Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 24-02-2011) 09-06-2011, n. 23261 Omicidio colposo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Ricorre personalmente per cassazione B.R. avverso la sentenza emessa in data 14 gennaio 2010 dalla Corte d’appello di Reggio Calabria con la quale, previa riduzione della pena ad UN anno di reclusione e previo riconoscimento del beneficio della non menzione in parziale riforma della sentenza pronunziata il 11 febbraio 2008 dal Tribunale di Palmi, era stata confermata la penale responsabilità dell’imputato in ordine al delitto di cui agli artt. 40 e 589 cod. pen. per avere cagionato, il 24 maggio 2005, in qualità di medico in servizio al Pronto soccorso dell’Ospedale di (OMISSIS), con plurime condotte commissive ed omissive dovute a colpa generica, la morte di G.S. determinata da insufficienza cardiocircolatoria dovuta a sindrome coronarica acuta – sopravvenuta un’ora dopo le dimissioni dal pronto soccorso – provocata dall’ l’angina instabile, in difetto di corretta diagnosi e terapia. Al prevenuto in particolare si addebitava di non aver diagnosticato, anche solo in via presuntiva, un’affezione di angina pectoris instabile, atteso il forte dolore toracico riferito dal paziente, da ritenersi a rischio in quanto forte fumatore ed affetto da arteriosclerosi; di aver omesso, in conseguenza dell’errata diagnosi, di prescrivere esami diagnostici specifici e di disporre i presidi medico – chirurgici (nuovo ECG; markers di necrosi cardiaca;

RX toracica; ecocardiogramma; somministrazione di nitrati, di farmaci antitrombotici, betabloccanti ed eparina ) necessari a fronteggiare il dolore anginoso ed a stabilizzare il quadro clinico onde evitare l’evolversi della lamentata sindrome, in infarto miocardico acuto; di aver invece disposto la dimissione del paziente, consigliando terapia medica domiciliare con antinfiammatori non steroidi sul presupposto dell’errata diagnosi di algie intercostali.

Erano altresì confermate le statuizioni civili della sentenza di primo grado. Deduce il ricorrente, quale prima censura, l’inosservanza od erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 192 cod. proc. pen.. Gli elementi acquisiti in esito all’istruttoria non consentivano di stabilire con sicurezza quale fosse stata la causa delle morte di G.S.. La Corte d’appello ha del tutto obliterato di evidenziare il netto contrasto emerso tra le risultanze documentali e le deposizioni testimoniali di A.R. e della moglie della vittima che aveva negato che l’imputato l’avesse sottoposto a visita medica ed alla misurazione della pressione arteriosa ed anche che il marito fosse affetto da altre malattie (in contrasto con quanto riportato dai registri del pronto soccorso). Il teste A. aveva poi riferito di aver appreso dallo stesso G. che egli soffriva di altra malattia tant’è vero che assumeva dei farmaci e che si sarebbe dovuto recare, qualche giorno dopo, dal medico: circostanza negata con forza dalla moglie della vittima, costituitasi parte civile.

A fronte poi delle conclusioni formulate dal consulente del P.M. (sposate acriticamente dai Giudici di merito) secondo il quale la morte di G.S. doveva farsi risalire ad arresto cardiaco dovuto a mancata ossigenazione del cuore causata dall’arteriosclerosi, il consulente di parte, recependo l’esito dei riscontri autoptici, aveva segnalato che in soggetto arteriosclerotico ed affetto da gozzo, la morte poteva essersi verificata a seguito di crisi tireotossica. La sussistenza di conclusioni diametralmente opposte formulate dai rispettivi consulenti tecnici delle parti su tale tema fondamentale per l’affermazione della responsabilità del prevenuto, avrebbe dovuto indurre la Corte distrettuale a far luogo alla nomina di un collegio peritale cui demandare approfonditi accertamenti.

Con il secondo motivo di ricorso lamenta l’imputato l’inosservanza degli artt. 40, 41 e 43 cod. pen..

Secondo il ricorrente dalle prove documentali in atti è emerso, contrariamente agli errati ed apodittici assunti della Corte d’appello, che l’imputato, in perfetta osservanza delle linee guida previste per il medico del pronto soccorso, aveva correttamente proceduto all’esame anamnestico del paziente nonchè ad accurato esame obiettivo delle condizioni cliniche. Proprio perchè, con tutta probabilità, tutte queste operazioni non avevano messo in luce alcun segno di allarme, il B. aveva deciso in coscienza di dimettere il G.. Anche se l’ECG aveva evidenziato un pregresso infarto del miocardio, questo dato non aveva tuttavia destato alcuna preoccupazione ed avrebbe tuttalpiu consigliato l’effettuazione di esami specifici nei giorni successivi.

Con la terza censura, si duole il ricorrente del difetto e della contraddittorietà della motivazione, avendo la Corte d’appello erroneamente applicato al caso concreto il cd. giudizio controfattuale, ai fini della ritenuta sussistenza del nesso di causa. La crisi letale si era infatti manifestata intorno alle ore 16 dopo le dimissioni di G.S., ad ore 15,30, dal pronto soccorso una volta eseguita la visita del medico di guardia che aveva avuto inizio a partire dalle ore 15.05. Poichè, come sostenuto dal consulente del P.M., per evitare l’evento sarebbe stato necessario ricoverare il paziente in un reparto ospedaliero, meglio se specializzato in cardiologia – ove eseguire le necessarie procedure diagnostiche – il G., non disponendo il piccolo ospedale di (OMISSIS), di tale reparto e tantomeno di quello di terapia intensiva, avrebbe dovuto esser obbligatoriamente trasferito al vicino ospedale di (OMISSIS), distante 15 km. Ora, eseguito detto trasferimento, le necessarie attività diagnostiche sarebbero state eseguite a (OMISSIS), soltanto a partire dalle ore 16/16,30 e quindi ormai troppo tardi, essendo il decesso sopravvenuto ad ore 16.

Sicchè, anche qualora il B. avesse attuato i corretti e necessari interventi diagnostici e terapeutici, non sarebbe assolutamente residuato l’80% di possibilità di salvezza per il paziente, come asserito in sentenza.

Con articolate deduzioni depositate a sostegno delle conclusioni rassegnate all’odierna udienza, le parti civili, hanno insistito per la declaratoria di inammissibilità o per il rigetto del ricorso proposto dall’imputato.
Motivi della decisione

Il ricorso va giudicato inammissibile avendo ad oggetto censure non consentite nella presente sede di legittimità, con ogni conseguenza di legge ex art. 616 cod. proc. pen. , come da dispositivo.

Trattando congiuntamente, attesa l’intima connessione logica, il primo ed il secondo motivo di ricorso, giova premettere,in linea di principio, che la giurisprudenza prevalente e consolidata di questa Corte ha affermato (cfr. ex multis, Sez. 3 n. 8382 del 2008) che la valutazione della credibilità delle testimonianze rese in giudizio (in particolare dalla parte offesa) è, comunque, pur sempre una questione di fatto, che ha la sua chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal Giudice di merito e che non può essere rivalutato in sede di legittimità, a meno che il Giudice stesso non sia incorso in manifeste contraddizioni. Nel caso di specie, la Corte distrettuale, seguendo un approfondito percorso argomentativo strettamente aderente alle risultanze processuali e (rigorosamente conforme, pertanto, al dettato dell’art. 192 c.p.p., comma 1) e riportando testualmente un lungo passo condiviso – della motivazione della sentenza di primo grado concernente la deposizione resa da S.C., moglie della vittima, costituitasi parte civile, ne ha sottolineato la piena attendibilità con riferimento all’unico dato significativamente rilevante, relativo alla sintomatologia riferita dal coniuge – manifestatasi il giorno (OMISSIS) – tale da dover inequivocamente indurre nel sanitario del pronto soccorso, quantomeno il sospetto di una situazione di "angina pectoris instabile ", come chiarito dal consulente del P.M.;

circostanze non smentite peraltro da elementi di significazione contraria nè contestate dall’appellante.

Va poi rimarcato che questa Corte ha ripetutamente affermato che, in tema di prova, costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità, se logicamente e congruamente motivato – come nel caso di specie – rapprezzamento, positivo o negativo che sia, dell’elaborato peritale e delle relative conclusioni. In altri termini il giudice di merito può legittimamente sposare l’una piuttosto che l’altra tesi scientifica purchè dia congrua ragione della scelta e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha ritenuto di non condividere. La Corte distrettuale, ad onta delle infondate ed inammissibili obiezioni del difensore dell’imputato, ha fatto puntuale e corretta applicazione di siffatti principi, richiamando per relationem la motivazione della sentenza di primo grado. Ed ha in particolare condiviso la diagnosi di morte delineata dal consulente del P.M. dr. M. che, valutando criticamente ed organicamente tutti gli elementi accertati in esito all’istruttoria – ivi inclusi i risultati dell’autopsia che, ex post, ne avevano suffragato gli assunti – aveva individuato la causa mortis nella patologia a carico dell’apparato cardiovascolare dovuta ad arteriosclerosi rilevante delle coronarie che, restringendosi, avevano determinato le turbe del ritmo cardiaco e quindi un fenomeno elettrico di arresto. Inoltre hanno fornito i Giudici d’appello esaustiva ed ineccepibile spiegazione, recependo per relationem sul puntola motivazione della sentenza del Tribunale, dell’incompatibilità, in termini logici,dell’ipotesi alternativa fornita dal consulente di parte dr. A.A. (che aveva ipotizzato in una crisi tireotossica la causa della morte, in quanto la vittima era affetta da gozzo ovvero dal morbo di Basedov ) essendo del tutto improbabile che da un problema di gozzo potesse esser discesa una morte così improvvisa, tenuto conto dei riferiti riscontri anatomopatologici di ordine arteriosclerotico e degli episodi anginosi. Nè aveva ravvisato la Corte d’appello alcuna incompatibilità logica tra gli assunti del consulente del P.M. e le conclusioni dell’autopsia che aveva comunque evidenziato una "grave e diffusa arteriosclerosi" quale connotazione patologica da cui la vittima era affetta, al pari del gozzo, non individuando la causa della morte in termini "alternativi" rispetto a quanto acclarato dallo stesso dr. M..

Facendo poi corretta applicazione della disciplina del nesso eziologico, la Corte distrettuale, contrariamente alle censure manifestamente infondate dedotte sul punto dal ricorrente, ha congruamente stabilito, con argomentazioni del tutto immuni dal lamentato vizio motivazionale, sussistere la relazione di causa ad effetto tra l’evento e le plurime omissioni risalenti all’imputato (analiticamente descritte in narrativa in conformità al capo di imputazione) in termini sia di errata diagnosi sia, conseguentemente, di errata ed obliterata instaurazione dei prescritti accertamenti strumentali (che avrebbero imposto, stante l’anamnesi raccolta e la sintomatologia evidenziata, la specializzazione del paziente e non le sue pressochè immediate dimissioni).

Inammissibile risulta del pari il terzo motivo di ricorso con il quale, deducendo apparenti vizi di illogicità e contraddittorietà della motivazione, il difensore pretenderebbe in sostanza di "sovrapporre" alla valutazione dei giudici di merito, una diversa e più favorevole "lettura" delle risultanze processuali, introducendo in sede di legittimità "nuovi" elementi di fatto. La Corte distrettuale ha ineccepibilmente ribadito che, in esito al ed giudizio controfattuale e sulla scorta di dati statistici evidenziati dalla letteratura scientifica, qualora fosse stata eseguita ad ore 15,05 del (OMISSIS) ovverosia all’atto dell’ingresso di G.S. al pronto soccorso dell’Ospedale di (OMISSIS), una corretta diagnosi ed ove fosse stata istituita, del pari tempestivamente, un’adeguata terapia d’urgenza,prescritta per impedire che le affezioni anginose potessero degenerare fino al verificarsi dell’evento morte, il paziente avrebbe certamente avuto quantomeno l’80% di possibilità di salvarsi ed in ogni caso rilevanti chances di prolungamento della vita (cfr. sentenza di primo grado – fgl. 27), visto che la crisi cardiaca letale ebbe a manifestarsi solamente un’ora dopo, alle ore 16,00 circa, quando il G. era stato improvvidamente dimesso dall’ospedale ormai da mezz’ora, come condivisibilmente precisato dal consulente del P.M. senza alcuna smentita. Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione di quelle in favore delle costituite parti civili – liquidate in dispositivo – nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente:cfr. Corte Costituzionale sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1000,00 a favore della Cassa delle ammende oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquida in complessivi Euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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