Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 02-03-2011) 09-06-2011, n. 23325 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. C.A. veniva sottoposta alla misura cautelare della custodia in carcere per il periodo dal 31-5-2005 al 16-6-2005 ed agli arresti domiciliari dal 16-6-2005 al 10-3-2006, in quanto indagata per il reato di associazione a delinquere a fini di spaccio ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74). Successivamente, veniva assolta dalla Corte di Appello di Catania, con sentenza in data 22-11-2007, per non avere commesso il fatto.

C.A. proponeva istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta chiedendo che le venisse riconosciuta l’indennità nella misura di giustizia.

2. La Corte di Appello di Catania rigettava la domanda.

Osservava che l’istante aveva dato causa all’emissione del provvedimento cautelare per avere tenuto un comportamento contrassegnato da colpa grave. In particolare, la condotta tenuta nella vicenda dalla C., accertata in fatto, rivelava di per sè, ad avviso del Giudice della Riparazione, macroscopica negligenza ed imprudenza tale da ingenerare la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale. Precisamente, i fatti impeditivi all’affermazione del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione erano individuabili nei seguenti. Risultava dalle intercettazioni telefoniche acquisite che l’istante, madre di P.G. fortemente implicato in attività associati va per lo spaccio di stupefacenti, era pienamente consapevole delle attività criminose compiute dal congiunto, nonchè dagli altri associati di cui conosceva perfettamente l’identità, ed al contempo costei appariva pronta a fornire un contributo fondamentale per l’associazione criminale in un momento di difficoltà di questa.

Inoltre, la C. si era avvalsa della facoltà di non rispondere innanzi al GIP e così non aveva fornito alcuna eventuale deduzione a sua discolpa.

Aggiungeva il Giudice della Riparazione, a fronte di eccezione sollevata dalla ricorrente, che correttamente il Giudice della cognizione aveva utilizzato le intercettazioni disposte in altro procedimento, sebbene dichiarate inutilizzabili nel procedimento originario.

3. L’istante proponeva ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della Corte di Appello.

Evidenziava che la Corte di merito non aveva correttamente valutato il comportamento tenuto da essa ricorrente, non qualificabile come colpevole e tale da giustificare la misura coercitiva emessa nei suoi confronti.

Chiedeva l’annullamento dell’ordinanza.

4. Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione instava per il rigetto del ricorso.

5. Il ricorso deve essere rigettato perchè infondato.

Nel merito del ricorso, si osserva che il giudice chiamato a decidere sull’istanza di riparazione dell’ingiusta detenzione è tenuto a vagliare il comportamento dell’istante, quale emergente dagli atti, al fine di stabilire se questo, in una valutazione oggettiva, sia stato tale da porre in essere una situazione di fatto, con dolo o colpa grave, falsamente rappresentativa della realtà e tale da ingenerare errore nell’organo giudiziario e da costituire causa od anche concausa dell’instaurarsi o del mantenersi della limitazione dello stato di libertà, essendo la custodia cautelare in rapporto sinergico con il comportamento dell’istante tanto nel momento genetico quanto nella permanenza della detenzione. Per quanto attiene al momento genetico della custodia cautelare, è stato rilevato che deve ritenersi colpevole e quindi preclusiva del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione la condotta del soggetto atta a contribuire efficacemente all’emissione del provvedimento restrittivo della libertà personale, nel senso di comportamento consapevole e volontario che valutato, secondo le regole comunemente accettate, sia stato idoneo a creare una situazione di allarme sociale ed il doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità ragionevolmente ritenuta in pericolo. Sotto tale profilo, deve evidenziarsi che si palesa necessario l’accertamento del rapporto tra le condotte tenute dall’indagato ed il provvedimento restrittivo della libertà, ancorato a dati certi e non congetturali.

In particolare, il giudizio del giudice della riparazione deve essere operato mediante una valutazione ex ante (riferita, cioè al momento dell’adozione del provvedimento restrittivo) sull’idoneità a trarre in inganno l’autorità giudiziaria dei comportamenti (dolosi o gravemente colposi) tenuti (sia prima che dopo la perdita della libertà personale) dal soggetto richiedente l’equo indennizzo. Detta valutazione deve, inoltre, svolgersi su un piano diverso ed autonomo rispetto a quella effettuata dal giudice del processo penale, pur dovendo eventualmente operare sullo stesso materiale, e ciò in quanto quest’ultimo giudice deve valutare la sussistenza o meno di una ipotesi di reato e la riconducibilità all’imputato, mentre il giudice della riparazione deve esaminare non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se esse si posero come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) rispetto alla produzione dell’ingiusta detenzione. (v. in tema, tra le altre, Cass. S.U. 13-12-1995 – Sarnataro-; Cass. S.U. 26-6-2002 Di Benedictis;

Cass. 28-11-2007 – Gualano -).

6. Nel caso in esame, la Corte di Catania ha correttamente qualificato il comportamento di C.A. come gravemente colpevole, ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 1, tenendo conto delle evenienze sopra riportate correttamente, apprezzate in modo ragionevole e logico, come fonte di allarme sociale in rapporto sinergico rispetto all’instaurazione del processo penale nei confronti della donna ed all’applicazione della misura coercitiva.

Parimenti, corretta è stata l’argomentazione esposta dalla Corte di Appello, secondo cui, in base all’orientamento consolidato di questa Corte di legittimità, l’inutilizzabilità degli esiti di intercettazioni dichiarata nel procedimento in cui il mezzo di ricerca della prova è stato disposto non condiziona l’analoga valutazione che deve essere operata dal Giudice del procedimento in cui gli atti trasmigrano ai sensi dell’art. 270 cod. proc. pen. Ne consegue che in un diverso procedimento può essere ritenuta l’utilizzabilità di intercettazioni dichiarate inutilizzabili nel procedimento in cui furono assunte, configurandosi il vizio di inutilizzabilità come invalidità di tipo relativo e non assoluto, (v. così, Cass. 10-11-2000 n. 13151 – Gianfreda -; Cass. 3-12-2002 – P.M. in proc. Alecce).

7. Il rigetto del ricorso comporta la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte di Cassazione – 4^ Sezione Penale rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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