Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 11-09-2013, n. 20815 Illeciti disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1) La dottoressa D.G.B., giudice presso il Tribunale di Terni, è stata incolpata dell’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1, e art. 2, comma 1, lett. q), per avere ritardato, eccedendo oltre tre volte i termini previsti dalla legge per il compimento dell’atto, nel periodo di servizio presso detto ufficio compreso tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), il deposito di 199 sentenze civili, di cui 185 monocratiche e 14 collegiali; 221 ordinanze in materia civile, nonchè altre 9 ordinanze riservate, non ancora depositate alla data dell’ispezione.

Il capo di incolpazione precisa che in due casi i ritardi nel deposito delle sentenze collegiali superavano l’anno, oltrepassato per diciotto volte nel deposito delle sentenze monocratiche.

Quanto alle ordinanze, i ritardi superavano in tre casi i 300 giorni, in sedici casi i 200 ed in ventisette casi si attestavano tra i 100 e i 200 giorni.

La Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha ritenuto l’incolpata responsabile dell’addebito e le ha comminato la sanzione della censura.

La dottoressa D.G. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Il Ministero della giustizia non si è costituito, benchè ritualmente reso edotto dell’impugnazione.
Motivi della decisione

2) Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1, e art. 2, comma 1, lett. q), del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 32, dell’art. 31 Cost., delle norme sulla tutela e sostegno della maternità.

Denuncia inoltre carenza e contraddittorietà della motivazione.

Dopo aver riepilogato i principi fondamentali in tema di illecito disciplinare per ritardo nel deposito dei provvedimenti, l’istante sottolinea la rilevanza della condizione soggettiva del magistrato e in particolare dello stato di maternità, richiamando il diritto al congedo parentale (art. 32 cit.), trascorso il periodo di congedo obbligatorio per maternità di cui al Capo III, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi.

Il ricorso riporta la prescrizione della circolare CSM n. 160/96, ribadita dalla deliberazione 13 luglio 2006, relativa agli obblighi del dirigente dell’ufficio di rendere compatibile l’impegno lavorativo con i doveri di assistenza al bambino inferiore ai tre anni di età. Menziona la delibera 11 novembre 1998 in materia e la circostanza che il ritardo nel deposito delle decisioni causato dall’astensione obbligatoria e facoltativa non può avere rilevanza disciplinare.

Lamenta che tali principi siano stati disattesi dalla sentenza disciplinare.

A tal fine, pur nell’ambito di una riconsiderazione complessiva dell’adempimento dei doveri di ufficio da parte della ricorrente, il ricorso evidenzia che i ritardi sarebbero maturati negli anni (OMISSIS) e (OMISSIS), quando l’incolpata aveva appena preso possesso dell’ufficio in Terni e in coincidenza con la nascita della terza figlia, avvenuta nel (OMISSIS), fatto che avrebbe dovuto comportare la neutralizzazione di nove mesi dal computo dei termini, tenendo conto di astensione obbligatoria, facoltativa e ferie.

Lamenta specificamente che la condizione di maternità non sia stata considerata in relazione ai ritardi contestati e al carico di lavoro assegnato.

3) Il secondo motivo, che attiene a vizi di motivazione, muove dal rilievo che la modesta produttività addebitata alla ricorrente coincide con gli anni, (OMISSIS), incisi dalla terza maternità, senza considerare che negli anni in cui l’incolpata aveva operato "a regime" la produttività era stata in linea con quella degli altri magistrati.

La ricorrente si duole della omessa considerazione della consistenza dei carichi di lavoro imposti, pur descritti nella nota presidenziale del 5.10.2009 e comprovati in atti; osserva che la sentenza ignora gli sconvolgimenti organizzativi imposti dalla diversificazione di funzioni da svolgere e dall’impegno anche in materia penale, quale componente del tribunale del riesame e quale supplente GUP. 4) Le censure così sintetizzate vanno esaminate congiuntamente.

La sentenza impugnata, dopo aver premesso i principi giurisprudenziali dominanti in tema di reiterazione e gravità dei ritardi, si sofferma sulla "non giustificazione" di essi quale elemento costitutivo della fattispecie, sottolineando che la giustificazione, secondo la struttura della fattispecie normativa de qua, va riferita a situazioni oggettive che abbiano avuto specifica incidenza causale sui ritardi.

Approfondisce poi il criterio della inesigibilità, caratterizzato, ad avviso della Sezione disciplinare, dal necessario riferimento alle cause "espressamente codificate" di giustificazione e di esclusione della colpevolezza.

Aggiunge che l’antigiuridicità della condotta, che da corpo all’illecito, rende tendenzialmente ingiustificabili ritardi superiori ad un anno, che violano i termini del giusto processo.

In una fattispecie ad antigiuridicità speciale, osserva la Sezione, il requisito della mancanza di giustificazione, in quanto interno alla fattispecie, va posto in relazione con il requisito della gravità dei ritardi, sicchè ogni esigenza di giustificazione dovrebbe essere sempre messa in rapporto di ragionevole proporzione con l’entità dei ritardi.

Ne desume che la giustificazione, pur possibile, può scaturire soltanto da una o più circostanze eccezionali e transitorie.

4.1) Venendo all’esame del caso, la Sezione, pur escludendo dal computo i cinque mesi di astensione obbligatoria e quarantacinque giorni di congedi parentali goduti, ha reputato particolarmente significativi i ritardi accumulati dal magistrato.

Nell’esame delle giustificazioni la sentenza impugnata ha negato ogni rilievo alla situazione lavorativa ed alla situazione familiare dell’incolpata, a causa della modesta produttività nei quattro anni considerati.

Ha giudicato modesta l’incidenza dell’attività svolta quale giudice penale.

Ha poi testualmente concluso: "La situazione personale dell’incolpata, fermo restando quanto si è detto sul computo dei periodi di assenza dal lavoro per maternità, non assume poi di per sè alcun rilievo giustificativo di ritardi che tra l’altro si sono protratti anche negli anni ((OMISSIS)) successivi all’ultima maternità.

Mentre è pacifica l’irrilevanza agli stessi fini dei congedi parentali, puramente facoltativi, non richiesti dall’incolpata".

5) Tale percorso argomentativo appare affetto da entrambi i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione denunciati.

Ed invero la sezione disciplinare ha sostanzialmente omesso di ricostruire la fattispecie tenendo conto della condizione di maternità dell’incolpata, rilevante proprio nel periodo considerato dall’addebito, e di valutare detta condizione nel quadro della normativa di riferimento.

Nella impostazione della sentenza la maternità appare infatti assunta come fatto episodico, risolventesi all’atto della nascita del bambino, e quindi assimilabile a qualunque malattia, idonea soltanto a giustificare il mancato deposito nei periodi strettamente connotati dal divieto legislativo di prestare l’attività lavorativa o nel breve periodo equiparato.

In tal modo è stata del tutto negletta la corposa normativa primaria e secondaria, in parte evocata in ricorso, che disciplina la materia.

Come è noto, il fondamentale punto di riferimento al riguardo è fornito dal D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma della L. 8 marzo 2000, n. 53, art. 15, che costituisce l’approdo di un lungo percorso legislativo, segnato anche da molteplici interventi della Corte Costituzionale, a tutela delle lavoratrici madri, e i cui principi ispiratori, diretti a dare attuazione ai precetti costituzionali posti dagli artt. 30, 31 e 37 Cost., non possono non influenzare l’interpretazione di ogni diversa normativa involgente la posizione della madre lavoratrice.

E’ altresì noto che detto testo unico disciplina all’art. 32, i congedi parentali, secondo le modalità stabilite nello stesso articolo, per ogni bambino nei primi suoi otto anni di vita, riconoscendo in particolare alla madre lavoratrice il diritto di astenersi dal lavoro, trascorso il periodo di congedo di maternità, per un periodo continuato o frazionato non superiore a sei mesi. Va al riguardo ricordato che l’istituto del congedo parentale, quale importante strumento diretto a conciliare la vita professionale e quella familiare, è stato introdotto al fine di dare attuazione alla clausola 2 dell’accordo quadro sul congedo parentale di cui alla Direttiva 96/34 CE del 3 giugno 1996 lì dove dispone che a tutti i lavoratori di ambo i sessi deve essere garantito il diritto individuale al congedo parentale per la nascita e l’adozione.

Come è stato efficacemente posto in rilievo dai commentatori, il legislatore del 2001 ha inteso modulare in modo nuovo il rapporto tra tempo del lavoro e tempo delle attività di cura dei figli avendo riguardo alla figura essenziale di entrambi i genitori, così superando quegli schemi del passato che da un lato accollavano alla sola madre la fatica e l’impegno di conciliare il lavoro con il ruolo genitoriale, specie nei primi anni di vita del bambino, dall’altro lato escludevano il padre dai tempi da dedicare alla genitorialità.

In tale prospettiva le norme del testo unico devono essere opportunamente coordinate con quelle di cui alla legge 10 aprile 1991, n. 125, recante "Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro".

Va ancora ricordato sul piano della normativa primaria che la L. 13 febbraio 2001, n. 48, sull’aumento del ruolo organico della magistratura ha introdotto, come misura diretta a risolvere le problematiche organizzazione degli uffici giudiziari conseguenti (tra l’altro) alle assenze dei magistrati per gravidanza o maternità o per le altre ipotesi disciplinate dalla L. n. 53 del 2000, la figura del magistrato distrettuale. Con tale strumento il legislatore ha inteso fornire una soluzione sul piano istituzionale a tali problematiche, prendendo atto che le difficoltà connesse alle assenze delle magistrate per gravidanza e maternità costituiscono un dato fisiologico al sistema, da non affrontare con decisioni occasionali, ma in maniera precostituita e secondo linee uniformi.

Per quanto attiene alla disciplina consiliare, va innanzi tutto richiamata la circolare del 10 aprile 1996, modificata con circolare del 6 marzo 1998, le cui disposizioni sono confluite nel par. 45 della circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti per il triennio 2009/2011, ispirata alla dichiarata finalità di consentire agli uffici giudiziari, "attraverso una organizzazione del lavoro tale da configurare un impegno lavorativo del magistrato in gravidanza o fino ai tre anni di età del bambino, non inferiore quantitativamente, ma diverso e compatibile con i doveri di assistenza che gravano sulla lavoratrice", di "avvalersi dell’attività di magistrati che, altrimenti, per motivi familiari o di salute, sarebbero costretti, come avviene attualmente, a ricorrere a periodi anche molto lunghi di astensione dal lavoro, e dall’altro di assicurare a questi magistrati il diritto all’espletamento delle loro funzioni secondo modalità compatibili con la loro contingente situazione", con il duplice beneficio, "per l’ufficio, di recuperare energie lavorative, e per il magistrato, il quale non viene costretto ad assenze non desiderate ed all’inevitabile perdita di professionalità conseguente a lunghi periodi di inattività".

Sono ancora da ricordare la circolare del 4 dicembre 2000 recante "Assenze per maternità: modifiche conseguenti alla L. n. 53 del 2000", nonchè la risoluzione in materia di organizzazione degli uffici del Pubblico Ministero adottata con delibera del 21 luglio 2009.

Dal complesso delle iniziative assunte negli anni dal CSM emerge con immediatezza l’impegno dell’organo di autogoverno a dare attuazione agli istituti posti a tutela della maternità, allo scopo di offrire alle donne magistrato pari opportunità nello sviluppo della loro professionalità.

5.1) E’ proprio la mancata considerazione di tale quadro di riferimento che induce a ravvisare il vizio di violazione di legge denunciato nel primo motivo, avendo del tutto omesso la sezione disciplinare di tener conto dell’apparato primario e secondario posto a tutela della lavoratrice madre, e quindi di verificare se la organizzazione del lavoro attuata in concreto, presso l’ufficio giudiziario di Terni, fosse rispettosa della normativa richiamata.

I giudici disciplinari hanno trascurato in sostanza di rilevare che l’esigenza di un equilibrio tra responsabilità familiari e professionali sotteso alla normativa sopra indicata, nella peculiare condizione in cui si trovava il magistrato durante e dopo la gravidanza, imponeva di accertare specificamente, in quella sede, se i ritardi non fossero correlati (anche) a una organizzazione dell’ufficio che non aveva tenuto conto (o non aveva potuto tener conto) di tale situazione.

5.2) Per quanto attiene ai vizi di motivazione denunciati nel secondo motivo, va osservato che la sentenza disciplinare, nell’affermare, in relazione alla giustificazione dei ritardi, che, "contrariamente a quanto sostenuto dall’incolpata, non assumono siffatto rilievo nè la situazione lavorativa nè la situazione familiare della stessa" e che "la produttività dell’incolpata risulta, infatti, modesta o comunque in linea con quella degli altri colleghi dell’Ufficio", ha adottato una motivazione del tutto carente ed illogica. Essa infatti ha negato ogni rilevanza al fatto, evidenziato nelle memorie difensive riportate in ricorso, che la scarsa produttività nell’anno (OMISSIS) trovava ragione nell’insediamento recente ((OMISSIS)) del magistrato presso il Tribunale di Terni, che intuitivamente comportava la necessità che maturassero cause da assegnare a sentenza in un tempo istruttorio intervallato dalle assenze obbligatorie, e d’altro canto che a partire dal 2008 era riscontrabile una normale produttività, anche se contraddistinta da perduranti ritardi.

La sentenza non ha negato che nel (OMISSIS), al momento della ispezione, la situazione critica fosse stata risolta, ma ha omesso di valutare tale circostanza ai fini della prova del coincidere della fase di difficoltà con il periodo protetto della gravidanza e della maternità, quindi della sua transitorietà, e tanto meno di inquadrare tale profilo di transitorietà nella particolare condizione della ricorrente.

5.3) va sotto altro aspetto considerato che se la scarsa produttività degli anni 2006/2007 trovava ragione, così come prospettato dall’incolpata, nel recente inserimento nell’ufficio e nella nuova maternità, è del tutto illogico addebitare il ritardo e qualificarlo come colpevole (negando valore a ogni situazione giustificatrice) a cagione della scarsa produttività. E’ agevole argomentare che questa non vi sarebbe stata se il deposito dei provvedimenti introitati fosse avvenuto nei tempi fissati dalla legge.

Dunque è solo il comportamento oggetto di incolpazione che deve essere esaminato e solo sulla sua giustificazione si deve appuntare la valutazione. In caso contrario accade, come avvenuto nella specie, che la motivazione della colpevolezza sia tratta dal fatto stesso che sorregge l’incolpazione, senza farsi carico di valutare le giustificazioni addotte.

Il percorso motivazionale seguito ha finito così con il negare tautologicamente rilievo alla complessiva situazione lavorativa, in sostanza omettendo di prendere in esame quanto dedotto dalla difesa dell’incolpata e traendo argomento dal fatto stesso dei ritardi, che erano la fonte della ridotta produttività.

Allo stesso tempo, e soprattutto, si è apoditticamente negata ogni rilevanza alla situazione familiare (cioè alla terza maternità, sopraggiunta alle due di epoca recente) sulla base dell’assunto – errato – che trattasi di condizione priva di "rilievo giustificativo".

5.4) Va aggiunto che le due "situazioni" sono state considerate separatamente, trascurando che al lume della normativa primaria e secondaria di tutela della lavoratrice madre e delle pari opportunità l’una rifluisce sull’altra. La sezione disciplinare ha ancora omesso di vagliare lo specifico carico di lavoro dell’incolpata, come esibito dalle difese svolte e riproposte in questa sede, in relazione alle prescrizioni imposte dalla richiamata circolare n. 160 del 1996 e succ. mod., tenuto conto che è in linea di principio l’amministrazione a dover farsi carico di dimostrare che i provvedimenti organizzativi adottati erano idonei a "contemperare le diverse esigenze".

6) Assumono rilievo – e meritano quindi nuovo scrutinio – le circostanze in proposito allegate in ricorso: tra queste, l’attribuzione dal (OMISSIS), in accrescimento al ruolo ordinario, dei ruoli di due colleghi del settore civile; l’espletamento di funzioni supplenti di GUP e di giudice del riesame; la partecipazione come giudicante a processi penali che il ricorso definisce delicati e complessi, offrendo attendibili elementi a corredo.

La sentenza impugnata, nel ritenere che dette differenziate funzioni penali avessero spiegato "modesta incidenza sulla complessiva attività dell’incolpata", ha fornito una motivazione che, nel peculiare contesto, è insufficiente a dar conto dell’aggravarsi e del diversificarsi dei compiti richiesti al magistrato-neomadre, proprio in una fase in cui la tutela voluta dalla normativa secondaria postula una organizzazione del lavoro compatibile con le esigenze di famiglia e quindi, esemplificativamente, la unicità dei compiti, la specializzazione, cioè misure che non richiedano ulteriori tempi ed energie per aggiornarsi su più materie contemporaneamente.

6.1) In questa chiave i rilievi svolti, che sottendono provvedimenti organizzativi connotati da segno opposto a quello richiesto dalle disposizioni consiliari, vanno adeguatamente considerati.

L’espletamento di un’attività diversificata e aggiuntiva, come la celebrazione di pochi ma delicati processi penali, può assumere peso consistente se costringe il magistrato a riconvertirsi o aggiornarsi in materie non trattate in epoca recente. E’ infatti difficile mantenere inalterata, sotto il profilo quantitativo, la prestazione, come vuole la circolare (e quindi depositare tempestivamente le sentenze introitate), se si è chiamati a diversificare le materie trattate e se, sempre durante il periodo più delicato post gravidanza, viene reso più complesso il carico ordinariamente attribuito. Si impone pertanto una valutazione approfondita e specifica dell’effettivo peso che hanno assunto gli impegni supplementari richiesti all’incolpata nel contribuire alla formazione dei ritardi tra il (OMISSIS) e del loro assorbimento solo nel 2009, in prossimità del compimento del terzo anno di età della terza figlia.

6.2) Al rilievo di incongruità della motivazione non si sottrae neppure l’ultima considerazione della sentenza impugnata, che ritiene "pacifica l’irrilevanza agli stessi fini dei congedi parentali, puramente facoltativi, non richiesti dall’incolpata", senza valutare se tale mancata richiesta potesse configurarsi come manifestazione di dedizione e disponibilità a darsi carico delle esigenze dell’Ufficio connesse alle scoperture di organico, ma al tempo stesso come elemento idoneo ad appesantire quella particolare situazione personale che aveva dato luogo ai ritardi.

7) La necessaria considerazione dell’incidenza della maternità sulla condotta controversa rende necessaria una valutazione di tutti i profili fattuali rassegnati nelle difese e ribaditi in ricorso: dalla collocazione temporale dei ritardi ultrannuali al piano di rientro portato a compimento nel (OMISSIS), alle risultanze dell’ispezione (nota N. del (OMISSIS)) che avrebbero attestato una distribuzione degli affari non omogenea tra i magistrati dell’ufficio, alcuni soltanto dei quali impegnati in materie "tendenzialmente ripetitive".

Discende da quanto esposto l’accoglimento del ricorso.

La sentenza impugnata va pertanto cassata e la causa rimessa per nuovo esame alla sezione disciplinare, in diversa composizione.

Nulla per le spese.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 14 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2013

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