Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 01-03-2011) 09-06-2011, n. 23208 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La CdA di Roma, con la sentenza di cui in epigrafe, ha confermato la pronunzia di primo grado con la quale o.A. era stato condannato alla pena di giustizia perchè riconosciuto colpevole del delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale in relazione al fallimento delle srl IMG INTERNATIONAL MARBLE AND GRANIT, dichiarato con sentenza 11.4.2003.

Ricorre per cassazione il difensore e deduce carenza assoluta di motivazione, essendo essa meramente apparente, oltre che manifestamente illogica.

La CdA, ignorando completamente i motivi di appello, si riporta, anche esplicitamente, alla motivazione della sentenza di primo grado, non dando risposta alcuna alle motivate censure formulate con l’atto di impugnazione. Di ciò il giudice di legittimità potrà rendersi conto se solo vorrà esaminare i motivi di appello. E’ poi del tutto illogica la motivazione nella parte in cui vuole dedurre il ruolo di amministratore di fatto del ricorrente dal fatto che egli ebbe a rivestire ruoli sociali in compagini che erano individuabili con medesimo acronimo (IMG) di quella fallita o che avevano sede nel medesimo edificio.

Infine si è verificata grave violazione dell’art. 62 c.p.p. nella parte i cui la sentenza utilizza la testimonianza del curatore in sede di giudizio abbreviato, riferendo quanto assume avere appreso dall’imputato. In quanto PU, il curatore sarebbe stato tenuto alla denunzia e dunque doveva assumere la veste, non di testimone o persona informata sui fatti, ma di vero e proprio "motore" del procedimento.
Motivi della decisione

L’esame della seconda censura appare pregiudiziale, in quanto, con essa, il ricorrente deduce, in pratica, la inutilizzabilità del principale "elemento di carico" valutato nei suoi confronti.

Detta censura è inammissibile per manifesta infondatezza.

Invero, va innanzitutto ricordato che la relazione del curatore fallimentare, diretta al giudice delegato, non costituisce, di per sè, notizia di reato, ma documento utilizzabile in giudizio, ai sensi dell’art. 234 c.p.p. (ASN 200408857-RV 228756).

A maggior ragione, nel giudizio abbreviato, tanto la predetta relazione, quanto le dichiarazione del curatore, devono ritenersi pienamente utilizzabili a fini probatori. Per altro, è stato esplicitamente affermato che le relazioni e gli inventori redatti dal curatore fallimentare sono ammissibili come prove documentali in ogni caso e non solo quando siano ricognitivi di una organizzazione aziendale e di una realtà contabile, attesochè gli accertamenti documentali e le dichiarazioni ricevute dal curatore costituiscono prove rilevanti nel processo penale, al fine di ricostruire le vicende amministrative della società. Ne consegue che è corretto l’inserimento della relazione diretta al giudice delegato nel fascicolo processuale, in quanto il principio di separazione delle fasi non si applica agli accertamenti aventi funzione probatoria, preesistenti rispetto all’inizio del procedimento o che appartengano comunque al contesto del fatto da accertare (ASN 200408857-RV 228756).

Quanto alle dichiarazioni del fallito, raccolte dal curatore, questa sezione ha affermato, in più riprese (ASN 200836593-RV 242020; ASN 200446795-RV 230520; ASN 200141134-RV 230520) che esse non sono soggette alla disciplina di cui all’art. 63 c.p.p., comma 2, che prevede l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese all’AG o alla pg da chi, sin dall’inizio, avrebbe dovuto essere sentito in qualità d’imputato, in quanto il curatore non rientra in queste categorie e la sua attività non può farsi rientrare nella previsione di cui all’art. 220 norme coord. c.p.p., che concerne le attività ispettive e di vigilanza.

Manifestamente infondata è anche la prima cesura.

La sentenza di primo grado, con la quale quella – confirmatoria – di appello fa "corpo unico", ha posto in evidenza gli elementi dai quali i giudici di merito hanno tratto la conclusione in base alla quale il C. deve considerarsi amministratore di fatto della società fallita: conferimento di deleghe ad operare su tre dei quattro c/c bancari della IMG (tra i quali, il conto "principale"), sottoscrizione di fatture, dichiarazioni del curatore, della sua collaboratrice, di altra persona informata sui fatti, dichiarazioni del CT del PM. Inoltre, viene messo in evidenza come la anziana zia del C., che figurava come amministratrice, si sia mostrata del tutto incapace di adempiere alle sue funzioni, tanto da dover essere accompagnata in banca dal nipote.

A tale compendio probatorio, la sentenza impugnata aggiunge la notazione relativa al fatto che il C. risultava titolare di altra società, identificabile con il medesimo acronimo e avente sede nel medesimo stabile. La sentenza di primo grado, per parte sua, evidenzia come a tale seconda società (anche formalmente) intestata al C., furono fatti affluire parte dei beni distratti dal patrimonio della fallita.

Alla dichiarazione di inammissibilità consegue condanna alle spese e al versamento di somma a favore della Cassa ammende, somma che si stima equo determinare in Euro 1000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro mille a favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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