Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 24-02-2011) 09-06-2011, n. 23323 Abuso di ufficio Falsità ideologica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. C.L., dipendente della San Paolo Riscossioni ed indagato per i reati di abuso di ufficio e di falso ideologico, veniva sottoposto agli arresti domiciliari nel periodo dal 5-6 al 7-7 2001: l’accusa era di avere redatto verbali di pignoramento negativi senza indicare la sussistenza, invece, di beni mobili (sia pure invendibili) o di beni mobili registrati, oggetto poi di ulteriore separata ricerca sugli appositi registri (veicoli). Il predetto veniva assolto da entrambi i reati con formula piena in primo e secondo grado.

I Giudici del merito osservavano che l’imputato si era comportato correttamente nell’esecuzione degli incombenti d’istituto applicando il principio riconosciuto della sussistenza di discrezionalità tecnica nel non procedere a pignoramento in presenza di beni giuridicamente pignorabili ma di fatto privi di valore commerciale e quindi inidonei a soddisfare anche in parte il credito d’imposta.

Il C. proponeva istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta chiedendo che gli venisse riconosciuta l’indennità nella misura ritenuta equa.

2. La Corte di Appello di Firenze, con ordinanza del 5-12-2009, riconosceva la somma di Euro 8.000,00, rilevando che non ricorrevano elementi impeditivi all’accoglimento della domanda, ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 1, non ravvisandosi dolo o colpa grave nel comportamento del richiedente. In particolare, non erano ravvisabili a carico di C. profili comportamentali diversi da quelli ritenuti privi di rilevanza penale dai Giudici di cognizione e privi anche di ogni illegittimità e di idoneità di per sè a giustificare l’emissione del provvedimento coercitivo.

In ordine alla quantificazione della riparazione, la Corte di merito fissava in Euro 6.000,00 l’importo matematico di base dovuto per la sottoposizione agli arresti domiciliari; l’ulteriore importo liquidato sino ad Euro 8.000,00 veniva riconosciuto per il mancato guadagno conseguito al periodo di restrizione e per altri pregiudizi subiti di carattere personale.

3. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze avanzava ricorso per cassazione avverso l’ordinanza.

Osservava che il Giudice della riparazione erroneamente aveva escluso la ricorrenza di una condotta, da parte dell’istante, ostativa al riconoscimento dell’indennità.

Il Ministero ricorrente censurava anche l’entità della riparazione riconosciuta, dolendosi delle voci di indennizzo riconosciute, ulteriori rispetto al computo matematico di base, quantificate senza fornire una specifica e congrua motivazione al riguardo.

Chiedeva l’annullamento dell’ordinanza.

4. Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione instava per il rigetto del ricorso.

5. Il ricorso deve essere respinto perchè infondato.

Si osserva, in tema di elementi impeditivi per l’affermazione del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, che debbono distinguersi le determinazioni assunte dal giudice del processo penale, volte ad accertare la sussistenza del reato nelle sue componenti oggettiva e soggettiva, rispetto alle autonome valutazioni che deve effettuare il giudice della riparazione il quale, pur operando eventualmente sullo stesso materiale, deve seguire un "iter- motivazionale" distinto, perchè è suo compito solo stabilire se la condotta dell’istante, a suo tempo indagato, si sia posta come fattore condizionante dell’intervento dell’Autorità Giudiziaria (v. così, Cass. Sez. Unite 13-12-1995 – Sarnataro).

In altre parole, va detto che la Corte di Appello, investita ex art. 315 c.p.p., è tenuta ad esaminare il comportamento del richiedente al fine di verificare, con valutazione ex ante, se esso sia stato il presupposto che abbia ingenerato legittimamente la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla" detenzione cautelare" con rapporto di causa ad effetto (v. ancora, Cass. Sez. Unite 26-6-2002 – De Benedictis).

Nel caso di specie, la Corte di merito appare avere adeguatamente esaminato e valutato le emergenze processuali, senza riscontrare una condotta colposa da parte del richiedente; d’altro canto, il Ministero ricorrente ha fornito solo una valutazione alternativa in fatto rispetto alle corrette argomentazioni del Giudice della Riparazione.

Deve aggiungersi che risulta sufficientemente e correttamente motivato il computo dell’indennità riconosciuta. Di fatti, il parametro matematico (costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo di cui all’art. 315 c.p.p., comma 2 e il termine massimo della custodia cautelare di cui all’art. 303, comma 4 espresso in giorni, moltiplicato per il periodo anch’esso espresso in giorni di ingiusta restrizione sofferta) porta alla determinazione un’indennità giornaliera di Euro 235,82 per il periodo di custodia in carcere, aumentabile, con l’unico limite di non superabilità del tetto massimo di Euro 516.456,90 stabilito nell’art. 315 c.p.p., in relazione ad una valutazione equitativa delle conseguenze personali, familiari e patrimoniali discendenti pure dalla restrizione della libertà. Al riguardo, la Corte di Firenze ha correttamente motivato circa la riconoscibilità in favore dell’istante di somme aggiuntive, in considerazione della retribuzione non percepita a causa del periodo di restrizione agli arresti domiciliari e per le ulteriori sofferenze personali e familiari patite.

6. La reiezione del ricorso comporta la condanna del Ministero ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte di Cassazione 4^ Sezione Penale rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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