Cass. civ. Sez. I, Sent., 14-10-2011, n. 21251 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con decreto del 7 novembre 2008, la Corte di Appello di Napoli ha accolto la domanda di equa riparazione proposta da M. B. nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sede di Napoli, promosso dall’istante nei confronti del Comune di Napoli per il riconoscimento del trattamento economico maturato a seguito del mantenimento in servizio quale ex dipendente dei cantieri di lavoro del Piano Straordinario.

Premesso che il giudizio presupposto, iniziato nell’anno 1992, si era concluso con sentenza del 7 giugno 2007, la Corte ne ha determinato la ragionevole durata in tre anni, avuto riguardo alla media difficoltà della controversia, e, sulla base dei parametri elaborati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha liquidato equitativamente il danno non patrimoniale in complessivi Euro 9.333,00. pari ad Euro 800,00 per ogni anno di ritardo, in considerazione della complessità del caso e dello scarso interesse del ricorrente alla decisione, manifestato attraverso la proposizione dell’istanza di fissazione dell’udienza di discussione a distanza di un anno e mezzo dall’instaurazione del giudizio e dalla mancata proposizione dell’istanza di prelievo; ha infine dichiarato interamente compensate tra le parti le spese processuali, tenuto conto della sproporzione tra l’importo richiesto dall’istante e quello riconosciuto e del comportamento processuale del Ministero.

2. – Avverso il predetto decreto il B. propone ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi. Il Ministero non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione

1. – Con i primi tre motivi d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e dell’art. 1 e dell’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, osservando che, nella liquidazione del danno non patrimoniale, la Corte d’Appello si è discostata dagli standards europei senza fornire un’adeguata motivazione.

1.1 – I motivi sono infondati.

Questa Corte, infatti, ha ripetutamente affermato che il giudice nazionale, se da un lato non può ignorare, nella liquidazione del ristoro dovuto per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, i crileri applicati dalla Corte EDU, dall’altro può apportarvi le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli. E’ stato tuttavia precisato che, ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa comporta, alla stregua della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che la quantificazione di tale pregiudizio dev’essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000,00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente il periodo indicato comporta un evidente aggravamento del danno (cfr. Cass. Sez. 1^, 30 luglio 2010, n. 17922; 14 ottobre 2009, n. 21840).

Tali criteri sono stati sostanzialmente rispettati dalla Corte d’Appello, la quale, in relazione all’accertato ritardo di undici anni ed otto mesi nella definizione del giudizio presupposto, ha ritenuto peraltro opportuno il riconoscimento di un indennizzo inferiore, nell’importo unitario (Euro 800,00), a quello indicalo dalla Corte EDU per gli anni successivi al terzo, in considerazione dello scarso interesse alla definizione della controversia, manifestato dal ricorrente sia attraverso la proposizione dell’istanza di fissazione dell’udienza di discussione a distanza di un anno e mezzo dalla notificazione del ricorso introduttivo. sia attraverso la mancata proposizione dell’istanza di prelievo.

La motivazione in esame appare in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, la quale, in riferimento alla disciplina (applicabile ratione temporis) vigente in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito in L. 6 agosto 2008, n. 133, che ha subordinato all’avvenuta presentazione dell’istanza di prelievo la proponibilità della domanda di riparazione del danno derivante dalla violazione del termine di ragionevole durala di un processo amministrativo, ha chiarito che la mancata proposizione della predetta istanza, pur non comportando il trasferimento a carico del ricorrente della responsabilità per il superamento del termine in questione, può incidere sulla valutazione del pregiudizio lamentato, ove il comportamento della parte appaia sintomatico di uno scarso interesse alla sollecita definizione del giudizio (cfr. Cass., Sez. 1^, 16 novembre 2006. n. 24438; Cass. Sez. Un.. 23 dicembre 2005. n. 28507).

Il ricorrente contesta tale valutazione, lamentando l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione del decreto impugnato, senza però spiegare i motivi per cui ritiene che nel ragionamento seguito dalla Corte d’Appello non sia rintracciabile il criterio logico che l’ha condotta alla formazione del proprio convincimento e che le ragioni poste a fondamento della decisione siano tali da elidersi a vicenda e da non consentire quindi l’individuazione della ratio decidendi. Ciò rende evidente che, sotto l’apparenza della denuncia di un vizio di motivazione, egli mira in realtà a sollecitare una revisione dell’apprezzamento compiuto dal giudice di merito, non consentito in sede di legittimità, non spettando a questa Corte il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione l’atta dal giudice del merito, al quale soltanto compete la valutazione del danno. nei limiti segnati dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 e dai parametri elaborati dalla Corte EDU. 2. -Sono parimenti infondati il sesto ed il settimo motivo, con cui il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 dell’art. 6, par. 1, della CEDU e degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, censurando il decreto impugnato nella parte in cui nonostante l’accoglimento della domanda, ha dichiarato interamente compensate tra le parti le spese processuali, senza un’adeguata motivaZione.

2.1. – Il giudizio in esame è stato instaurato in data successiva al 1 marzo 2006 ma precedente al 4 luglio 2009, e ad esso si applica pertanto l’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo modificato dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a) ed anteriore all’ulteriore modifica introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11, il quale, ne richiedere l’esplicita indicazione, nella motivazione, dei giusti motivi che, al di fuori dei casi di soccombenza reciproca, giustificano la compensazione totale o parziale delle spese processuali, non impone l’adozione di motivazioni specificamente riferite a tale provvedimento, purchè le ragioni poste a fondamento dello stesso siano chiaramente e inequivocabilmente desumibili dal complesso della motivazione adottala a sostegno della statuizione di merito (cfr. Cass., Sez. 3^, 30 marzo 2010, n. 7766; Cass., Sez. lav. 31 luglio 2009, n. 17868).

E’ proprio un esame complessivo della motivazione, nella specie, a far emergere le ragioni della scelta compiuta attraverso la compensazione delle spese, sinteticamente motivata dalla Corte d’Appello mediante il riferimento alla condotta processuale del Ministero ed all’esito del giudizio, caratterizzato dalla liquidazione di un indennizzo (Euro 9.333,00) notevolmente inferiore a quello richiesto dal ricorrente (Euro 22.500,00), e quindi da un ridimensionamento della pretesa azionata la cui considerazione, immune da vizi logico-giuridici, appare idonea a sorreggere la decisione, sottraendola al sindacato di questa Corte.

3. – Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna B.M. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in Euro 1.000,00 per onorario, oltre alle spese prenotate a debito.

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