Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 25-01-2011) 09-06-2011, n. 23195 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 17/5/2004 la Corte di Appello di Milano confermava nei confronti di Z.S. la sentenza emessa dal GUP presso il Tribunale di Milano,in data 17/2/2003,con la quale il predetto imputato era stato dichiarato colpevole del reato di associazione per delinquere nel traffico di stupefacenti,unificato in continuazione con reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, e condannato previa concessione delle attenuanti generiche e dell’attenuante di cui al cit. D.P.R., art. 74, comma 7, ritenute equivalenti alla pena di anni quattordici di reclusione – (così determinata: pena base per delitto di cui al capo 1), anni venti di reclusione, aumentata per il capo 7) ad anni ventuno, ridotta di un terzo per il rito.

I fatti erano stati accertati in (OMISSIS), nel corso di indagini svolte dalla Squadra mobile di Milano per la cattura di un latitante.

In tale contesto, nella fase detta "inglese" due agenti avevano svolto accertamenti sotto copertura, ed avevano in tal modo avuto contatti con coloro che erano coimputati nel procedimento di cui si tratta.

Erano state individuate altresì delle utenze telefoniche, in Gran Bretagna, attraverso le quali sì era potuta accertare la esistenza dei soggetti coinvolti nel traffico, tra i quali vi era l’attuale imputato, che era stato in attività anche nella fase delle indagini che interessava l’Albania (v. fl. 6 della sentenza).

Infine gli agenti avevano effettuato pedinamenti, accertando che lo Z. aveva incontrato altri complici come descritto a fl. 7.

Nel corso di tali indagini erano stati accertati contatti tra gli indagati finalizzati al trasporto di droga in quantità rilevanti (come il carico di marijuana menzionato a fi.8 della sentenza,nonchè un quantitativo di gr. 257 di eroina,oltre hashish sequestrati in un deposito, con armi, il (OMISSIS), e vi erano state dichiarazioni confessorie di taluni indagati ( B.S. e L.G.)(v. fl. 9).

Il Giudice di appello rilevava che, come ritenuto dal GUP, era emersa dalle indagini l’esistenza degli elementi costitutivi dell’associazione per delinquere in contestazione, della quale facevano parte sia l’attuale ricorrente che altri coimputati, con ruoli ben delineati, avendo lo Z. ruolo di capo, che trattava i prezzi che i quantitativi di droga(la sostanza proveniente dall’Albania e diretta in Gran Bretagna, doveva transitare e sostare momentaneamente in Italia,dove vi era una base logistica individuata nelle operazioni di polizia,come descritto in sentenza a fl.9).

Nell’atto di APPELLO la difesa dell’imputato aveva chiesto l’assoluzione del medesimo dal reato associativo,non contestando la responsabilità del prevenuto in riferimento al delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, evidenziando che nella specie mancavano prove di un rapporto stabile tra i soggetti indagati,e si era solo verificato un episodio meramente occasionale di traffico di droga,mentre dalle intercettazioni la difesa riteneva che emergesse solo la mera aspirazione dei soggetti coinvolti a realizzare un traffico più vasto,senza che potessero rilevarsi i presupposti di legge per configurare l’ipotesi di cui al citato D.P.R., art. 74.

In subordine la difesa dell’appellante aveva chiesto la derubricazione del reato contestato ai sensi dell’art. 74, commi 1 e 3 in quella prevista dal comma 2 dello stesso articolo, intendendo escludere che lo Z. avesse assunto il ruolo di partecipe qualificato al sodalizio di cui si tratta. (A riguardo il difensore aveva rilevato che il coimputato B., al quale l’imputato aveva inviato del danaro, era legato allo Z. da vincolo di parentela,giustificando in tal senso tale elargizione).

In linea subordinata l’appellante chiedeva che si ritenesse la semplice partecipazione dell’imputato all’illecito di cui all’art. 73 citato.

Inoltre la difesa aveva chiesto la prevalenza delle generiche già concesse dal primo giudice, non essendo stata valutata l’incensuratezza dell’imputato, e in riferimento al delitto di cui al capo n. 7 – l’esclusione dell’aggravante di cui al D.P.R. citato, art. 80 – evidenziando che la droga caduta in sequestro non assumeva l’entità idonea a configurare l’ipotesi aggravata.

Infine era stata riproposta la questione di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, con riferimento all’art. 3 Cost. che era stata dichiarata inammissibile dal GUP. La Corte territoriale aveva confermato sul punto la sentenza impugnata, ritenendo manifestamente infondata tale questione.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dello Z. deducendo:

1 – l’inutilizzabilità degli esiti delle attività di intercettazione, in base al rilievo che i decreti autorizzativi erano carenti di adeguata motivazione.

2 – Con il secondo motivo il ricorrente rilevava la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. B) ed E) in relazione all’affermazione di responsabilità dell’imputato per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.

A riguardo rilevava l’erronea applicazione del D.P.R. citato, art. 74, in base al fatto che sia in primo che in secondo grado i Giudici avevano accertato la partecipazione dell’imputato ad un solo reato riconducibile al programma criminoso ipotizzato.

Sul punto si era rilevato,infatti, che per configurare il delitto di associazione per delinquere non si riteneva indispensabile l’accertamento di una pluralità di reati-fine del sodalizio.

Tuttavia,la difesa rilevava che d’altra parte non era nemmeno sufficiente l’accertamento dei c.d. reati fine e dunque il giudice avrebbe dovuto bene argomentare in relazione agli elementi costitutivi del reato ex D.P.R. citato, art. 74 che risultavano da elementi di fatto tali da essere sintomatici di un accordo stabile per commettere una serie indeterminata di delitti della stessa indole.

Il ricorrente dunque rilevava una erronea applicazione della norma anche da parte della Corte di Appello,che non aveva tenuto conto,illogicamente,delle peculiarità oggettive dell’operazione di pg.(v. a fi. 3 i motivi di ricorso),caratterizzata da complessità organizzativa,attesa l’entità della droga(Kg. 100)proveniente dai Balcani, che richiedeva la partecipazione di più soggetti,e costituiva un’operazione che si doveva inevitabilmente svolgere in più fasi.

In tal senso la difesa riconosceva che il fatto fosse rivelatore di notevole pericolosità sociale dei soggetti coinvolti,pur sempre ritenendo di dover escludere la configurabilità del delitto di cui al citato D.P.R., art. 74.(fl.4-5 motivi di ricorso).

Dunque la difesa censurava la motivazione della sentenza per essere meramente "apparente", non essendo rilevabili elementi di prova al di là di quelli atti a configurare il delitto di cui al capo n. 7- ritenendosi carente l’accertamento della previsione di una serie indeterminata di reati-fine del sodalizio in esame.

3- Con il terzo ed ultimo motivo di impugnazione la difesa rilevava altresì la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. B) ed E) in relazione alla attribuzione al ricorrente della qualità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 1.

A riguardo riteneva essersi verificato un errore di valutazione dei Giudici di merito nella attribuzione all’imputato della qualifica di promotore ed organizzatore dell’illecito traffico.

La difesa rilevava, infatti, che non erano stati accertati i tempi e luoghi in cui si sarebbe svolto tale traffico,nè le modalità di azione,riconducibili ad un pactum sceleris.

A riguardo riteneva che la motivazione della sentenza fosse carente.

D’altra parte considerava carente anche la indicazione di elementi oggettivi dai quali si potesse desumere il ruolo di organizzatore ascritto all’imputato.(v. fl. 8 dei motivi di ricorso).

In conclusione la difesa sosteneva che si sarebbe potuto attribuire allo Z. semplicemente un ruolo di "leggera sovraordinazione" rispetto al coimputato osservando che all’imputato era stata inflitta la pena di anni ventuno di reclusione in relazione ad un comportamento caratterizzato solo da maggior prudenza rispetto ad altro coimputato.

In tal senso il ricorrente concludeva chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

Innanzi a questa Corte all’udienza del 27-10-2010 veniva depositata memoria con la deduzione della nullità del decreto di citazione per il giudizio di appello, ex art. 178 c.p.p., lett. c), art. 185 c.p.p., comma 1 in relazione all’art. 296 c.p.p. e art. 169 c.p.p., comma 4.

A riguardo il difensore evidenziava che questa Corte,con ordinanza del 15.10.2009,aveva disposto la restituzione nel termine d’impugnazione per l’odierno ricorrente,in riferimento alla sentenza emessa dalla Corte di Appello di Milano,datata 17-5-2004,riconoscendo il difetto di citazione dell’imputato nel giudizio di appello.

Rilevava altresì che il GIP aveva dichiarato – con decreto in data 18 luglio 2002 – lo stato di latitanza dello Z., al quale tutte le successive notifiche erano state fatte presso il difensore d’ufficio.

In base a tali rilievi concludeva chiedendo di riconoscere la nullità della sentenza per omessa citazione dell’imputato nel giudizio di appello.
Motivi della decisione

La Corte rileva che risulta dotata di fondamento l’eccezione difensiva inerente al difetto di rituale notifica del decreto di citazione all’imputato,nel giudizio di appello. Invero,alla stregua dell’ordinanza emessa da questa Corte,in data 15-10-2009- che ha accolto l’istanza di restituzione nei termini per proporre impugnazione avanzata dallo Z., emerge che "non è individuabile alcun elemento idoneo a far ritenere che lo Z. abbia avuto effettiva conoscenza della pronuncia della sentenza di appello nè che abbia volontariamente rinunciato a proporre ricorso per cassazione. L’assenza del conferimento del mandato fiduciario all’Avv. Panfili comporta poi l’esclusione della presunzione legale di conoscenza dell’atto notificato,ex art. 157 c.p.p., comma 8, da parte dello stesso Z.".

In virtù di detti rilievi deve pertanto ritenersi dotata di fondamento la richiesta avanzata dalla difesa relativa alla nullità del procedimento e della sentenza di appello,per violazione dell’art. 178 c.p.p., lett. c), art. 185 c.p.p., comma 1 in relazione all’art. 296 c.p.p., art. 169 c.p.p., comma 4, in difetto della rituale citazione dell’imputato nel giudizio di appello.

Infatti risulta essere stata omessa l’applicazione dell’art. 169 c.p.p., comma 4, trattandosi di imputato per il quale sarebbe stato necessario disporre ulteriori ricerche all’estero,che non risultano essere state eseguite ai fini della notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello ai sensi dell’art. 169 c.p.p., comma 4.

Tale vizio del decreto di citazione è causa di nullità del giudizio di appello, e pertanto la Corte deve provvedere con annullamento della sentenza impugnata, con rinvio al giudice competente per nuovo giudizio.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di filano per nuovo giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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