Cass. pen., sez. VI 17-07-2008 (16-07-2008), n. 30018 Mandato d’arresto europeo – Consegna per l’estero – Mandato d’arresto esecutivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
La corte salentina ha deciso favorevolmente sulla consegna del ricercato, ritenuta la doppia incriminabilità, pur nella noncoincidenza formale delle espressioni che configurano il reato di truffa nelle due legislazioni (truffa continua di professionalità o truffa continuata), e rigettando una richiesta di sospensione del procedimento al fine di acquisire copia della decisione straniera e chiedere l’applicazione dell’indulto, atteso che non esiste la possibilità di sospendere il procedimento per tale titolo e ben potendo il difensore chiedere l’esecuzione della pena in Italia, e, comunque, prevalendo il procedimento di consegna rispetto alla delibazione della sentenza straniera stessa.
Con un primo motivo di impugnazione il difensore dello Z. deduce violazione di legge in relazione al disposto della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 6, comma 1, lett. d), posto che la diversità delle dizioni usate (truffa continua di professionalità o truffa continuata oppure ancora truffa continuata per profitto, usata nel formulano S.I.R.E.N.E.) rende incerta la natura giuridica del reato per cui vi è stata condanna.
Il motivo è palesemente infondato.
Per consolidata interpretazione, maturata in tema di concedibilità dell’estradizione per l’estero (applicabile anche al m.a.e. in funzione dell’art. 7), per soddisfare il requisito della doppia incriminabilità, di cui all’art. 13 cod. pen., comma 2, non è necessario che lo schema astratto della norma incriminatrice dell’ordinamento straniero trovi il suo esatto corrispondente in una norma del nostro ordinamento, ma è sufficiente che lo stesso fatto sia previsto come reato da entrambi gli ordinamenti, a nulla rilevando l’eventuale diversità, oltre che del trattamento sanzionatorio, anche del titolo e di tutti gli elementi richiesti per la configurazione del reato (Cass. Pen. sez. 6^, 47614/2003, rv.
227818. Imputato: B.), nella specie essendo comunque pacifico che il reato-base è la truffa e che l’ipotesi della continuazione, come ritenuta dalla Corte distrettuale, altro non è che la naturale inferenza logica desumibile dagli atti, avuto riguardo alla sanzione finale applicata, diversa dalla somma delle singole violazioni accertate.
Nessuna incertezza quindi sullo specifico schema repressivo che ha realizzato la condotta dello Z. sanzionata con le pene suindicate.
Con un secondo motivo si lamenta ancora violazione di legge in relazione all’art. 18, comma 1, lett. r) M.A.E. dovendosi ritenere implicita la richiesta di esecuzione della pena in Italia a seguito della documentazione prodotta, richiesta che comunque viene formalmente ribadita nell’odierna impugnazione. Con un terzo motivo si lamenta che la sentenza impugnata sia "fortemente immotivata" in ordine al mancato avvio della procedura di delibazione finalizzata ad ottenere il condono della sanzione irrogata all’estero.
Tali due ultimi motivi per la loro connessione vanno unitariamente trattati, dato che il secondo motivo, se accolto, assorbe il terzo.
Premesso che in tema di mandato di arresto europeo, ai fini della valutazione spettante alla Corte di appello, in ordine alla domanda di consegna del cittadino italiano ai sensi della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, comma 1, lett. r), deve essere esaminata la richiesta di esecuzione della pena in Italia, eventualmente formulata dal cittadino, in quanto nell’ipotesi di mandato di arresto, emesso per finalità sia processuali che esecutive, l’individuazione del luogo di esecuzione della pena (in Italia, o nello Stato membro di emissione) è pacificamente "influenzata" dalle indicazioni provenienti dallo stesso interessato (Sez. 6^, Sentenza n. 46845/2007 rv 238328 imp. Pano), osserva la Corte che, contrariamente ad altra diversa decisione di questa stessa sezione (sentenza n.: 10544/2007, rv. 235946 in ric. Foresta), la decisione sulla esecuzione in Italia della pena straniera, nella persona del cittadino italiano, va intesa non come "discrezionale" ma "obbligatoria".
A tanto è lecito pervenire in quanto nella fattispecie si versa nell’ipotesi regolata dalla L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. r) e si deve avere riguardo alla circostanza che il sistema interno del M.A.E. supera la procedura del formale riconoscimento delle sentenze penali straniere, perchè, per la esecuzione in uno Stato aderente all’accordo, vige il sistema dell’automatico mutuo riconoscimento e l’iniziativa è affidata direttamente alla Autorità giudiziaria.
Invero, contrariamente all’apparente tenore della citata norma dell’art. 18, lett. r), la decisione sulla esecuzione della pena in Italia risulta obbligatoria, come può evincersi dalla parallela norma dell’art. 19, comma 1, lett. c) della citata legge, la quale, in caso di "m.a.e. processuale", stabilisce che la consegna all’autorità straniera sia necessariamente subordinata alla riconsegna dell’interessato (cittadino italiano) perchè sconti la pena (inflitta all’estero) in Italia (Sez. 6^, U.P. 15 luglio 2008 in ric, Lo Savio).
Su tale premessa, ed in concreto, ritiene peraltro il Collegio che la regola immediatamente applicabile, salvo diversa ed esplicita volontà dell’interessato, sia quella che esclude che il cittadino italiano, destinatario di un mandato di arresto europeo, emesso ai fini della esecuzione di una pena (come nella specie), possa subire l’esecuzione di detta sanzione privativa della libertà personale all’estero a meno che, lo si ribadisce, esista una sua espressa e specifica richiesta di esecuzione della pena stessa nello Stato estero che ne ha chiesto la consegna.
Una presunzione quindi rovesciata, rispetto a quella indicata nella meno recente giurisprudenza di questa Corte, che aveva altresì affermato che l’art. 18 citato, lett. r), comma 1, non imponeva "sempre e comunque" alla Corte di Appello una decisione di rifiuto della consegna del cittadino italiano, in presenza di richiesta di espiazione della pena in Italia, ben potendo la decisione in ordine al luogo di espiazione (estero o Italia) essere rimandata alla fase "successiva e tipica della esecuzione della pena".
Quanto al caso di specie, manca da parte del ricorrente la manifestazione di una volontà di espiazione all’estero, e risulta invece una formale domanda in senso contrario, che va esaminata anche se è stata prospettata in tali inequivoci termini soltanto avanti a questa Corte Suprema e non avanti alla Corte distrettuale.
Circostanza quest’ultima non preclusa da alcun sbarramento processuale posto che la regola di base cui fare riferimento è "il rifiuto di consegna" e non invece "la consegna solo se" manca la richiesta di esecuzione della pena straniera nello Stato italiano.
Si impone pertanto l’annullamento della sentenza impugnata ex artt. 615-623 c.p.p. e L. n. 69 del 2005, art. 22, con rinvio alla Corte di Appello di Lecce, la quale provvederà a stabilire la pena da porre in esecuzione nel nostro Stato in conformità al diritto interno.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Lecce per nuovo giudizio. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005 art. 22, comma 5.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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