Cons. Stato Sez. VI, Sent., 13-06-2011, n. 3561 Comunicazione o notificazione dell’atto Espropriazione, Occupazione abusiva o illegittima

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con il ricorso di primo grado e successivi motivi aggiunti il signor L. G. e la società Aziende agricole L. G. e figli hanno adito il T.a.r. della Toscana esponendo quanto segue.

1.1. Il sig. L. G. è proprietario di un complesso immobiliare ubicato in Firenze, nei pressi del Galluzzo fra via delle Romite, via di Rocca Pilucco, via delle Bagnese e il torrente Greve.

I fabbricati sono composta da: una villa di sedici vani, corredata da servizi, garage e giardino, abitata dal sig. G.; da una casa ex colonica completamente ristrutturata a villa, suddivisa in tre unità immobiliari autonome, rispettivamente di 8, 7, 5 e 12 vani catastali, tutti corredati da servizi e accessori, abitata dai suoi figli; da un altro edificio di tre locali adibito a magazzino e garage; da un immobile ad un piano di 5 vani utilizzato come ufficio, corredato da servizi.

I terreni si estendono intorno agli edifici per una superficie di circa 19 ettari, a varia cultura.

I beni in questione sono rappresentati al Foglio 148 del Comune di Firenze.

1.2. In data 23 gennaio 2001, il sig. L. G. ha concesso in affitto i terreni di sua proprietà per la superficie complessiva pari ad ettari 19.56.14, alla società Aziende Agricole L. G. & figli s.r.l. (risultante dalla fusione per incorporazione fra le società " Fattoria i Casoni s.r.l." e "Montefalconi s.r.l." e contestuale cambio di destinazione sociale: cfr. atto del 20.11.1992.

Tali terreni vengono utilizzati dall’Azienda agricola per la produzione dell’olio di oliva, oltre che per la coltivazione di cereali (granturco o girasole, alternativamente) e usufruiscono di contributi provinciali e statali.

Per la coltivazione dei terreni vengono utilizzati gli operai dell’Azienda (5 dipendenti), con l’ulteriore ricorso alla manodopera avventizia quando necessaria, l’Azienda è dotata di un adeguato parco macchine agricole, composto da trattori cingolati e gommati, mietitrebbia ed altre attrezzature specifiche.

1.3. Con nota del 30 maggio 2005, notificata il 14 giugno successivo, la società A. P. L. s.p.a. ha comunicato al sig. L. G. che parte dei suoi terreni sarebbero stati prima occupati in via d’urgenza e poi espropriati per consentire la realizzazione di un’opera stradale denominata "by pass Galluzzo raccordo con il Viale dei colli bis", destinata a collegare l’uscita autostradale di FirenzeCertosa con la via delle Bagnese e la via Senese e quindi il centro di Firenze.

Con tale nota si informa il sig. L. G. che la società Anas con provvedimento n. 6937 del 13 settembre 2004 ha approvato il progetto esecutivo dell’opera, con efficacia di pubblica utilità e che, con successivo provvedimento n. 14480 del 24 maggio 2005, il dirigente dell’ufficio espropriazioni della società A. P. L. ha disposto l’occupazione d’urgenza dei terreni di proprietà del sig. G., con contestuale determinazione urgente dell’indennità provvisoria di espropriazione, asservimento e occupazione temporanea nella misura di Euro. 30.279,04, ai sensi dell’art. 22bis, d.P.R. n. 327/2001.

L’occupazione interessa circa 47.000 mq. della proprietà G..

Con la nota del 30 maggio 2005 si invitava inoltre la ditta proprietaria a presenziare il 7 luglio 2005 alla redazione dello stato di consistenza e del verbale di immissione in possesso degli immobili di cui al decreto d’occupazione. Si avvertiva inoltre della possibilità di accettare l’indennità offerta entro trenta giorni dalla data di immissione in possesso e, in alternativa, della possibilità di nominare nello stesso termine un tecnico per partecipare al collegio ei periti per la determinazione dell’indennità definitiva ai sensi dell’art. 21 del testo unico sugli espropri. In mancanza di comunicazione, la società A. informava che avrebbe chiesto la determinazione dell’indennità alla Commissione provinciale per le espropriazioni.

Il 7 luglio 2005 la società A. ha quindi proceduto alla redazione dello stato di consistenza e del verbale di immissione in possesso dei terreni.

2. Avverso i provvedimenti del procedimento espropriativo gli esponenti hanno proposto ricorso al T.a.r. della Toscana, che lo ha respinto con la sentenza in epigrafe (n. 2909/2006).

Gli originari ricorrenti hanno proposto appello, con cui ripropongono le censure di cui al ricorso di primo grado e muovono critiche motivate alla sentenza.

3. Con il primo mezzo di appello vengono riproposti il primo motivo del ricorso di primo grado e il primo dei motivi aggiunti di primo grado, lamentandosi l’omissione dell’avviso di avvio del procedimento di apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, in violazione dell’art. 11, d.P.R. n. 327/2001, e lamentandosi inoltre l’omissione dell’avviso di avvio del procedimento in relazione alla dichiarazione di pubblica utilità, in violazione dell’art. 16, d.P.R. n. 327/2001.

3.1. Il T.a.r. ha disatteso la censura osservando che:

– il vincolo preordinato all’esproprio deriva, nel caso di specie, dall’intesa StatoRegione ai sensi del d.P.R. n. 384/1994 conclusasi con l’approvazione del progetto dell’opera da parte della conferenza di servizi in data 8 ottobre 1999;

– alla data di apposizione del vincolo non era ancora in vigore il d.P.R. n. 327/2001, sicché l’invocato art. 11 era inapplicabile;

– quanto all’omesso avviso di avvio del procedimento di dichiarazione di pubblica utilità, l’avviso individuale non era necessario essendo il numero degli espropriandi superiore a 50;

– per le stesse ragioni sarebbe infondata l’analoga censura mossa al decreto di occupazione di urgenza.

3.2. Parte appellante critica tale capo di sentenza osservando che:

– l’art. 57, d.P.R. n. 327/2001 rende la nuova disciplina applicabile ai procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore, se non sia ancora intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità: pertanto il procedimento di apposizione del vincolo preordinato all’espropriazione avrebbe dovuto essere rinnovato con applicazione delle norme di partecipazione procedimentale di cui al citato art. 11;

– non corrisponderebbe al vero che l’opera in questione coinvolgeva più di 50 espropriandi, atteso che si tratta specificamente del by pass del Galluzzo che non potrebbe essere accorpato con la terza corsia autostradale;

– quand’anche si ritenesse ammissibile, nel caso di specie, la comunicazione di massa prevista in caso di più di 50 espropriandi, comunque essa avrebbe dovuto rispettare le formalità di cui all’art. 16, co. 5, d.P.R. n. 327/2001, che invece sono state omesse, in quanto gli avvisi pubblicati non indicherebbero né le aree interessate dalle espropriazioni né gli intestatari catastali delle aree, sicché i ricorrenti non sarebbero mai stati messi in grado di comprendere, dalla lettura dell’avviso, che l’opera pubblica riguardava aree di loro proprietà;

– per le stesse ragioni sarebbe illegittimo il provvedimento di occupazione di urgenza, emesso asseritamente in violazione dell’art. 22bis, co. 2, lett. b), d.P.R. n. 327/2001.

4. E’ infondata la censura di violazione dell’art. 11, d.P.R. n. 327/2001.

Infatti il vincolo preordinato all’esproprio risulta apposto nel 1999, prima dell’entrata in vigore del d.P.R. n. 327/2001, e pertanto il citato art. 11 era inapplicabile.

Se è vero che l’art. 57, d.P.R. n. 327/2001, rende applicabile la nuova disciplina anche ai procedimenti in corso per i quali non sia stata ancora dichiarata la pubblica utilità, tuttavia la nuova disciplina si applica solo agli atti ancora da compiere, e non anche a quelli già compiuti, cui resta applicabile la disciplina previgente in ossequio al canone tempus regit actum.

5. Neppure è fondata la censura secondo cui l’opera in questione involgerebbe meno di cinquanta espropriandi.

Infatti il by pass del Galluzzo fa parte dei più ampi lavori inerenti la terza corsia autostradale, e pertanto il numero di espropriandi va calcolato avuto riguardo all’opera nel suo complesso. Inoltre, anche considerando il solo lotto 6, gli espropriandi sono più di cinquanta (v. doc. 21 della produzione di primo grado di A. P. L.).

6. Tanto vale anche in relazione alla asserita violazione dell’art. 22bis, d.P.R. n. 327/2001.

7. E’ invece fondata la censura di violazione dell’art. 16, d.P.R. n. 327/2001, sotto il profilo dell’inosservanza delle formalità da rispettare in caso di pubblicità di massa in luogo dell’avviso individuale di avvio del procedimento.

Dispone, infatti, l’art. 16, co. 2, d.P.R. n. 327/2001, che lo schema dell’atto di approvazione del progetto deve richiamare gli elaborati contenenti la descrizione dei terreni e degli edifici di cui è prevista l’espropriazione, con l’indicazione dell’estensione e dei confini, nonché, possibilmente, dei dati identificativi catastali e con il nome ed il cognome dei proprietari iscritti nei registri catastali.

Aggiunge il co. 4 del medesimo articolo che al proprietario dell’area ove è prevista la realizzazione dell’opera è inviato l’avviso dell’avvio del procedimento, mentre il co. 5 dispone che allorché il numero dei destinatari sia superiore a 50 si osservano le forme di cui all’art. 11, co. 2.

A sua volta l’art. 11, co. 2, d.P.R. n. 327/2001 dispone che l’avviso di avvio del procedimento è comunicato personalmente agli interessati alle singole opere previste dal piano o dal progetto. Allorché il numero dei destinatari sia superiore a 50, la comunicazione è effettuata mediante pubblico avviso da affiggere all’albo pretorio dei Comuni nel cui territorio ricadono gli immobili da assoggettare al vincolo, nonché su uno o più quotidiani a diffusione nazionale e locale e, ove istituito, sul sito informatico della Regione o Provincia autonoma nel cui territorio ricadono gli immobili da assoggettare al vincolo. L’avviso deve precisare dove e con quali modalità può essere consultato il piano o il progetto.

Vero è che tali previsioni non erano applicabili, ratione temporis, al procedimento espropriativo per cui è processo, atteso che il d.P.R. n. 327/2001 è entrato in vigore il 30 giugno 2003, laddove l’avviso di massa nel caso di specie è stato pubblicato il 28 aprile 2003, in applicazione dell’art. 8, l. n. 241/1990.

Ma anche in applicazione dell’art. 8, l. n. 241/1990, l’avviso pubblico sostitutivo dell’avviso individuale non può limitarsi alla generica descrizione dell’opera pubblica e alle generica indicazione del Comune in cui ricade, ma deve anche descrivere i terreni o edifici espropriandi, e ove possibile indicare i dati catastali degli immobili e i nomi dei proprietari catastali.

Se si può consentire che nella pubblicità di massa siano omessi i dati catastali degli immobili e i nomi dei proprietari catastali, non può invece acconsentirsi all’omissione della descrizione delle immobili, quanto meno con indicazione del relativo indirizzo o zona.

Diversamente infatti, gli interessati non sono posti in condizione di comprendere, dalla pubblicità di massa contenuta nell’albo pretorio e sulla stampa quotidiana, che sono proprio le loro proprietà ad essere oggetto del procedimento espropriativo.

La giurisprudenza di questo Consesso ha già affermato, con principi che il Collegio condivide, che le richiamate disposizioni facoltizzano l’amministrazione ad avvalersi di forme di pubblicità diverse dalla comunicazione personale, ma tale scelta non può incidere sull’onere dell’individuazione del soggetto destinatario della comunicazione, né sul contenuto della stessa comunicazione, come definito dalla normativa richiamata.

Diversamente opinando, non si tratterebbe più di scegliere una forma di comunicazione, individuale o collettiva, bensì di consentire o meno l’effettiva partecipazione dell’interessato al procedimento.

Pertanto, anche la forma di pubblicità, prescelta in luogo della comunicazione personale, deve essere idonea allo scopo di assicurare l’effettiva partecipazione del privato al procedimento amministrativo, in primo luogo, mediante l’identificazione dei soggetti incisi dalla procedura ablativa, in quanto proprietari del terreno, secondo le risultanze catastali.

Per converso, una forma di pubblicità, priva dell’indicazione delle particelle catastali interessate dall’approvazione del progetto dell’opera e dell’elenco delle ditte espropriande, non è idonea a far conoscere ai proprietari quali terreni di loro proprietà siano interessati alla realizzazione dell’opera e di poter conseguentemente partecipare al procedimento amministrativo (Cons. giust. sic. 4 novembre 2008 n. 902; Cons. St., sez. IV, 22 giugno 2006 n. 3885; Cons. St., sez. VI, 8 marzo 2004 n. 1077; Cons. giust. sic., 20 gennaio 2003 n. 25).

7.1. E’ quanto si è verificato nel caso di specie, in cui gli avvisi pubblicati a cura di A. P. L. s.p.a. (cfr. documenti da 7 a 17 della produzione di primo grado della detta società), si limitano a menzionare le opere da realizzare, tra cui il "lotto 6 nuovo collegamento viario bypass del Galluzzo: comuni di Firenze e Impruneta" senz’alcuna altra specificazione e descrizione, che consentisse ai cittadini dei due Comuni di rendersi conto che fossero i propri terreni ad essere interessati dalla dichiarazione di pubblica utilità e quindi di poter partecipare al procedimento.

7.2. Non giovano in contrario le deduzioni di A. P. L. secondo cui l’omessa partecipazione procedimentale sarebbe nel caso di specie irrilevante perché il contenuto del provvedimento era vincolato alle prescrizioni imposte in sede di procedimento di v.i.a.

Infatti anche tali prescrizioni sono state imposte senza tener conto dell’interesse dei privati odierni appellanti, che avrebbero potuto far valere la propria posizione, se tempestivamente informati del procedimento.

La partecipazione procedimentale avrebbe potuto consentire di dare voce all’interesse ad una maggiore distanza dell’opera dai fabbricati residenziali o all’adozione di migliori misure antinquinamento e antirumore rispetto a quelle in concreto adottate, con soddisfacimento di tale interesse mediante una valutazione di merito riservata all’Amministrazione, diversa da quella adottata e che, afferendo al merito, non può essere sindacata in sede giurisdizionale.

7.3. Va inoltre per completezza precisato che l’opera pubblica per cui è processo non risulta inclusa nel programma delle infrastrutture strategiche (da nessun atto di causa risulta tale inclusione e inoltre il difensore di A. P. L., nel corso dell’udienza di discussione, su specifica domanda del Collegio ha confermato la non inclusione), sicché non è applicabile la specifica disciplina in tema di partecipazione procedimentale in relazione alla dichiarazione di pubblica utilità di dette infrastrutture, meno garantista di quella generale.

7.4. Dall’accoglimento delle suesposte censure discende l’annullamento dei seguenti provvedimenti, nei limiti dell’interesse dei ricorrenti:

a) la nota della società A. P. L. s.p.a., notificata al sig. L. G. il 14 giugno 2005;

b) il provvedimento 13 settembre 2004 n. 6937, con cui l’Anas ha approvato con prescrizioni il progetto esecutivo dei lavori in oggetto con efficacia di dichiarazione di pubblica utilità, fissando i termini di inizio e conclusione dei lavori e delle espropriazioni e dando incarico alla concessionaria di procedere all’occupazione d’urgenza e alle espropriazioni relative;

c) il decreto 14480 del 24 maggio 2005, con cui la Società A. P. L. ha decretato l’occupazione d’urgenza preordinata alle espropriazioni per cinque anni dei terreni ivi indicati ed ha determinato in via provvisoria l’indennità di esproprio;

d) il provvedimento di immissione in possesso in data 7 luglio 2005.

8. Con il secondo motivo di appello si ripropongono il secondo motivo del ricorso di primo grado e il secondo motivo aggiunto in primo grado, con cui si lamentava la violazione della disciplina in materia di v.i.a., assumendosi che essa sarebbe stata resa in relazione ad un progetto lacunoso e non sarebbe stata rinnovata in seguito alle rilevanti modifiche apportate in prosieguo al progetto.

8.1. Il T.a.r. ha disatteso tali censure osservando che:

– l’impugnazione sarebbe tardiva perché andava proposta contro il d.m. di v.i.a. pubblicato nella G.U. del 10 dicembre 1999;

– i ricorrenti non avrebbero provato la diversità del progetto finale, tale da giustificare una nuova v.i.a.;

– le modifiche progettuali sono state effettuate proprio in adeguamento alle prescrizioni imposte nel corso del procedimento di v.i.a.

8.2. Gli appellanti contestano tale capo di sentenza osservando che:

– il d.m. del 1999 non avrebbe concluso la procedura di v.i.a. avendo avuto ad oggetto un progetto diverso da quello finale;

– né vi era onere di immediata impugnazione del d.m. del 1999, in quanto all’epoca non era stato apposto il vincolo preordinato all’esproprio sui terreni degli appellanti;

– con il ricorso di primo grado sarebbero state puntualmente indicate le differenze peggiorative del progetto finale rispetto a quello iniziale in termini di impatto negativo sul paesaggio; il progetto finale contemplerebbe un’opera con visibilità e impatto superiore, che raddoppierebbe gli ingombri e il consumo del territorio, dato che verrebbero inserite apposite scarpate in luogo di muri a retta di contenimento della collina) e si eleverebbe l’opera altimetricamente, che così risulterebbe più visibile con aumento altresì dell’impatto acustico, idraulico e idrogeologico.

9. Le censure vanno respinte.

Ai sensi dell’art. 1, co. 2, d.P.C.M. n. 377/1988, la rinnovazione del giudizio di compatibilità ambientale si impone solo allorché le varianti progettuali determinino la costruzione di un manufatto significativamente diverso da quello già esaminato.

La valutazione di impatto ambientale riguarda gli aspetti che risultino in grado di incidere sui fattori di rischio individuati dalla normativa di riferimento e la valutazione effettuata nella fase preliminare non preclude che – in sede di progettazione definitiva – siano approvate le modifiche senza che ciò renda di per sé necessario procedere ad una nuova v.i.a. (Cons. St., sez. VI, n. 2694/2006; Cons. St., sez. VI, 22 novembre 2006 n. 6831; C. giust. CE 4 maggio 2006, C290/2003), se le stesse non hanno un impatto ambientale importante, in particolare per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione.

Nel caso di specie, le modifiche apportate al progetto inizialmente approvato nel 1999 sono costituite da marginali spostamenti del tracciato, in gran parte introdotti all’esclusivo fine di adeguare il progetto alle prescrizioni contenute nel giudizio di compatibilità ambientale.

Né convincono le censure con cui si sostiene che le prescrizioni impartite nel 1999 sono state un espediente per non approvare uno studio di impatto ambientale lacunoso, censure non dimostrate.

Né può condividersi l’assunto che sarebbe stato onere delle amministrazioni resistenti in giudizio dimostrare la corrispondenza tra le modifiche progettuali apportate e le prescrizioni progettuali imposte.

Per converso, era onere di parte ricorrente dimostrare che le modifiche progettuali avessero travalicato le prescrizioni imposte, dimostrazione che non è stata fornita, atteso che la relazione tecnica depositata nel giudizio di primo grado dai ricorrenti mira inammissibilmente a sostituire la valutazione tecnica dell’amministrazione con una valutazione di parte senza però dimostrare l’erroneità delle valutazioni dell’amministrazione medesima.

Invero, la lettura del doc. 61 della produzione documentale di primo grado di A. P. L. e della allegata planimetria in cui vengono sovrapposti il tracciato dell’opera secondo il progetto esecutivo e secondo il progetto definitivo, convince il Collegio che l’opera di cui al progetto esecutivo non è radicalmente diversa da quella oggetto di v.i.a., ma costituisce un adeguamento alle prescrizioni impartite, e come tale non necessitava di una nuova v.i.a.

Quanto al rilievo dell’elevazione altimetrica, con il passaggio dal tracciato incassato tra muri a retta (prima versione progettuale) al tracciato contornato da scarpate naturali (versione progettuale definitivamente approvata), si tratta di modifica progettuale imposta dalla Soprintendenza per un migliore inserimento paesaggistico dell’opera.

10. Con il terzo motivo di appello viene riproposto il terzo motivo del ricorso di primo grado con cui si lamentava la violazione della normativa regionale in materia di v.i.a.

10.1. Il T.a.r. ha disatteso le censure affermando che doveva applicarsi la normativa statale e non quella regionale in materia di v.i.a.

10.2. Parte appellante critica tale capo di sentenza osservando che l’opera per cui è processo non avrebbe carattere complementare rispetto a quella statale, dovendo essere qualificata come strada extraurbana secondaria, come tale soggetta a v.i.a. regionale.

10.3. La censura è infondata.

Essa muove da una visione atomistica dell’opera in questione, omettendo di considerare che essa fa parte di una progettazione più ampia di interesse statale, di cui l’opera fa parte integrante.

Occorreva pertanto un’unica v.i.a., quella prevista dalla legge statale, non occorrendo anche un ulteriore procedimento di v.i.a. regionale.

11. Con il quarto motivo di appello viene riproposto il quarto motivo del ricorso di primo grado e il terzo motivo aggiunto in primo grado, con cui si lamentava la violazione della disciplina in tema di varianti urbanistiche.

11.1. Si sostiene che, essendo il progetto approvato con effetto di dichiarazione di pubblica utilità diverso da quello approvato in sede di conferenza di servizi, per adeguare lo strumento urbanistico del Comune di Firenze si sarebbe dovuto seguire l’apposito procedimento previsto dalla legislazione regionale.

11.2. Il T.a.r. ha disatteso la censura ritenendo che la variante allo strumento urbanistico discendeva dall’approvazione del progetto in sede di conferenza di servizi.

11.3. Parte appellante critica tale capo di sentenza osservando che non poteva trovare applicazione il procedimento di variante di cui al d.P.R. n. 383/1994 atteso che il progetto esecutivo era radicalmente diverso da quello approvato in sede di conferenza di servizi.

11.4. La censura va disattesa.

Si è già osservato che il progetto esecutivo ai fini della dichiarazione di pubblica utilità recepisce le prescrizioni impartite in sede di procedimento di v.i.a. e non rappresenta un’opera radicalmente diversa, bensì la medesima opera approvata in conferenza di servizi, con modifiche marginali.

Pertanto, al fine della variante dello strumento urbanistico, era necessario e sufficiente il procedimento di localizzazione dell’opera di interesse statale mediante intesa ai sensi del d.P.R. n. 383/1994, senza necessità che il Comune di Firenze seguisse un diverso procedimento di adozione e approvazione di variante.

12. Con il quinto motivo di appello si ripropone il quinto motivo del ricorso di primo grado e il quarto motivo aggiunto in primo grado, con cui si contestava che l’opera sia qualificabile come complementare al progetto della terza corsia autostradale nel cui ambito è inserita, trattandosi di opera chiesta dal Comune di Firenze al solo scopo di alleggerire il traffico nell’abitato del Galluzzo.

Dal carattere autonomo e non complementare dell’opera discenderebbero conseguenze in termini di procedimento di localizzazione, di procedimento di v.i.a. e di procedimento espropriativo applicabile.

12.1. Ci si duole che il T.a.r. avrebbe del tutto omesso di pronunciarsi su tale censura.

12.2. La censura va disattesa.

La non complementarità dell’opera in questione rispetto alla terza corsia autostradale è indimostrata e fondata su affermazioni che impingono inammissibilmente in valutazioni di merito. Risulta per converso che il progetto del potenziamento autostradale ha sin dall’inizio previsto la necessità di predisporre adeguati assi di penetrazione nel territorio fiorentino, per assicurare un miglior interscambio del traffico tra centro cittadino e infrastruttura autostradale. Quello che è stato denominato come "bypass del Galluzzo" è stato ab initio previsto da A. P. L. (e non solo chiesto dal Comune di Firenze), e denominato "asse di penetrazione di Certosa". Il ramo stradale in questione, a lavori ultimati, sarà preso in carico da ANAS e non entrerà a far parte della viabilità comunale, a riprova della sua complementarità all’opera autostradale e dell’interesse statale e non comunale dell’opera.

13. Con il sesto motivo di appello si ripropongono il sesto motivo del ricorso di primo grado e il quinto motivo aggiunto in primo grado, lamentandosi il vizio di insufficiente pronuncia da parte del T.a.r.

13.1. Con tali censure si lamentava la mancata adeguata considerazione del rischio idraulico.

13.2. Il T.a.r. ha ritenuto la censura inammissibile perché impingente nel merito delle scelte amministrative.

13.3. Parte appellante lamenta di aver dimostrato con relazione tecnica i vizi logici e di istruttoria della scelta progettuale operata.

13.4. Il complesso delle censure dedotte (da pag. 42 a 44 dell’atto di appello) sono prima che infondate inammissibili perché mirano a sostituire valutazioni di merito dell’amministrazione con diverse valutazioni compiute dal tecnico di parte, senza dimostrare l’illogicità o il travisamento dei fatti da parte dell’amministrazione; per converso risulta dai documenti in atti che la valutazione del rischio idraulico e idrogeologico è stata compiuta, atteso che si è tenuto adeguatamente conto dell’interferenza dell’opera con il bacino idrografico del torrente Greve.

14. Con il settimo motivo di appello si ripropongono le censure di cui al sesto e settimo motivo del ricorso di primo grado e di cui al sesto motivo aggiunto, sotto il profilo della violazione dei vincoli ambientali insistenti sull’area.

14.1. Il T.a.r. ha disatteso le censure osservando che i vincoli ambientali sono stati considerati in sede di procedimento di v.i.a.

14.2. Lamentano gli appellanti che sull’area grava il vincolo di cui alla l. n. 1497/1939 e che le Autorità preposte in sede di conferenza di servizi avevano espresso perplessità sul bypass del Galluzzo.

In particolare si lamenta che la Soprintendenza avrebbe tenuto una condotta contraddittoria, esprimendo dapprima perplessità e poi dando il proprio assenso con modeste prescrizioni.

Lamentano inoltre l’assenza di misure mitigatorie per la proprietà degli appellanti, e segnatamente di barriere antirumore.

14.3. Non sono fondate le censure in ordine all’operato della Soprintendenza, che ha inizialmente impartito prescrizioni, e dato il proprio assenso dopo la loro adozione, sicché non si ravvisano né il vizio di contraddittorietà né quello di difetto di motivazione.

14.4. Anche le censure in ordine all’assenza di misure mitigatorie sono da respingere, risultando all’opposto che sono state adottate le misure di riduzione dell’impatto acustico e che ove esse risultassero, dopo la realizzazione dell’opera, insufficienti, la società concessionaria sarà obbligata a incrementare le misure necessarie.

Resta fermo quanto illustrato al precedente par. 7.2., nel senso che la partecipazione del privato, ove consentita, avrebbe comunque potuto meglio orientare le valutazioni in merito alle misure si mitigazione ambientale, oltre che incidere sulla scelta del tracciato.

15. L’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità impone di procedere all’esame della domanda risarcitoria.

15.1. Con essa si chiede in via principale la restituzione del bene e, in aggiunta, il risarcimento del danno medio tempore subito, e solo in subordine, il risarcimento del danno per equivalente, ove non possa essere disposta la tutela restitutoria.

15.2. A. P. L. si oppone alla domanda restitutoria osservando che si tratta di aree indispensabili per il completamento dell’opera i cui lavori sono quasi ultimate. Chiede, pertanto, che, in applicazione dell’art. 2058 c.c., si faccia luogo al solo risarcimento per equivalente.

15.3. In punto di fatto, va chiarito che alla luce dei documenti depositati in giudizio e secondo quanto dichiarato verbalmente in udienza dal difensore della società appellata, e non contestato dal difensore di parte appellante, l’opera pubblica è stata pressoché ultimata, anche sul suolo degli appellanti, salva la posa dell’asfalto.

15.4. Osserva il Collegio che l’amministrazione nel caso di specie non ha invocato l’art. 43, t.u. n. 327/2001, divenuto inapplicabile per effetto della declaratoria di incostituzionalità per eccesso di delega ad opera di Corte cost. 8 ottobre 2010 n. 293.

La lacuna verificatasi nell’ordinamento non è stata ad oggi colmata dal legislatore.

15.5. La giurisprudenza, a fronte del vuoto normativo, ha osservato che:

a) se il privato espropriato chiede unicamente il risarcimento del danno per equivalente, preso atto dell’irreversibile trasformazione dell’immobile, con tale richiesta rinuncia alla restitutio in integrum (Cons. giust. sic., 25 maggio 2009 n. 486; id., 7 ottobre 2008 n. 848);

b) venuto meno l’art. 43, t.u. espropriazioni, la richiesta del solo risarcimento per equivalente non sortirebbe effetto abdicativo della proprietà in favore dell’Amministrazione, essendo tale conclusione in contrasto con l’esigenza di tutela della proprietà, la quale esige che l’effetto traslativo consegua a una volontà inequivoca del proprietario interessato, occorrendo piuttosto un accordo transattivo tra le parti (Cons. St., sez. IV, 28 gennaio 2011 n. 676); tale tesi si scosta, peraltro, dal principio consolidato affermato dalle sez. un. della Cassazione, e seguito costantemente dal giudice amministrativo prima della declaratoria di incostituzionalità dell’art. 43 citato, secondo cui in caso di occupazione c.d. usurpativa la proposizione dell’azione di risarcimento del danno per equivalente monetario integra un negozio abdicativo della proprietà dell’immobile occupato dalla p.a., e la rinuncia ha effetto dal momento della proposizione della domanda di risarcimento per equivalente (Cass., sez. un., 19 dicembre 2007 n. 26732; Cass.; sez. I 3 maggio 2005 n. 9173; Cons. giust. sic. 18 febbraio 2009 n. 51; Cons. St., sez. IV, 27 novembre 2008 n. 5854, Cons. St., sez. IV, 30 novembre 2010 n. 8363).

c) se invece il privato espropriato insiste per la tutela restitutoria, la stessa va disposta a meno che non ricorrano i presupposti per l’applicazione dell’art. 2933, co. 2, o 2058 c.c.

15.6. Nel caso di specie non può trovare applicazione l’orientamento giurisprudenziale che riconnette alla domanda di risarcimento per equivalente un effetto abdicativo della proprietà, perché il creditore ha espressamente chiesto in via principale la restituzione del bene, così dimostrando di non avere intenzione di abdicare alla proprietà in favore dell’Amministrazione.

Parte appellante chiede inoltre il ripristino, a cura e spese di A. P. L., dello status quo ante.

15.7. Ad avviso del Collegio nel caso di specie non ricorrono i presupposti per l’applicazione dell’art. 2933, co. 2, c.c., a tenore del quale "non può essere ordinata la distruzione della cosa e l’avente diritto può conseguire solo il risarcimento dei danni, se la distruzione della cosa è di pregiudizio all’economia nazionale".

Invero, come questo Consesso ha già statuito proprio con riferimento a fattispecie di occupazione usurpativa, l’Amministrazione non può invocare la regola di cui all’art. 2933, co. 2, c.c., che non può trovare applicazione qualora la restituzione incide comunque su interessi circoscritti alla realtà locale; la previsione in commento ha infatti carattere eccezionale e trova applicazione nei riguardi della demolizione delle sole opere che sono fonti di produzione e di distribuzione della ricchezza (Cons. St., sez. V, 3 maggio 2005 n. 2095; Cass., sez. II, 17 febbraio 2004 n. 3004; Cass., sez. II, 25 novembre 1992 n. 12557; Cass., 16 aprile 1982 n. 2324).

15.8. Ad avviso del Collegio ricorrono invece i presupposti per l’applicazione dell’art. 2058, co. 2, c.c., a tenore del quale il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore.

Nel caso di specie, infatti, non risulta chiesta solo la restituzione del bene, avendo la domanda ad oggetto anche il ripristino dello status quo ante, e ciò è ad avviso del Collegio riconducibile alla nozione giuridica di "reintegrazione in forma specifica" ai sensi e per gli effetti dell’art. 2058, co. 2, c.c. (in termini Cass., 16 marzo 1988 n. 2472: "il risarcimento del danno mediante reintegrazione in forma specifica può esplicarsi nella eliminazione di quanto illecitamente fatto e che risulti identificato come la fonte esclusiva o concorrente di un danno attuale, continuo e destinato a protrarsi con certezza nel tempo"; argomenta anche da Cass., sez. III, 12 ottobre 2010 n. 21012; Cass., sez. III, 17 marzo 2010 n. 6480).

Ebbene, il risarcimento in forma specifica può essere negato quando il costo di ripristino supererebbe il valore di mercato del bene (Cass., sez. III, 12 ottobre 2010 n. 21012), e non vi è dubbio che nel caso di specie il ripristino sarebbe eccessivamente oneroso per la parte appellata, ove si consideri che esso comporterebbe:

– il disfacimento della parte di opera pubblica che grava sulla proprietà di parte appellante;

– la inutilizzabilità dell’intera opera pubblica, che rimarrebbe monca di una parte essenziale per il suo funzionamento.

Il costo di ripristino sarebbe pertanto superiore al valore di mercato del bene espropriato.

15.9. Non potendo ordinarsi la restituzione e il ripristino del bene, residua spazio per la tutela risarcitoria per equivalente.

Ai sensi dell’art. 34, co. 4, c.p.a., il Collegio assegna ad A. un termine di 90 giorni per proporre a parte appellante il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento per equivalente sulla base dei seguenti criteri:

a) quantificazione del danno alla luce del valore di mercato attuale dell’area espropriata e della diminuzione del valore di mercato attuale della proprietà privata residua, dell’impresa ivi ubicata e dei pertinenti complessi immobiliari, detratto quanto già corrisposto a titolo di indennità di occupazione, e con spettanza di interessi e rivalutazione dalla data di accettazione della proposta fino al pagamento effettivo;

b) il valore di mercato attuale dell’area espropriata, della proprietà privata residua, dell’impresa e complessi immobiliari va determinato senza tener conto del deprezzamento conseguente alla realizzazione dell’opera pubblica, e dunque avuto riguardo all’immobile "come se" l’opera pubblica non fosse stata mai realizzata;

c) nella quantificazione del risarcimento del danno e segnatamente della misura del deprezzamento della proprietà residua e delle pertinenti impresa agricola e immobili, A. terrà conto, se del caso discostandosene motivatamente, della perizia di parte depositata dagli appellanti nel giudizio di primo grado;

d) il trasferimento della proprietà dell’area occupata dall’espropriato all’espropriante avverrà quale condizione ed effetto del pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno.

16. Le spese di lite vanno compensate nei confronti delle parti non costituite, in relazione ad entrambi i gradi di giudizio; vanno inoltre compensate per metà nei confronti delle parti costituite, e per metà poste a carico delle parti costituite, e in favore di parte appellante, nella misura complessiva di euro 10.000 per entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto:

annulla i provvedimenti indicati in motivazione nei limiti dell’interesse degli appellanti;

condanna la società A. P. L. al risarcimento del danno da quantificarsi con i criteri e nei termini indicati in motivazione.

Compensa le spese tra gli appellanti e le parti non costituite in relazione ad entrambi i gradi di giudizio; compensa per metà le spese tra gli appellanti e le altre parti costituite e per l’altra metà le pone a carico delle parti costituite nella misura di euro diecimila per entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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