilo del vizio logico e della violazione di legge, che non sussiste il requisito della circonvenibilità delle parti offese;
in particolare, quanto alla ritenuta circonvenzione del M., si richiama il certificato del medico curante in data 16-7-1992 che attestava la normale capacità di intendere e di volere del soggetto e si osserva che la patologia da cui il predetto era affetto, e cioè la paranoia, lo rendeva sospettoso e, quindi, non circonvenibile; si lamenta che la motivazione sul punto sia illogica e, anzi, totalmente assente, in quanto non spiegherebbe per quale motivo il M. non fosse in grado di negoziare coscientemente e non terrebbe conto della circostanza che all’atto partecipò anche la madre, per cui se il M. fosse stato incapace, andava, comunque, ritenuto un incapace assistito da persona del tutto capace, quale dovrebbe ritenersi la G.;
con specifico riferimento alla situazione di quest’ultima, si lamenta una dilatazione del concetto di circonvenibilità sino a comprendere la semplice differenza culturale tra i soggetti interessati;
si rileva che la stessa sentenza impugnata da atto della cura prestata per i propri interessi economici dalla G. e si lamenta l’illogicità della motivazione per essere pervenuta all’affermazione dell’avvenuta circonvenzione sulla base del fatto che la stessa aveva nel caso specifico sopportato un danno.
Carenza illogicità manifesta della motivazione con riferimento agli atti posti in essere dalla G. e dal M..
Con il secondo motivo si lamenta che la Corte di appello non abbia motivato su alcuni specifici rilievi con cui si denunciava l’illogicità della motivazione di prime cure in ordine alla consapevolezza degli atti posti in essere dalle parti offese.
Si deduce a tal riguardo che si è ritenuta credibile l’affermazione che gli atti di vendita fossero stati posti in essere dalla G. e dal M. nella convinzione di sottoscrivere solo un impegno per la futura assistenza ai lavori di edificazione e la documentazione necessaria per la edificazione, senza considerare una serie di elementi (sottoscrizione dei preliminari, lettura degli atti da parte del notaio, presenza di un parente alla stipula di uno di essi) che dovevano fare ritenere le predette parti offese perfettamente consapevoli di quanto posto in essere;
si sarebbe, altresì, omesso di considerare i fatti successivi, e in particolare la circostanza che il R. aveva effettivamente stipulato un accordo per la pennuta del terreno con dei fabbricati a costruirsi sulla stessa superficie.
2.1. Ritiene il Collegio che le questioni che formano oggetto di ricorso, attengono a profili di fatto che non possono essere valutati da questa Corte di legittimità, il cui esame sul punto deve arrestarsi alla verifica – nel caso di specie con esito positivo – del buon governo da parte dei Giudici di merito della norma incrimininatrice e dei criteri di valutazione della prova. Le stesse questioni trovano, del resto, compiuta risposta, in maniera esplicita o implicita, nel percorso argomentativo seguito nella sentenza impugnata, integrato da quello sostanzialmente conforme della decisione di primo grado, stante la loro incompatibilità logica con la ricostruzione della vicenda prescelta dai Giudici del merito.
Con specifico riferimento alle deduzioni svolte in punto di "circonvenibilità" delle parti offese, si rammenta – in conformità al costante orientamento di questa S.C., dal quale il Collegio non ha ragione di discostarsi – che la norma di cui all’art. 643 c.p., la quale sanziona l’induzione patrimoniale pregiudizievole, commessa attraverso l’abuso dello stato di infermità o di deficienza psichica di una persona, non contempla esclusivamente gli stati di incapacità di intendere di volere, ma anche situazioni di portata più modesta, transitorie e non morbose, comunque idonee ad incidere sulla libertà di autodeterminazione della persona.
La difformità tra la nozione di "infermità mentale" di cui agli artt. 88 e 89 c.p. e agli artt. 414 e 415 c.c., e il concetto di "deficienza psichica" di cui all’art. 643 c.p., rende palese l’intento del legislatore di tutelare, con tale figura criminosa, non solo le persone totalmente o parzialmente incapaci dall’abuso che l’agente possa commettere ai loro danni, ma anche quei soggetti che, a causa della loro età ovvero di uno stato anche non morboso, di indebolimento della funzione volitiva e affettiva o di menomazione del potere di critica, siano resi facilmente soggetti all’altrui opera di suggestione e agevolmente e coscientemente determinabili al compimento di atti a sè pregiudizievoli.
Ne consegue che il concetto di "deficienza psichica" di cui alla norma all’esame deve essere inteso in senso molto ampio e non deve necessariamente consistere in una vera e propria malattia mentale, perchè basta uno stato di deficienza del potere di critica e di indebolimento di quello volitivo tali da rendere possibile l’altrui opera di suggestione;
esso può, quindi, sostanziarsi in tutte le forme in cui vi siano un’incisiva menomazione delle facoltà di discernimento o di determinazione volitiva, un abbassamento intellettuale e delle capacità di critica, tali da diminuire i poteri di difesa contro le insinuazioni e le insidie e da rendere possibile l’intervento suggestivo dell’agente; deve cioè essere esclusa la capacità del circonvenuto di avere oculata cura dei propri interessi (tra le più recenti cfr.: Cass. pen., Sez. 2^, 04/10/2006, n. 40383; Cass. pen. Sez. 2^, 01/12/2005, n. 3458).
Ciò posto, il Collegio ritiene manifestamente infondato il primo motivo di ricorso, giacchè – contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente – i Giudici di merito hanno fatto corretta applicazione della norma incriminatrice dell’art. 643 c.p., evidenziando, in maniera logica ed esaustiva, a carico di entrambi i soggetti lesi, una situazione di "circonvenibilità", oltre all’effettivo approfittamento di tali condizioni da parte dell’imputato.
In particolare – quanto al M. – il Giudice del primo grado ha espresso in maniera motivata il convincimento dell’esattezza delle conclusioni del consulente del P.M., evidenziando come le condizioni di infermità psichica fossero risultate palesi anche nell’esame dibattimentale e risultassero convalidate dalla copiosa documentazione attestante un disturbo paranoico della personalità, che aveva comportato numerosi ricoveri presso strutture ospedaliere, alternato nei periodi di apparente benessere ad un rallentamento psicomotorio, dovuto alla copertura farmacologia, che nulla toglieva alla patologia del soggetto; donde una situazione di gracilità mentale e di disturbo della personalità e, quindi, di circonvenibilità, non essendo il soggetto in grado di esercitare un vaglio critico sulle conseguenze, soprattutto economiche, dei propri atti.
Dal canto suo la Corte territoriale ha preso in esame il certificato rilasciato dal medico curante, cui faceva riferimento l’appellante (richiamato anche nell’odierno ricorso), evidenziando come esso costituisse un elemento isolato nell’imponente documentazione medica e, anzi, contraddetto dalla deposizione del medesimo medico curante e pervenendo, quindi, a confermare, anche attraverso il legittimo richiamo alla conforme sentenza di primo grado, la piena affidabilità delle conclusioni del consulente del P.M..
Inoltre Giudici di merito hanno dato una risposta non illogica (tantomeno palesemente illogica) all’argomento, passivamente riproposto in questa sede, di una pretesa "non circonvenibilità" di soggetti, come il M., affetti da paranoia e, perciò, particolarmente sospettosi, evidenziando, sulla scorta della relazione di consulenza, che si tratta di soggetti nei cui confronti "in realtà è possibile realizzare la suggestionabilità, utilizzando, come chiave di comunicazione quella di assecondarli nelle loro convinzioni e quindi di immettersi sulla loro lunghezza d’onda";
occorre, in tal caso, "una frequentazione assidua nel corso della quale una persona di cultura media può rilevare alcune caratteristiche di tipo ossessivo, delle fissazioni del soggetto, assecondando le quali si riesce ad entrare in sintonia con il medesimo" (cfr. pag. 23 sentenza di primo grado);
in una relazione di tal fatta con il " M. si era trovato l’imputato, in quanto costui "aveva la possibilità di percepire la menomazione di tipo psichico del soggetto e cioè l’insufficiente capacità critica e volitiva" (pag. 24 stessa sentenza).
E’ appena il caso di aggiungere che le argomentazioni del ricorrente, circa una presunta "assistenza" prestata al M. da parte della madre G.A., sono prive del benchè minimo fondamento, scontrandosi non solo con la situazione di incapacità naturale del M. (rispetto alla quale non è lecito ipotizzare assistenza alcuna), ma anche con la rilevata circonvenibilità dell’altra parte offesa.
Quanto all’altra parte offesa, la defunta G.A., il Tribunale ha evidenziato, sulla scorta delle condivise conclusioni del consulente del P.M., non solo l’avanzata età, ma anche il modesto quoziente intellettivo (al limite del deficit mentale) che ne diminuivano fortemente sia la capacità critica che quella volitiva, ponendola in condizione di sostanziale circonvenibilità.
Dal canto suo la Corte territoriale, aderendo anch’essa alle conclusioni del consulente del P.M., ha posto in evidenza l’assoluta irragionevolezza dell’atto posto in essere dalla G., pur in assenza di qualsiasi elemento nei rapporti tra la donna e il R. che potesse giustificare l’intenzione della prima di gratificare il secondo con un atto di liberalità (che avrebbe peraltro danneggiato gravemente il figlio).
Trattasi di argomentazioni di stretto merito, logicamente motivate e sorrette da validi elementi dimostrativi, le quali evidenziano – non già una mera differenza "culturale" tra i protagonisti della vicenda (come lamentato dal ricorrente) – bensì un’incisiva menomazione della facoltà di critica e di determinazione volitiva anche della G., tale da rendere possibile l’intervento suggestivo dell’agente punito dall’art. 643 c.p..
Si rammenta, altresì, che la consapevolezza, da parte dell’agente, dello stato anomalo del soggetto passivo può essere legittimamente desunta dalla evidenza di atti immotivati di disposizione patrimoniale, dalla donazione di beni di cospicuo valore e dalla stessa arrendevolezza dimostrata dal circonvenuto.
Inoltre la prova dell’induzione e dell’abuso delle condizioni della vittima non deve necessariamente poggiare su episodi specifici di suggestione e pressione morale, ben potendo il convincimento sul punto essere fondato su elementi indiretti e indiziati o su prove logiche, tratte dal complessivo contesto dei rapporti tra le parti e dagli accadimenti più strettamente connessi al compimento dell’atto pregiudizievole (Cass. pen. Sez. 2^, n. 40383 del 2006 sopra cit;
Cass. pen., Sez. 2^, 15/10/2004, n. 48302).
Correttamente, quindi, la sentenza impugnata pone in rilievo, a tal fine, la singolarità del comportamento della G., in piena dissonanza con quella cura dei propri interessi economici evidenziata dalla difesa nella condotta della donna, ritenendo sintomatica della forte influenza dell’imputato la stessa irragionevolezza degli atti posti in essere dalla G..
2.2. Anche l’altro motivo di ricorso, con cui deduce il vizio di motivazione sul punto della mancata consapevolezza della reale portata degli atti posti in essere dalle parti lese, si risolve in censure inammissibili, perchè in fatto e generiche.
Invero le deduzioni del ricorrente, oltre a costituire rilettura delle emergenze processuali, apprezzate dai giudici del merito con motivazioni congrue e logiche, incorrono nel difetto di specificità, giacchè ignorano tutti i passaggi motivazionali svolti sul punto dalla sentenza impugnata in cui si rimarca l’assenza di prova delle allegazioni difensive, evidenziando, per converso, la certezza di altra circostanza e, cioè, che l’unico beneficiario dell’obbligo assunto dalla GFG di trasferire mc. 3.200 era stato l’imputato, mentre, per le parti offese, l’intera operazione si era risolta nella perdita senza contropartita di due lotti di terreno con indebito arricchimento del R. di una somma superiore a L. 600.000.000.
Valga considerare che l’art. 643 c.p., non specifica le modalità in cui si sostanzia la condotta tipica, con la conseguenza che, per abuso deve intendersi qualsiasi pressione morale idonea allo scopo perseguito dall’agente, laddove nel concetto di induzione rientrano tutte le attività di stimolo e suggestione idonee a determinare nel soggetto passivo il suo consenso al compimento dell’atto quale evento eziologicamente dipendente dal presupposto di deficienza psichica.
Orbene, nel caso all’esame, il Giudice del primo grado ha posto in evidenza come la tesi accusatoria, secondo cui il R. si era accreditato presso la G. e il M. come persona in grado di seguire i lavori di costruzione, fosse versione costantemente riferita da tutti i testi interessati alla vicenda in maniera concorde e coincidente;
in tale contesto probatorio ha, dunque, espresso in termini logici e congruenti il convincimento che la piena fiducia che l’imputato era riuscito ad acquisire dalle parti lese aveva fatto sì che le stesse firmassero "tutti gli atti che diceva (loro) di firmare" (pag. 29 sentenza), senza che gli stessi pretendessero la sottoscrizione di una controdichiarazione che garantisse la promessa permuta.
Dal canto suo la Corte di appello ha rimarcato come il richiamo da parte della difesa all’impegno al trasferimento di 800 mc di costruito in favore del M. fosse inidoneo a sovvertire tale convincimento, giacchè si trattava di atto unilaterale "emerso" solo in prossimità della denuncia.
In definitiva i motivi di ricorso incorrono tutti nella sanzione di inammissibilità.
A mente dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità – determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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