Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 03-02-2011) 09-06-2011, n. 23182 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il tribunale Torino, pronunciandosi sull’istanza di riesame, tra l’altro, di K.R. – indagato in ordine al delitto previsto e punito dall’art. 81 c.p., comma 2, e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, per avere, con più azioni in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, ricevuto da C.V., al fine di cederla a terzi acquirenti, imprecisati quantitativi, uno dei 2 quali quantificato in Euro 3.000, di stupefacente contenente cocaina; in (OMISSIS), nei mesi di (OMISSIS) – avverso l’ordinanza emessa il 24 marzo 2010 dal G.I.P. presso il Tribunale di Alessandria, con la quale era stata applicata al K. la misura cautelare della custodia in carcere, accoglieva parzialmente il ricorso applicando all’indagato la misura cautelare meno afflittiva degli arresti domiciliari.

Avverso questa pronuncia l’indagato propone ricorso per cassazione con un solo motivo.
Motivi della decisione

1. Il ricorso – articolato in un solo motivo con cui il ricorrente sostiene l’insussistenza dei gravi indizi – è infondato.

La decisione impugnata non presenta i denunciati vizi di motivazione essendo stati correttamente individuati i gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato.

Con valutazione tipicamente di merito il tribunale ha apprezzato la gravità e la sufficienza di tali indizi di colpevolezza che si desumono dal contenuto delle numerose comunicazioni telefoniche intercettate a partire dal 21 marzo 2009 sull’utenza collegata al numero (OMISSIS) in uso a C.V.. Pur in assenza di espliciti e testuali accenni a quantitativi di cocaina – ha osservato il tribunale – la riferibilità dei colloqui telefonici ad operazioni di acquisto di quantitativi di stupefacente con destinazione allo smercio clandestino poteva essere agevolmente ricavata, per via induttiva, da una serie di indicazioni involontariamente fornite dagli stessi interlocutori, atte a delineare, per un verso, il carattere illecito del rapporto obbligatorio menzionato e, per altro verso, la considerevole rilevanza economica di tale rapporto e la impellenza del relativo adempimento, sollecitato al K., e più in particolare: anche in questo caso, come nella maggior parte delle comunicazioni intercettate e richiamate nell’originario provvedimento coercitivo, veniva impiegato un linguaggio estremamente stringato, palesemente allusivo e manifestamente circospetto, inoppugnabilmente sintomatico del fatto che oggetto delle trattative intercorrenti fra gli interlocutori era un rapporto non esplicitamente menzionarle e quindi di natura palesemente illecita; successivi colloqui avevano rivelato una personale e diretta cointeressenza in capo a M. D. e G.G., coinvolti in tale vicenda non già in veste di meri "confidenti" del C., ma piuttosto in veste di beneficiari ultimi dell’esazione che quest’ultimo stava tentando nei confronti del K.; l’urgenza e l’entità del rapporto veniva poi ulteriormente sottolineata dalla circostanza che lo stesso K., di fronte alla pesante azione esattiva svolta nei suoi confronti, decideva di farsi consegnare un’autovettura dal proprio avente causa, verosimilmente debitore nei suoi confronti della somma che lui, quanto meno in parte, doveva versare al C.; questa singolare e diretta concatenazione di rapporti debitori-creditori era perfettamente inquadrarle – secondo il tribunale – in una rete di distribuzione clandestina di sostanza stupefacente, nella quale erano per l’appunto inseriti, a vari livelli, i suddetti coindagati.

2. Più in generale va poi considerato in diritto che, come più volte osservato da questa Corte (ex plurimis Cass., sez. 3, 14 aprile 2010 – 14 maggio 2010, n. 18315), nel presente procedimento incidentale gli indizi, per i quali non sono richiesti, come per l’art. 192 c.p.p., n. 2, i requisiti dell’univocità e della concordanza, devono essere gravi, idonei, cioè, a dimostrare l’esistenza di un reato e la rilevante probabilità che l’imputato ne sia autore.

Deve trattarsi di elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che consentono di prevedere che saranno sufficienti a dimostrare la responsabilità, fondando nel contempo una qualificata probabilità di colpevolezza.

Sulle valutazioni effettuate a tal fine, il compito del giudice di legittimità è limitato alla verifica della sussistenza e logicità della motivazione, la cui mancanza o contraddittorietà risultino dal testo del provvedimento impugnato, essendo inibito un controllo di merito sulla fonte di prova allorquando essa sia stata sottoposta, dal giudice di merito, alla verifica di attendibilità oggettiva e soggettiva, nei limiti consentiti dalla fase processuale di un’indagine preliminare.

Ha affermato in proposito questa Corte che "la motivazione dei provvedimenti che impongono la misura cautelare della custodia in carcere, necessariamente sommaria, non può trasformarsi in una pronuncia anticipatoria del conclusivo giudizio finale, anche sa deve, comunque, sempre fondarsi su fatti e circostanze concreta e ragionevolmente significative nella prospettiva dell’ipotesi criminosa formulata nei confronti dell’indagato onde consentire lo ricostruzione dell’iter argomentativo attraverso cui il giudice è pervenuto alla decisione adottata" (Cass., sez. 1, 30 aprile 1993-21 ottobre 1993, n. 1923).

Ne consegue che l’insussistenza degli indizi richiesti dall’art. 273 c.p.p., è deducibile in sede di legittimità solo se si traduce in mancanza assoluta o illogicità manifesta della motivazione o in violazione di specifiche norme, sicchè non è consentito censurare la ricostruzione dei fatti nè l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la concludenza e rilevanza dei dati probatori, ove l’apprezzamento sia adeguatamente motivato. Cfr.

Cass., sez. 1, 12 febbraio 1992 – 20 febbraio 1992, n. 717, che ha affermato che "in materia di provvedimenti restrittivi della libertà personale le doglianze espresse in un ricorso per Cassazione e attinenti al difetto sia dei gravi indizi di colpevolezza sia delle esigenze cautelari possano assumere rilievo solo se si traducono in un motivo di annullamento che può essere ravvisato unicamente nella violazione dell’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. e), il quale, per essere rilevabile in sede di legittimità, deve rientrare nelle previsioni di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Ne consegue che esula dalle funzioni di questa Corte la valutazione sulla concreta sussistenza tanto degli indizi quanta delle esigenze cautelari, ciò rientrando fra i compiti esclusivi dei giudici del merito, dapprima del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura, e poi, eventualmente, del giudice del riesame.

Non sono, quindi, proponibili censure che richiamano circostanze di fatto implicitamente esaminate dal Tribunale e che, esprimendo un mero dissenso valutativo, tendono sostanzialmente ad una diversa valutazione dei dati fattuali su cui è fondato il convincimento espresso in sede di merita.

Pertanto la motivazione è, in punto di gravità indiziaria, assolutamente corretta e si sottrae alle censure articolate in fatto proposte con il presente gravame.

4. In conclusione il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *