Cass. pen., sez. I 17-07-2008 (03-07-2008), n. 29943 Bottiglia incendiaria munita di stoppino

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Palermo, adito ex art. 309 c.p.p., ha confermato il provvedimento impositivo della custodia in carcere emesso G.I.P. in sede nei confronti di T.M., indagato per tentato omicidio plurimo, premeditato, detenzione e porto di bottiglia incendiaria qualificata arma da guerra. Osserva che il congegno micidiale era stato lanciato verso alcuni nigeriani, che stavano parlando con la teste B.. Costei, che si trovava sulla propria autovettura, notate sprigionarsi le fiamme a pochi metri era scesa ed aveva richiamato l’attenzione dei suoi interlocutori, i quali inseguivano e bloccavano l’attentatore, che aveva tentato di difendersi con un bastone portato con sè. Circa la qualificazione del fatto, allo stato e nell’ambito della valutazione richiesta dall’art. 273 c.p.p. era ravvisabile il tentativo di omicidio, poichè il lancio dell’ordigno in prossimità della vettura era idoneo a provocare una deflagrazione o un incendio, e quindi costituiva – con apprezzamento "ex ante" azione idonea ed altresì univocamente diretta ad attentare alla vita e all’incolumità delle persone prese di mira. Irrilevante era il mancato conseguimento dello scopo; sotto il profilo soggettivo, secondo il Tribunale la condotta sarebbe connotata da dolo quanto meno eventuale, ritenuto compatibile con il tentativo. La gravità del fatto, la futilità delle giustificazioni rappresentate e la premeditazione – ravvisata in conseguenza dell’attività preliminare di confezionamento dell’ordigno – sono ritenute indici su ogni altro prevalenti di spiccata capacità criminale, contenibile solo con la custodia in carcere.
Ricorre per cassazione l’indagato, denunciando con due motivi l’erronea ed illogica qualificazione dei fatti, con altri due la carente motivazione – in violazione di legge – circa le esigenze cautelari e l’adeguatezza della misura adottata. In particolare, era stata omessa la valutazione in concreto dell’idoneità letale della condotta, costituita dal lancio di una bottiglia contenente liquido infiammabile non già contro la vettura o le persone, ma a diversi metri di distanza; neppure era chiarito se ciò fosse dipeso da intento intimidatorio dell’autore, come da questi affermato, o da errore o imprecisione di mira, difficilmente concepibile data la prossimità dei soggetti coinvolti. Del tutto assente era la motivazione circa la univocità degli atti e censurabile quella sul dolo, non configurabile in forma eventuale nel delitto tentato e neppure sorretto da un plausibile movente.
Quanto alla premeditazione, la estemporanea preordinazione del contenitore di combustibile, in maniera e con caratteristiche del tutto rudimentali, dopo una banale lite non valeva a configurare quella persistenza del proposito criminoso per un tempo apprezzabile e sufficiente a consentire ai motivi inibitori di operare, necessaria alla configurazione dell’aggravante.
Era stata inoltre omessa qualsiasi valutazione di specifiche deduzioni in ordine alla natura della bottiglia contenente il combustibile, non qualificabile in termini di ordigno micidiale o di arma da guerra per la mancanza di un idoneo congegno di chiusura.
Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale non si era soffermato su quelle attinenti all’acquisizione della prova, ravvisate dal G.I.P. ma insussistenti dopo l’ammissione della materialità dei fatti, il sequestro del corpo di reato e il rilievo dei luoghi. In ordine poi al pericolo di reiterazione, si era tenuto conto soltanto delle circostanze e modalità della condotta, senza considerare le caratteristiche personali, in particolare l’incensuratezza. Mancava infine ogni valutazione circa l’inadeguatezza di altre misure a contenere la ritenuta pericolosità.
Il ricorso non è fondato. Va premesso che, in tema di motivazione dei provvedimenti sulla libertà personale, l’ordinanza applicativa della misura e quella che – confermandola – decide sulla richiesta di riesame sono tra loro strettamente collegate e complementari, sicchè la motivazione del Tribunale del riesame integra e completa l’eventuale carenza di motivazione del provvedimento del primo giudice e, viceversa, la motivazione insufficiente del giudice del riesame può ritenersi integrata da quella del provvedimento impugnato, allorchè in quest’ultimo siano state indicate le ragioni logico-giuridiche che, ai sensi degli artt. 273, 274 e 275 c.p.p., ne hanno determinato l’emissione (Cass., Sez. Un., 17.4/3.7.1996, Moni), salvo nel caso in cui l’ordinanza pronunciata ex art. 309 c.p.p. ometta l’esame di specifiche e rilevanti ragioni di censura (cfr.
Cass., Sez. Un., 26.11.2003/19.1.2004, Gatto). Pertanto, nel caso di specie l’assai sommaria descrizione del fatto da parte del Tribunale può ritenersi integrata dagli elementi investigativi dettagliatamente esposti o richiamati nel provvedimento impositivo della misura, non specificamente contestati dalla difesa.
L’antecedente dell’azione criminosa si è verificato in un locale frequentato da immigrati, ove il ricorrente aveva notato una ragazza in atteggiamento confidenziale con un nigeriano (v. interrogatorio di garanzia); vi sarebbe stata una lite (v. sul punto le deduzioni della difesa riportate a pag. 16 del ricorso). Il T. giunse sul luogo dell’attentato su una vettura, accompagnato da altra persona non identificata (di qui l’esigenza di una prosecuzione delle indagini e il ritenuto pericolo per l’acquisizione della prova, evidentemente non eliminato, al contrario di quanto si sostiene con il ricorso, dall’intervenuta ammissione del fatto). La bottiglia incendiaria risultò munita di stoppino, e l’indagato portava con sè un accendino. Ne segue che il mezzo usato è correttamente qualificato come arma da guerra, sia per la sua micidialità, sia per espressa previsione della L. 18 aprile 1975, n. 110, art. 1, comma 1. Il lancio a pochi metri da un gruppo di persone e da una macchina è ragionevolmente ritenuto idoneo – con valutazione "ex ante – ad attentare alla vita ed all’incolumità individuale, poichè la bottiglia piena di benzina e munita di stoppino acceso al momento del lancio ha capacità di cagionare un incendio e una deflagrazione, con rilevante possibilità di offesa anche a distanza a causa della vampata, della proiezione di schegge e dello sprigionarsi di gas (cfr. Cass., Sez. 1, 5.4/11.6.1991, D’Angelo; 22.2/28.4.2001, Trivellato). L’uso di un simile mezzo è di per sè univocamente espressivo della volontà di offesa. Quanto all’elemento intenzionale, il movente indicato dallo stesso indagato e le rilevate modalità del fatto depongono per il perseguimento di un risultato indifferentemente voluto che, a seconda dell’esito del lancio, non prevedibile in anticipo, poteva essere soltanto gravemente intimidatorio ovvero direttamente lesivo e, in ipotesi, anche letale;
si tratta dunque non già di dolo eventuale (e in tal senso va chiarita una non puntuale osservazione dell’ordinanza impugnata), ma di dolo alternativo, contraddistinto dal fatto che il soggetto attivo prevede e vuole alternativamente, con scelta sostanzialmente equipollente, l’uno o l’altro degli eventi ricollegabili alla sua condotta, con la conseguenza che esso ha natura di dolo diretto ed è compatibile con il tentativo (cfr., "ex multis", Cass., Sez. 5, 17.1/17.2.2005, Meloro).
Ne segue che il discorso giustificativo dell’ordinanza impugnata – fondato su presupposti fattuali implicitamente richiamati, noti e non contestati dalle parti – non merita censura, essendo d’altra parte correttamente commisurato al criterio di qualificata probabilità da cui è connotata la valutazione in sede cautelare. Su tale base è correttamente ritenuta anche la premeditazione, tenuto conto del dichiarato movente, della predisposizione dell’ordigno micidiale, della ricerca delle vittime designate. Quanto alle esigenze cautelari, va condiviso il principio – già affermato dalla prevalente giurisprudenza e fatto proprio dal giudice "a quo" – secondo il quale in tema di misure coercitive, ai fini della configurabilità del pericolo di reiterazione criminosa di cui all’art. 274 c.p.p., lett. c), gli elementi apprezzabili possono essere tratti anche dalle specifiche modalità e circostanze del fatto, considerate nella loro obiettività, giacchè la valutazione negativa della personalità dell’indagato può desumersi dagli elementi tutti di cui all’art. 133 c.p. e la condotta tenuta in occasione del reato costituisce un elemento specifico significativo per valutare la personalità dell’agente (cfr., "ex multis", Cass., Sez. 4, 19.1/22.3.2005, Miranda ed altri). Il grado di tale pericolosità, secondo una valutazione di merito qui incensurabile e fondata sulle circostanze prima esposte, è non irragionevolmente ritenuto contenibile solo con la custodia in carcere.
Il ricorso va perciò respinto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Prima Penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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