Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 24-02-2011) 09-06-2011, n. 23267 violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Ricorre per cassazione C.G. – per tramite del difensore – avverso la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria del 23 marzo 2010 (in sede di rinvio disposto dalla Corte di Cassazione – Sezione terza penale con sentenza n. 28820/2008 emessa in data 15 maggio 2008) con la quale, a conferma della sentenza pronunziata il 4 maggio 2005 dal Tribunale di Messina, era riconosciuto responsabile dei reati continuati di violenza sessuale aggravata commessi in T. ed in (OMISSIS) fino al (OMISSIS) in danno di R. C.O. e per l’effetto condannato,concesse le attenuanti generiche dichiarate equivalenti alla contestata aggravante, alla pena di anni 5 e mesi 6 di reclusione oltrechè alle pena accessorie di legge.

La Corte d’appello aveva condiviso gli assunti del Primo Giudice in ordine alla sussistenza dei plurimi episodi di abuso sessuale denunziati dalla parte offesa sul presupposto della riconosciuta attendibilità di costei, divenuta convivente more uxorio dell’imputato – unitamente ai figli minori nati nel corso di un precedente matrimonio – e sottoposta ad uno stato di totale soggezione, anche a cagione della condizione di assoluta dipendenza economica dal prevenuto alla quale era costretta la donna, insieme ai figli, in difetto di diverse od autonome fonti di mantenimento. In tale contesto la R. era stata vittima di una serie di vessazioni e maltrattamenti (peraltro oggetto di un procedimento penale separato, in precedenza definito dall’imputato ex art. 444 cod. proc. pen.) oltrechè di specifiche costrizioni a sottoporsi a frequenti rapporti sessuali con l’uomo nel corso dei quali veniva utilizzato un fallo artificiale in legno (anche quando la donna era in stato di gravidanza avanzata) mentre la parte offesa era legata e picchiata sulle natiche. Tali attività venivano compiute nella camera da letto chiusa a chiave dalla quale provenivano urla e pianti uditi dai figli della donna che, come dagli stessi riferito nel corso del giudizio, avevano invano tentato di intervenire in suo aiuto, suscitando ed acuendo le ire dell’imputato. Solo quando ormai la R. era giunta al quinto mese di gravidanza ed aveva quindi opposto un netto rifiuto a tali pratiche sessuali (che, comprimendone l’addome, avrebbero potuto creare pregiudizi al feto oltrechè presentarsi fisicamente controindicate) l’imputato aveva desistito, interrompendo i suoi rapporti con la convivente.

Sicchè doveva escludersi che tutto ciò rientrasse nel normale menage di coppia attesi i reiterati rifiuti opposti dalla donna alle richieste dell’imputato di sottoporsi a pratiche sessuali connotate da violenza fisica alle quali poi era di fatto costretta a soggiacere,non già per libera scelta, ma sotto la minaccia dell’uomo di por fine alla relazione, con le inevitabili conseguenze negative per sè e per i propri figli minori.

Con il primo motivo di ricorso la difesa lamenta la manifesta illogicità della motivazione quanto al rigetto della rinnovazione istruttoria richiesta in grado d’appello mediante l’escussione della prima e della seconda moglie dell’imputato al fine di smentire il dato della condivisione dell’imputato, di un siffatto costume sessuale di coppia; rigetto semplicisticamente motivato dall’ininfluenza di un tale accertamento in relazione ai fatti per cui è processo. Con il secondo ed il terzo motivo, si censura l’erronea applicazione dell’art. 609 – bis c.p. e art. 609 – ter, n. 4.

La Corte d’appello,ad avviso del ricorrente, obliterando che il contesto interpersonale in cui si erano verificati gli episodi di abuso sessuale era costituito da un rapporto di natura non coniugale nel cui ambito un soggetto aveva prospettato l’interruzione della relazione qualora l’altro non fosse stato disponibile ad un determinato costume sessuale, ha erroneamente ritenuto che tale condotta avesse l’effetto di coartare la volontà della donna, non tenendo conto della distinzione tra scelte psichicamente condizionate e scelte dettate da necessità utilitaristiche.

Peraltro la stessa ricostruzione dei fatti integranti i delitti di cui all’art. 609 – bis cod. pen. sostenuta dai Giudici di merito risultava incompatibile con la configurazione dell’aggravante contestata sub E: fatto commesso su persona comunque sottoposta a limitazione della libertà personale perchè legata con corde o catene. Avendo la Corte d’appello ritenuta attendibile la parte offesa laddove aveva riferito di esser stata costretta ad avere rapporti sessuali con l’imputato nel corso dei quali "veniva legata", avrebbe dovuto logicamente affermarsi che, data l’accettazione di rapporti di tipo sado – masochistico sia pure in condizioni di ritenuta costrizione psicologica, la parte offesa aveva accettato anche di essere "legata" ed in detta condizione, di consumare rapporti sessuali con l’imputato.

Con la quarta censura, lamenta il ricorrente il vizio di manifesta illogicità della motivazione in relazione alla conferma della entità della pena. Posti i ritenuti condizionamenti di tipo psicologico che avevano reso la donna accondiscendente rispetto alle pretese del C., gli atti di violenza in senso fisico dovevano giudicarsi rientrare nella sfera delle modalità comportamentali di natura sessuale tollerate malvolentieri dalla donna e dunque al di fuori di condotte ex se penalmente rilevanti, tali essendo i rapporti sadomasochistici.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va quindi respinto con il conseguente onere delle spese processuali a carico del ricorrente ex art. 616 cod. proc. pen.. Il primo motivo dedotto risulta invero inammissibile. La Corte territoriale ha motivato il diniego della richiesta di parziale rinnovazione istruttoria, avanzata con l’atto d’appello, in termini congrui e perspicui, sottolineando l’assoluta irrilevanza, ai fini della decisione, dell’escussione della prima e della seconda moglie dell’imputato, giacchè, a fronte dell’esaustivo ed inequivoco quadro probatorio emerso in esito all’istruttoria dibattimentale di primo grado, "un comportamento ineccepibile del C. rispetto a tali, altre donne, non sarebbe stato idoneo ad elidere la portata delle accuse mosse dalla R. (ritenute attendibili per i motivi sopraesposti)" (cfr. sentenza impugnata fgl. 12).

La seconda e la terza censura (da trattarsi congiuntamente attesa l’intima connessione concettuale che le avvince) concernono insussistenti inosservanze o violazioni delle norme incriminatrici applicate. I Giudici d’appello, in corretta applicazione delle suddette norme, hanno evidenziato che integravano una condizione oggettiva e soggettiva ex se idonea a coartare la volontà della parte offesa sia lo stato di completa soggezione fisica e psicologica (tale da alterare il rapporto di parità tra i due partners consentendo all’imputato di imporsi sulla donna) sia la condizione di dipendenza economica in cui costei (ed i figli conviventi nati da un precedente matrimonio) si trovava rispetto all’imputato. Il tutto era pacificamente emerso dai brani salienti della deposizione resa dalla R. nel corso dell’istruttoria dibattimentale riportati nella motivazione della sentenza nonchè dalle conformi ammissioni dello stesso imputato che aveva ripetutamente minacciato la R. di por fine alla relazione qualora la donna non avesse accondisceso alle sue "particolari" pretese sessuali improntate ad applicazione di violenza fisica, all’impiego di un fallo artificiale in legno benchè la convivente fosse in stato avanzato di gravidanza.

In buona sostanza quindi esulava pacificamente, atteso il contesto fattuale in cui avevano luogo i rapporti sessuali, la partecipazione agli stessi della donna per effetto di una libera determinazione della volontà; donde la perfetta consumazione dei delitti contestati all’imputato. Il che conduce ad escludere, come peraltro rilevato dalla Corte distrettuale – anche con specifico riferimento alle doglianze dedotte dal ricorrente in ordine alla ritenuta aggravante di cui all’art. 609 ter c.p., n. 4 – che il tutto rientrasse in un particolare menage di tipo "sadomasochistico" nel cui ambito "la persona offesa ha accettato di essere legata e, in detta condizione, avere rapporti sessuali", come testualmente esposto in ricorso.

L’accertato stato di soggezione morale e materiale in cui la R. si era venuta a trovare; i reiterati rifiuti alle "richieste" sessuali dell’imputato, soprattutto durante lo stato di gravidanza (in cui era costretta dal prevenuto a restare prona onde poterla percuotere sulle natiche fino a provocarne l’arrossamento);

le percosse subite dal C. per avergli opposto il proprio rifiuto,come dimostrato dalle urla provenienti dalla camera da letto ed udite dai due figli della R.; i maltrattamenti ai quali la donna era stata ed era sottoposta tantochè l’imputato aveva acceduto alla definizione ex art. 444 e segg. cod. proc. pen. di altro procedimento penale a suo carico pendente dinanzi al Tribunale di Patti, per detto reato; il quadro della convivenza famigliare fortemente caratterizzato dall’atteggiamento prevaricatore e violento dell’imputato (come sottolineato dal decreto 14 novembre 2001 del Tribunale per i minorenni di Messina) costituiscono altrettanti incontestabili elementi – perspicacemente evidenziati dalla Corte distrettuale – atti ad escludere la ricorrenza di un "preventivo" consenso della donna a "partecipare" a siffatte pratiche improntate a gratuita violenza. Ne discende che l’aver costretto la parte offesa a subire rapporti sessuali, peraltro legata con corde e catene ha integrato un’ulteriore limitazione della sua libertà personale;

donde la ricorrenza della contestata aggravante. Del tutto immune dal vizio motivazionale denunziato dal ricorrente con il quarto motivo va infine giudicata la sentenza impugnata in punto alla conferma del trattamento sanzionatorio irrogato dal Tribunale di Messina.

Sottolineando l’indubbia gravità dei fatti – tale da non consentire una valutazione di prevalenza delle pur concesse attenuanti generiche, sulla contestata aggravante – la Corte distrettuale ha fatto corretta applicazione del disposto dell’art. 133 cod. pen. implicitamente mostrando, da un lato, di condividere le argomentazioni già esposte dal giudice di primo grado (integratrici della motivazione della sentenza impugnata) e, dall’altro, ad onta della pretesa contraddittorietà rilevata dal ricorrente – invero insussistente – ribadendo la pacifica rilevanza penale dei cd. rapporti sadomasochistici, che la donna era costretta a subire.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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