Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
La CdA di Venezia, con la sentenza di cui in epigrafe, ha confermato la pronunzia di primo grado con la quale S.S. è stato condannato alla pena di giustizia in quanto riconosciuto colpevole del delitto ex artt. 11, 112 e 81 cpv. c.p., art. 614 c.p., commi 1 e 4. art. 61 c.p., n. 2, artt. 605 e 610 c.p., per avere, in concorso con altri, con più azioni esecutive di medesimo disegno criminoso, introducendosi e trattenendosi nella abitazione di G. G., contro la sua volontà, percosso il predetto, spogliato dei telefoni cellulari e costretto con la forza a salire su di un’autovettura, privandolo, in tal modo, della libertà personale.
G. veniva quindi condotto al cospetto del cognato P.S., che lo costringeva a telefonare a sua (del G.) moglie perchè rilasciasse a favore del P. una procura alla vendita di alcuni terreni. E ciò in quanto il G. doveva da tempo al P. la somma di Euro 50.000.
Ricorre per cassazione il difensore del S. e deduce violazione dell’art. 610 c.p., in quanto i giudici di merito non hanno ritenuto che lo stesso, in base al principio di specialità, fosse assorbito nel delitto ex art. 605 c.p.. Si sostiene in sentenza che il G., prima di essere privato della libertà, fu costretto con la forza a salire in auto. Tale azione, secondo la CdA, integrerebbe il delitto ex art. 610 c.p., che manterrebbe la sua autonomia rispetto al successivo delitto di sequestro di persona.
La tesi, contrastante con pacifica giurisprudenza di legittimità, è errata in quanto la violenza fu utilizzata unicamente per privare della libertà il G..
Deduce inoltre carenza dell’apparato motivazionale in ordine alla determinazione della pena. Quando il giudice si allontana dal minimo edittale, deve motivare in maniera particolarmente estesa e dettagliata in ordine alla concreta determinazione del trattamento sanzionatorio. Nel caso in esame, la CdA si è limitata a riferirsi all’entità del fatto e alla personalità del S..
Inoltre, ai sensi dell’art. 132 c.p., il giudice deve indicare i singoli aumenti di pena per la continuazione, cosa che non è stata fatta nel caso di specie.
Motivi della decisione
La prima censura è fondata.
Tra il delitto di sequestro di persona e quello di violenza privata vi è, in linea di massima, un rapporto di genere a specie.
Invero il delitto ex art. 605 c.p., viene qualificato composto o complesso (art. 84 c.p.), nel senso che uno dei suoi elementi costitutivi (la costrizione mediante violenza o minaccia) costituirebbe, di per sè, reato.
Uno dei suoi componenti è appunto la violenza, che viene esercitata nei confronti di una persona per costringerla a subire non una qualsiasi azione, ma la privazione della libertà, intesa come libertà di locomozione.
La giurisprudenza (per vero molto risalente) citata nella sentenza impugnata (ASN 19861O841-RV 173955) sostiene che, qualora la violenza privata non sia strettamente funzionale alla privazione della libertà personale, e costituisca, cioè, un mezzo esecutivo del sequestro di persona, si è in presenza di una pluralità di azioni delittuose, con distinte lesioni dei diversi beni giuridici tutelati.
In tal caso, i reati di cui agli artt. 605 e 610 c.p., secondo tale concezione, concorrono materialmente. Il fatto è che, se la violenza privata costituisce una modalità attraverso la quale il sequestro di persona viene portato a esecuzione (e in genere proprio questo si verifica), la privazione della libertà personale è, appunto, ottenuta attraverso la violenza o la minaccia esercitate sulla vittima.
Per tale ragione la successiva giurisprudenza (e anche la più recente) ha chiarito che, per il principio di specialità di cui all’art. 15 c.p., non è configurabile il delitto di violenza privata qualora la violenza (fisica o morale) sia stata usata direttamente ed esclusivamente per uno dei fini particolari previsti da altre ipotesi di reato, quale il sequestro di persona, allorchè la violenza esercitata sulla vittima sia stata unicamente rivolta a privarla della libertà (ASN 200447972-ftV 230710).
Nel caso in esame, in base alla ricostruzione dei fatti operata dai giudici del merito, il G. fu costretto con la violenza (fu anche picchiato) e materialmente afferrato e trasportato sull’auto, nella quale ebbe inizio la sua privazione della libertà. Dunque, non solo l’esercizio della violenza si pose in immediata relazione temporale con la privazione della libertà di locomozione, ma fu funzionale ad essa, tanto che, senza soluzione di continuità, la PO, fu picchiata, spogliata dei telefoni cellulari e "caricata" sull’autovettura che la condusse al cospetto del suo creditore.
La violenza esercitata contro G. fu, dunque, il mezzo utilizzato e la condicio sine qua perchè lo stesso potesse essere ridotto in uno stato di privazione della libertà personale.
Il delitto ex art. 610 c.p., di conseguenza, resta assorbito in quello ex art. 605 c.p.. Ciò comporta, inevitabilmente, un ridimensionamento del trattamento sanzionatorio. La seconda censura è inammissibile per manifesta infondatezza nella parte in cui sostiene la mancanza di motivazione in ordine alla complessiva determinazione del trattamento sanzionatorio; è infondata nella parte in cui contesta la possibilità del giudicante di quantificare unitariamente l’aumento per continuazione. Nella concreta determinazione della pena, i giudici del merito hanno tenuto conto tanto della obiettiva gravità del fatto, quanto del ruolo, tutt’altro che secondario, rivestito dal S. all’interno del commando che irruppe nella abitazione del G., lo picchiò, lo perquisì, lo costrinse a salire in auto e, durante il percorso, lo incappucciò, portandolo quindi, quasi in vinculis, davanti a suo cognato P.S.. Costui, evidentemente avvalendosi dello stato di soggezione psicologica che la violenta azione non poteva non aver determinato nella vittima (che effettivamente poi, per un certo periodo di tempo, tentò addirittura di tener nascosto o di minimizzare l’accaduto), lo costrinse a fare pressione sulla moglie perchè costei compisse atti prodromici a una disposizione patrimoniale. E tale condotta ben potrebbe essere riportata allo schema ex artt. 56 e 629 c.p..
La obiettiva gravità del fatto è, pertanto, indiscutibile.
Ma la Corte territoriale non si limita a ciò, ma tiene conto anche dei gravi, specifici e reiterati precedenti del S., precedenti connotati dal frequente uso della violenza.
Si deve dunque affermare che il giudice di appello non si è affatto sottratto all’obbligo motivazionale in tema di quantificazione della pena.
Quanto all’aumento disposto per la continuazione, è da notare che il giudice non è affatto tenuto a indicare i singoli aumenti che opera per i singoli reati, ben potendo lo stesso indicare l’aumento complessivo (cfr. ASN 200447420-RV 230492; ASN 199812540-RV 212417, contro solo ASN 200904209-RV 242873, che tuttavia non chiarisce su quale base normativa o logica fondi il suo convincimento). Ciò che conta è che non sia superato il limite del triplo. Per altro, come subito si dirà, nel caso in esame, l’aumento è stato indicato almeno con riferimento al delitto ex art. 610 c.p..
Conclusivamente la sentenza impugnata va annullata limitatamente alla condanna per il delitto ex art. 610 c.p..
L’annullamento deve disporsi senza rinvio in quanto può questo Collegio provvedere direttamente alla rideterminazione della pena.
In primo grado, sulla pena base, il giudice ha operato un aumento di mesi tre di reclusione per il delitto di violenza privata.
Il trattamento sanzionatorio, come premesso, è stato confermato in secondo grado.
Pertanto, nella rideterminazione della pena, questa Corte dovrà limitarsi a eliminare il predetto aumento di mesi tre.
Nel resto il ricorso merita rigetto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna per il delitto di violenza privata ed elimina il relativo aumento per continuazione di mesi tre di reclusione, ridetermina così la pena in anni due e mesi nove di reclusione; rigetta nel resto il ricorso.
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