Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 01-03-2011) 09-06-2011, n. 23253

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A carico di S.B. il 21.11.2008 fu emessa occ con riferimento al delitto di estorsione, aggravata anche ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7, commessa il 22.5.2008.

Il provvedimento fu eseguito alcuni giorni dopo.

In data 11.3.2009 fu emessa, sempre a carico di S., altra occ con riferimento ai delitti ex art. 416 bis c.p. e con riferimento a due estorsioni continuate e aggravate, anche ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7.

Il 14.12.2009 il GIP presso il Tribunale di Catania respinse l’istanza di scarcerazione di S. per decorrenza dei termini di custodia cautelare di fase. Detta scarcerazione era stata richiesta ai sensi dell’art. 297, comma 3 e dell’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. A), n. 3.

In data 8.4.2010 il TdR di Catania respinse l’appello avverso la predetta ordinanza.

In data 16.7.2010 la sesta sezione di questa Corte ha annullato con rinvio il provvedimento anzidetto, rilevando che il Collegio cautelare, nel ritenere non desumibili, sin dal momento di emissione del primo provvedimento cautelare, gli elementi posti a base del secondo, aveva trascurato le notizie contenute nella relazione della Sq. Mobile Questura Catania del 14.11.2007 e la nota del dirigente della Questura della medesima città del 24.11.2008.

Il TdR di Catania, in sede di rinvio, con il provvedimento oggi impugnato, ha nuovamente rigettato l’appello, rilevando che, re melius perpensa, le condotte contestate con il secondo provvedimento cautelare non potevano considerarsi tenute in data anteriore alla emissione nel primo provvedimento; ciò con particolare riferimento al delitto associativo, che infatti è contestato sino al febbraio 2009.

Ricorre per cassazione il difensore e deduce carenza dell’apparato motivazionale in quanto il GIP ebbe a rigettare, a suo tempo, la richiesta semplicemente dichiarando di recepire le argomentazioni espresse dal PM. Ebbene il TdR, pur trovandosi al cospetto di una motivazione che certo non può qualificarsi per relationem, nulla ha osservato in proposito.

Deduce inoltre violazione di legge (artt. 81 e 416 bis c.p., L. n. 203 del 1991, art. 7) e carenza di motivazione.

Dopo aver riassunto (da fol. 2 a fol. 18) le precedenti fasi procedimentali, il ricorrente lamenta che il giudice di rinvio si è sottratto alle vincolanti incombenze ad esso assegnate dalla sentenza di annullamento. Invece di valutare l’incidenza dei due documenti segnalati dalla Corte di cassazione, il TdR ha negato la applicabilità dell’art. 297 c.p.p., comma 12, sostenendo che non ricorrerebbe il requisito della anteriorità delle condotte oggetto della seconda occ. Secondo il giudice del rinvio, dopo la applicazione della prima misura cautelare, lo S. avrebbe perseverato nella condotta criminosa, che ha dato luogo al secondo provvedimento di rigore.

Ciò il TdR pretende di desumere dal contenuto di un’unica conversazione intercettata, nel corso della quale emerge che S. avrebbe dovuto incontrare i suoi nipoti. Il Collegio cautelare, del tutto arbitrariamente, sostiene che, in realtà, la telefonata sarebbe stata preparatoria di un summit mafioso, che poi non ebbe luogo, proprio perchè S. fu tratto in arresto. Non chiariscono i predetti giudici per qual motivo le persone indicate come "nipoti" sarebbero in realtà soggetti interni all’organizzazione criminosa.

Secondo gli inquirenti, si ebbe effettivamente un incontro tra soggetti appartenenti al clan. Sta di fatto, tuttavia, che secondo la telefonata, S. avrebbe dovuto incontrare i nipoti il 29.11.2008 mentre poi l’incontro cui fanno riferimento gli inquirenti si svolse il successivo giorno 1.12.2008.

Proprio dall’esame delle due informative che il TdR ha trascurato, viceversa, si evince che nessun ulteriore addebito può muoversi a S., posto che nei predetti documenti, la sua posizione non è trattata.

E’ dunque del tutto arbitrario affermare che, pur dopo la sua incarcerazione, il ricorrente abbia continuato a mantenere i contatti con la presunta organizzazione mafioso. La stessa giurisprudenza di legittimità afferma che il vincolo associativo non viene interrotto, in genere, dalla carcerazione, ma, appunto, ciò viene affermato come criterio statistico, non certo come presunzione invincibile.

Infine è da notare che, con riferimento alle due estorsioni dei capi C) e G) (distinte da quella di cui al primo provvedimento restrittivo, capo R) non vi è parola nel provvedimento impugnato.
Motivi della decisione

La prima censura – attinente al delitto associativo – è infondata.

Il TdR, con riferimento a detto delitto, sviluppa argomentazioni che certamente si pongono al di fuori del perimetro tracciato dalla sentenza di annullamento con riferimento agli elementi valutati dal primo Collegio cautelare.

E tanto fa in quanto valorizza un elemento "nuovo", non nel senso che sia sopraggiunto, ma nel senso che non era stato anteriormente considerato.

Il giudice di rinvio è certamente tenuto a dare applicazione ai principi di diritto enucleati dalla Corte di cassazione nella sentenza di annullamento.

Se l’annullamento è conseguenza di un rilevato vizio di motivazione, il giudice di rinvio è libero di rivalutare gli elementi fattuali sottoposti alla sua attenzione, ma non deve incorrere nei medesimi vizi logici censurati dalla Corte di legittimità.

Non dimeno, il giudice di rinvio, per quanto attiene alle questioni non vagliate e giudicate dal giudice di legittimità, non è in alcun modo vincolato dalla sentenza di annullamento.

Nel caso in esame, il TdR, in sede di giudizio rinvio, appunto, nel riesaminare la questione, ha creduto di rilevare che, al di là delle "indicazioni" ricevute dalla Corte di cassazione, un altro ostacolo – che mai era stato oggetto di precedenti vantazioni – si opponesse alla applicazione del dettato dell’art. 297 c.p.p., comma 3.

Invero è noto che non si ha "contestazione a catena" quando i fatti oggetto della seconda (o comunque della successiva) ordinanza cautelare si sono verificati, non prima, ma dopo, la emissione del primo provvedimento restrittivo.

E’ da notare che la lettera della legge fa riferimento alla "emissione" e non alla "applicazione" o, meno ancora, alla "esecuzione" del provvedimento di rigore.

Gli effetti decorrono dalla applicazione o dalla notificazione della prima ordinanza, ma il prius e il posterius si valutano, appunto, con riferimento al momento di emissione delle ordinanze.

Vale la pena di sottolineare ciò, in quanto, nel ricorso, i termini "emissione" e "applicazione" sembrano essere usati indifferentemente.

Nel caso in esame, viceversa, essi sono distinti anche cronologicamente.

La prima ordinanza, come premesso, fu emessa il 21.11.2008, ma fu eseguita il 29.11.2008. Tra le due date si colloca la conversazione telefonica intercettata (27.11.2008), dal cui contenuto il TdR desume che S., dopo la emissione del provvedimento cautelare (21.11), continuò a tenere condotte riconducibili alla fattispecie incriminatrice ex art. 416 bis c.p..

Tanto premesso, non appaiono pertinenti le considerazioni che il ricorrente svolge in ordine alla problematica relativa alla interruzione del vincolo associativo a seguito dell’arresto dell’associato.

Ciò che il TdR addebita a S. non è la condotta tenuta (evidentemente in carcere) dopo l’arresto, ma la condotta tenuta negli otto giorni tra la emissione del provvedimento restrittivo e la sua esecuzione.

Ai foll. 9 ss. Il Collegio cautelare riporta, commenta e interpreta il contenuto di una conversazione telefonica (intercettata) tra S. e tal R.. A giudizio del TdR, i due, anche in considerazione dello stato di latitanza dello S. (pacificamente ammesso nello stesso ricorso), tentano di organizzare un incontro tra il predetto e "i nipoti". Deve trattarsi di un incontro che avvenga in condizioni di sicurezza, in un "posto buono", con persone che non vengono mai indicate per nome.

I giudici di rinvio chiariscono motivatamente per quale ragione essi ritengono che "i nipoti" in realtà fossero i fratelli A., che, proprio in quel periodo, erano passati dal loro gruppo criminale di origine a quello dello S.. Anche sulla base di tale particolare, essi ritengono che la conversazione de qua fosse sintomatica del permanere dello S. all’interno del contesto associativo mafioso, nel quale era – d’altra parte, secondo l’ipotesi di accusa – vissuto sino a quel momento.

Al proposito, il ricorrente propone una lettura alternativa della conversazione, ma è noto che l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, è questione di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito e si sottrae al giudizio di legittimità, se la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (tra le tante, ASN 200817619-RV 239724).

Fondato, viceversa, è il secondo motivo.

Posto che la sentenza di annullamento è relativa anche ai due delitti estorsivi, si rileva che il TdR, in sede di rinvio, su di essi non si è minimamente pronunziato.

Conclusivamente, il ricorso merita di essere rigettato per quel che riguarda il delitto associativo, merita accoglimento nel resto. Di conseguenza il provvedimento impugnato va annullato limitatamente ai delitti dei capi C) e G) con – ulteriore – rinvio.

A cura della Cancelleria, si provvedere alle comunicazioni ex art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

annulla l’ordinanza impugnata limitatamente ai due episodi di estorsione, con rinvio al Tribunale di Catania per nuovo esame;

rigetta il ricorso con riferimento al delitto di cui all’art. 416 bis c.p.; manda alla Cancelleria per le comunicazioni di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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