Cass. pen., sez. I 16-07-2008 (11-07-2008), n. 29500 Accordo delle parti sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi d’appello con rinuncia agli altri eventuali motivi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 29.5.2007 il G.U.P. del Tribunale di Messina dichiarava B.B. e M.A. responsabili, in continuazione, di concorso nell’omicidio premeditato di Me.
R. e in reati concernenti armi e munizioni e condannava il primo a 30 anni di reclusione, il secondo, con attenuanti generiche equivalenti alla premeditazione, a 20 anni di reclusione, dando le conseguenti ed accessorie disposizioni.
Nei confronti degli imputati era stata altresì contestata e ritenuta l’aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, per essersi avvalsi "delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p.".
Entrambi proponevano appello, contestando la sussistenza dei presupposti materiali e la compatibilità in diritto di quest’ultima aggravante con il delitto di omicidio premeditato, punibile edittalmente con l’ergastolo. Il B. formulava inoltre doglianze sul trattamento sanzionatorio e il diniego delle attenuanti generiche; il M. censurava l’affermazione di responsabilità per l’omicidio, dovendo ritenersi la sua condotta – non premeditata – semmai qualificabile come favoreggiamento personale, e comunque la pena eccessiva, anche per il mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti.
All’udienza di appello (celebrata con rito camerale ex artt. 443 c.p.p., comma 4, e art. 599 c.p.p.) le parti, subito dopo la relazione introduttiva, sottoponevano al collegio un accordo che prevedeva l’esclusione dell’aggravante ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7 e la rideterminazione delle pene in 15 anni di reclusione per il M. e in 20 anni di reclusione – previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti – per il B., con rinuncia di entrambi agli altri motivi di ricorso. La Corte d’Assise di Appello di Messina, con sentenza del 27.5.2008, accoglieva la richiesta e provvedeva in conformità, osservando che l’esame del materiale probatorio raccolto consentiva di escludere la matrice mafiosa del delitto, riconducibile ad un "comune" movente di vendetta.
Ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore Generale, denunciando inosservanza della legge processuale: il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, pubblicato il 26.5, era entrato in vigore il giorno successivo (art. 13) e aveva abrogato (art. 2 lett. i) ed l) l’art. 599 c.p.p., commi 4 e 5, e l’art. 602 c.p.p., comma 2, che consentivano l’accoglimento concordato dei motivi (c.d. patteggiamento in appello); il 27.5.2008, quando era stata pronunciata la sentenza, la Corte di merito aveva quindi applicato una norma ormai espunta dall’ordinamento ed esercitato un potere non più attribuitole.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è fondato. Effettivamente la norma abrogatrice è entrata in vigore fin dall’inizio della giornata del 27.5.2008, durante la quale non era quindi più consentito ratificare richieste concordate di accoglimento – nella fattispecie, parziale – dei motivi di appello. Va al proposito osservato che la decisione ai sensi delle norme processuali non più in vigore presupponeva un accordo negoziale tra le parti, il cui fondamento era valutato dal giudice "allo stato", (secondo la letterale previsione dell’art. 599 c.p.p., comma 5) e in caso di negativa delibazione perdeva efficacia, imponendo "la prosecuzione del dibattimento" (art. 602 c.p.p., comma 2) e l’esame di tutte le questioni devolute con l’originario gravame, anche se rinunciate con l’accordo. Per effetto della novella l’accordo non è più rilevante nel giudizio, che va definito all’esito del dibattimento celebrato nelle forme ordinariamente previste e con trattazione di tutti i punti investiti dall’impugnazione, non potendosi più tener conto della rinuncia "patteggiata" ad alcuni motivi, condizionata alla positiva delibazione giudiziale "allo stato", e quindi non scindibile nè "recuperabile" come comune rinuncia unilaterale ex art. 589 c.p.p., la quale è per sua natura irretrattabile ed incondizionata (cfr.
Cass., Sez. 2, 11.10/23.11.2005, Olindo). Ne segue che l’irrituale ratifica dell’accordo sotto il nuovo regime processuale da luogo non solo e non tanto ad una decisione sommaria in violazione delle regole del contraddittorio – configurando per questo verso una nullità di ordine generale a regime intermedio ai sensi dell’art. 178 c.p.p., lett. b) e c), (sotto tale profilo equiparabile a quella che si verificava nel precedente regime quando il giudice, pur discostandosi dalla richiesta concordata, pronunciava immediatamente sentenza senza attivare il rituale dibattimento: cfr. Cass., Sez. 1, 4.6/30.8.1996, Cicciopastore; Sez. 3, 15.10/26.11.1999, P.M. in proc. Antonioli);
vizio nella fattispecie sanabile per essere state le parti a dar causa all’invalidità – ma alla violazione di una regola tassativa concernente l’"ordo judiciorum", con esercizio di un potere non (più) attribuito all’organo giurisdizionale (delibazione ed esecuzione di un negozio processuale non consentito).
La sentenza impugnata va perciò immediatamente annullata, con rinvio, a norma dell’art. 623 c.p.p., lett. c), alla più vicina Corte d’Assise di Appello (Reggio Calabria) affinchè proceda nelle forme ordinarie e con esame di tutti i punti devoluti con gli originari gravami. Ovviamente, se in sede di conversione la norma che ha abolito il "patteggiamento in appello" non verrà confermata o subirà modifiche, sarà sempre possibile "recuperare" l’accordo già intervenuto o riproporlo anche in termini diversi.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Prima Penale, annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte d’Assise di Appello di Reggio Calabria.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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