Cass. pen., sez. VI 11-07-2008 (08-07-2008), n. 28952 Titolarità del diritto – Persona offesa – Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

FATTO E DIRITTO
All’esito del giudizio di primo grado, in cui si costituiva parte civile la persona offesa querelante C.G., il Tribunale di Oristano sezione distaccata di Sorgono con sentenza resa il 20.6.2003 dichiarava C.P. colpevole del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle cose, perchè pur potendo ricorrere al giudice -al fine di esercitare un preteso diritto di comproprietà sul sottotetto di un edificio condominiale sito in (OMISSIS), diritto contestato dai coniugi C.G. e M.G. si faceva ragione da se stesso, procedendo allo "scasso" del lucchetto posto dai coniugi C. – M. a chiusura della porta di accesso al sottotetto.
Per l’effetto il C.P., mandato assolto per insussistenza del fatto dal concorrente reato di cui all’art. 393 c.p., era condannato alla pena di Euro 300,00, di multa ed al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.
Adita dall’impugnazione del C.P., la Corte di Appello di Cagliari con la sentenza del 23.5.2007 in epigrafe indicata, riformando la sentenza del Tribunale, ha dichiarato l’improcedibilità dell’azione penale per difetto di rituale querela.
A tale conclusione liberatoria la Corte territoriale è pervenuta in base al rilievo, avvalorato da documenti prodotti dall’imputato, che la querelante C.G. doveva considerarsi non legittimata a proporre l’istanza punitiva nei confronti del condomino C.P., non essendo comproprietaria con il marito in regime di comunione legale dei beni dell’appartamento condominiale di (OMISSIS) in disponibilità della sua famiglia, l’immobile essendo in proprietà esclusiva (avulsa dalla comunione legale) del coniuge M.G., unico titolare – quindi – del diritto di querela.
Avverso detta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Cagliari, prospettando due vizi della decisione.
In primo luogo la violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 392 c.p., norma che tutela l’interesse dello Stato ad impedire che la violenza privata si sostituisca all’esercizio della funzione giurisdizionale in occasione di controversie tra privati, per la cui soluzione sia possibile far ricorso ad un giudice. Di tal che il diritto di querela non può essere limitato al solo titolare del diritto di proprietà o di altro diretto reale sul bene oggetto del reato di ragion fattasi, ma deve ritenersi esteso anche a chi sia portatore di una concreta e diretta relazione con il bene aggredito benchè di intensità inferiore rispetto ad un diritto di proprietà.
Il ricorrente, nel richiamarsi alla giurisprudenza di questa Corte regolatrice che ha statuito come vittima e persona offesa del reato di cui all’art. 392 c.p., vada ritenuto anche chi si trovi nella possibilità di esercitare il contenuto di qualsiasi diritto sulla cosa in quanto titolare dell’apparentia iuris, ha sottolineato che non soltanto al momento del fatto (effrazione del lucchetto della porta del sottotetto) la querelante C.G. si trovava nella "sua" sottostante abitazione di (OMISSIS) insieme al figlio, ma che l’uso dell’immobile da lei comunque esercitato (con o senza il coniuge) ne testimoniava una situazione fattuale di suo legittimo possesso.
Con il secondo motivo di ricorso il P.G. censura la carente motivazione della sentenza impugnata (più propriamente un travisamento del fatto oggetto di prova) laddove assume che gli atti di compravendita degli appartamenti condominiali prodotti dall’appellante C.P. escludano una situazione di comproprietà dei coniugi C.G. e M., trascurando di constatare che la documentazione in parola non riguarda l’appartamento posseduto dai coniugi C.G. e M. ma gli appartamenti di altri condomini. Donde l’erroneità del presupposto di fatto sul quale è imperniata la dedotta carenza di legittimazione a proporre querela di C.G..
Il ricorso del Procuratore Generale distrettuale è giuridicamente fondato.
In vero dalla lettura della sentenza di primo grado emerge con piena chiarezza una oggettiva situazione di disponibilità dell’appartamento condominiale sito in (OMISSIS) (utilizzato dalla famiglia C.G. M. come seconda casa, risiedendo la stessa stabilmente in Cagliari) congiunta (con il marito e i familiari) e disgiunta (in autonomia di accesso e di uso) da parte della querelante C.G.. Una situazione, dunque, di possesso o (più esattamente) compossesso dell’immobile, di cui la Carrara e il marito considerano costituire diretta pertinenza il sottotetto, al cui ingresso hanno collocato una porta munita di lucchetto, che si sostiene – nell’ipotesi di accusa – rimosso indebitamente dall’imputato C.P..
Come rimarcato dal ricorrente P.G., la norma incriminatrice di cui all’art. 392 c.p., non è circoscritta a proteggere il solo titolare di un diritto reale assoluto sulla cosa oggetto di violenza del titolare del preteso configgente diritto, ma anche la posizione di chi si trovi ad esercitare legittimamente una facoltà o prerogative di natura diversa dalla signoria piena o titolarità diretta (proprietà) sulla cosa. La norma è tesa, infatti, a tutelare anche altre situazione giuridiche, meno intense rispetto ai diritti reali ma significative di una diretta relazione con il bene o la cosa, quale per l’appunto ed emblematicamente deve definirsi il possesso.
Situazione pacificamente esistente in capo alla querelante persona offesa C.G. e che neppure l’imputato C.P. mette in dubbio, tant’è che egli – come si legge nella stessa impugnata sentenza di appello – prima di procedere allo "scasso" del lucchetto della porta del sottotetto ha esposto le proprie accese rimostranze alla sola C.G., implicitamente identificandola come contitolare e portatrice (unitamente al marito M. e ai suoi familiari) di un comune interesse ad un uso familiare esclusivo del sottotetto. Di conseguenza occorre ribadire il principio che persona offesa del reato di ragion fattasi con violenza alle cose è – oltre al titolare del diritto di proprietà sulla cosa aggredita – anche chi si trovi ad esercitare sulla stessa un legittimo ius possessionis (sebbene non ne sia proprietario). Principio conforme, del resto, al risalente e stabile indirizzo ermeneutico fissato dalla giurisprudenza di questa S.C. (cfr.: Cass. Sez. 6^, 30.4.1985 n. 8434, Chiacchiera, rv. 170532; Cass. Sez. 6^, 22.10.1985 n. 12481, Battisti, rv. 171452; Cass. Sez. 6^. 24.2.2004 n. 21090, Soddu, rv.
228810).
C.M.G., in qualità di persona offesa del reato ascritto al giudicabile C.P., era – diversamente dall’erroneo assunto dell’impugnata sentenza – ben legittimata a proporre ex art. 120 c.p., la querela tempestivamente proposta nei confronti del C.P..
Alla stregua del principio dianzi affermato la sentenza della Corte di Appello di Cagliari impugnata dal locale Procuratore Generale deve essere annullata con coevo rinvio degli atti, ai fini dello svolgimento del giudizio di appello in relazione agli altri morivi di gravame dell’appellante C.P., ad altra sezione della Corte di Appello sarda, nella specie individuabile nella sezione distaccata di Sassari.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per il giudizio di appello alla sezione distaccata di Sassari della Corte di Appello di Cagliari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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