Cass. pen., sez. VI 11-07-2008 (09-07-2008), n. 28962 Associazione di tipo mafioso – Metodo mafioso – Controllo di elezioni comunali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

FATTO
Con la ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Reggio Calabria, adito ex art. 309 c.p.p., confermava l’ordinanza in data 14 novembre 2007 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria, con la quale era stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di G.R.A., G.A., G.V. e G.D., tutti accusati di avere fatto parte di un’associazione di tipo mafioso, finalizzata, mediante il controllo totale delle elezioni comunali del (OMISSIS), ad acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di concessioni, autorizzazioni e servizi pubblici comunali.
Le basi indiziarie richiamate dal Tribunale sono costituite essenzialmente da intercettazioni ambientali e da servizi di osservazione e altre indagini della polizia giudiziaria.
La natura mafiosa che caratterizzava l’attività di G.R. A. e dei suoi tre figli A., V. e D., attraverso il potere di intimidazione esercitato nel territorio di (OMISSIS), è stata ricavata in particolare:
– dagli espliciti riferimenti fatti in varie conversazioni dagli indagati sia alla faida che aveva negli anni passati contrapposto la famiglia al gruppo dei Pellegrino, conclusasi con la sconfitta del clan rivale e con il consolidamento del controllo mafioso del territorio da parte dei G., sia a fatti più recenti di dissidi con persone che minavano la supremazia della famiglia, e alle relative reazioni violente perpetrate o preannunciate (episodi del tentato omicidio di tale R.C. e dei propositi di vendetta nei confronti dell’autore di un furto in danno di un loro conoscente e nei confronti del collaboratore di giustizia M.S.) ovvero di interferenze nell’operato dell’amministrazione comunale per motivi di prestigio nell’ambito della comunità e di interessi elettoralistici locali (episodio della ottenuta rimozione della cappella della famiglia G. nel cimitero di (OMISSIS));
– dalla disponibilità di armi da fuoco da parte della famiglia e dai contatti e legami con altre famiglie mafiose quali quelle degli Avignone e dei Sanatiti;
– dall’onere di mantenimento economico assunto da parte della famiglia a favore di numerosi soggetti ad essa devoti, alcuni dei quali in stato di carcerazione;
– dal ruolo di autorevole mediatore esercitato in particolare da G.R.A., con il fattivo apporto dei suoi figli, nell’ambito della cruenta faida di (OMISSIS), che aveva visto contrapposte le famiglie dei Pelle – Vottari e dei Nirta – Strangio, culminata con la strage dei (OMISSIS);
– dal capillare condizionamento del risultato delle elezioni comunali del maggio 2007, attraverso sia la promozione dell’intesa tra i principali candidati della lista di destra, gli uscenti sindaco M.A.P. e vice – sindaco B.M. e il passato sindaco B.C., convocati in appositi e segreti vertici, sia il controllo del voto elettorale, finalizzato alla sconfitta del candidato di sinistra C.S.P., considerato "amico dei carabinieri" e alla conseguente vittoria dei candidati amici nonchè della elezione di G.A., nipote di R., inserito nella stessa lista; condizionamento realizzato mediante la sensibilizzazione di appartenenti a cosche in difficoltà economica, come la famiglia Bruzzise di Barritteri, nonchè mediante elargizioni di denaro a singoli cittadini e promesse di future assunzioni nell’amministrazione o di conseguimento di impiego in lavori pubblici o ancora mediante particolari accorgimenti, quali il preventivo ritiro delle schede elettorali, consegnate poi solo al momento del voto, o la fornitura di un normografo (ed. "stampino") agli elettori analfabeti o il presidiamento dei seggi da parte di componenti della famiglia; il tutto nella prospettiva di consistenti favori post-elettorali da parte dell’amministrazione, in particolare costituiti dall’affidamento di appalti pubblici promesso in precedenza negli incontri di vertice pre – elettorali (appalto dei fuochi di artificio per la festa patronale; raccolta dei fondi per la festa della Madonna dei poveri; altri futuri appalti di cui veniva rivenuta documentazione in casa di G.R.), e il cui effettivo conseguimento era garantito anche dall’organigramma della giunta comunale che gli stessi indagati contribuivano a formare.
Ricorre per cassazione, nell’interesse degli indagati, il difensore avv. Alvaro Domenico, che deduce:
1. Inutilizzabilità delle intercettazioni eseguite su decreti di urgenza del pubblico ministero con impianti esterni in quanto non sufficientemente motivate sia quanto alla insufficienza degli impianti della Procura della Repubblica sia quanto alle eccezionali ragioni di urgenza.
2. Insussistenza di elementi atti a delineare il reato di partecipazione ad associazione mafiosa, dato che l’impegno e l’attivismo elettorale degli indagati, mai condannati in precedenza per un simile reato, giustificato anche dal fatto che nella lista capeggiata dal sindaco uscente era inserito anche G.A., non fu caratterizzato da alcuna manifestazione di un metodo mafioso, quali minacce o intimidazioni nei confronti degli elettori, nè è stato provato alcun accordo preventivo di assicurazioni di favori da parte del sindaco M. a beneficio del presunto sodalizio.
Per di più le conversazioni intercettate non sono idonee a consentire una sicura individuazione degli interlocutori, e ad esse, in ogni caso, sulla base della stessa ordinanza impugnata, non risulta avere mai preso parte G.R.A..
Infine, ad G.A. non viene attribuita alcuna specifica condotta criminosa.
Nell’imminenza della odierna udienza, l’avv. Aricò Giovanni, altro difensore degli indagati, ha depositato documentazione relativa ai decreti di intercettazione.
DIRITTO
Il primo motivo appare manifestamente infondato.
Come risulta dalla stessa documentazione difensiva, le operazioni di intercettazione, effettuate sulla base di decreti di urgenza del pubblico ministero, sono state eseguite attraverso gli impianti installati presso la Procura della Repubblica, sicchè non si comprende il senso della doglianza, che fa riferimento alla carenza di motivazione circa la necessità del ricorso a impianti esterni.
Se poi si volesse implicitamente censurare il fatto che venne autorizzato l’ascolto remoto dei flussi di conversazioni presso impianti esterni (c.d. tecnica della "remotizzazione"), la doglianza, anche volendo superare le sue lacune, sarebbe comunque infondata, dato che tale tecnica è perfettamente legittima, una volta accertato che, come deve ritenersi nella specie, tutte le operazioni di captazione e di registrazione delle conversazioni, comprese quelle che consistono nel trasferimento dei dati contenuti nell’apparecchio di registrazione in un supporto magnetico, siano eseguite nei locali della Procura della Repubblica; e ciò è stato più volte affermato da questa Corte (v., tra le altre, Sez. 6^, 16 gennaio 2008, Sinesi;
Sez. 3^, 20 novembre 2007, Musso; Sez. 4^, 27 settembre 2007, Rizza), con avallo, recentissimamente, delle Sezioni unite, stando all’annuncio di decisione reso alla udienza del 26 giugno 2008, ric. Carli.
Il secondo motivo appare invece fondato.
Le basi indiziarie (a prescindere da quelle derivanti dalle intercettazioni, di cui si è sopra detto) non sono discusse dai ricorrenti, i quali però eccepiscono che da esse non sia ricavabile l’esistenza di un "metodo mafioso" in relazione al fatto contestato.
E, in effetti, larga parte dell’ordinanza impugnata fa riferimento a indici di "mafiosità" della famiglia Gioffrè che non hanno alcun rapporto con la contestazione formulata dal pubblico ministero e sulla base della quale è stata applicata la misura cautelare.
In particolare, la "forza di intimidazione" e la "condizione di assoggettamento e di omertà" si ricava, secondo l’ordinanza impugnata, in primo luogo dalla "storia" della famiglia Gioffrè, impegnata in lunghi anni nella lotta con il clan rivale dei Pellegrino, rivendicata con orgoglio dagli appartenenti ad essa; e, in tempi recenti, sia dalle azioni violente perpetrate o divisate in relazione a fatti ritenuti suscettibili di mettere in discussione la forza del gruppo nella considerazione della comunità locale, sia dalle interferenze nell’operato dell’amministrazione comunale per la risoluzione di controversie private, sia ancora da ruoli di mediazione tra agguerrite e sanguinarie cosche operanti nel territorio, che non avrebbero potuto avere spiegazione diversa da quella di una espressione di un potere fondato su un prestigio mafioso.
Indice sintomatico della esistenza di un sodalizio perseguente attività illecite, poi, è stato individuato nella pletora di soggetti, in gran parte ristretti in carcere, che dipendevano economicamente dalla famiglia, beneficiando delle sue elargizioni pecuniarie, in assenza di un plausibile motivo, legato a rapporti lavorativi o di leciti affari, che ne potesse rendere giustificazione.
Tuttavia, come anticipato, la contestazione a base del provvedimento cautelare, che è la sola che qui interessa, attiene alla interferenza che avrebbe efficacemente esercitato la famiglia Gioffrè sull’andamento delle elezioni comunali del maggio 2007, riconducibile a una ipotesi tipicamente descritta dal comma terzo dell’art. 416 bis c.p..
A tale specifico riguardo, a parte alcuni comportamenti genericamente riconducibili soltanto a una, sia pure singolare, autorevolezza della famiglia nella comunità locale, quali quelli dei summit risultati decisivi per la formazione delle liste e per le candidature dei vertici dell’amministrazione comunale, deve rilevarsi che nell’ordinanza impugnata non sono state indicate concrete e specifiche manifestazioni tipiche di un potere mafioso, non potendosi in particolare ritenersi risolutiva quella del "ritiro" delle schede e della loro riconsegna al momento del voto, che non risulta essere inquadrata nell’ambito di un clima di sopraffazione a carico del corpo elettorale, e che, in mancanza di ulteriori elementi di fatto, anche di natura logica, potrebbe avere spiegazioni diverse, sia pure riconducibili a condotte illecite in quanto idonee al turbamento della libera espressione del voto.
Ancor meno significativi, nel senso di un metodo mafioso, appaiono poi i riferimenti al ed. "stampino" dato agli elettori analfabeti, al "presidiamento" dei seggi e alle promesse di impieghi o favori fatti agli elettori.
Dati tali gravi carenze e incongruenze motivazionali, l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria, per un migliore e più approfondito esame sul tema del metodo mafioso che avrebbe caratterizzato le contestate interferenze poste in essere dagli indagati sulle elezioni comunali.
La Cancelleria provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Reggio Calabria per nuovo esame.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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