Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 12-05-2011) 10-06-2011, n. 23445 Costruzioni abusive Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza del 2.10.2007 il Tribunale di Firenze condannava D. R.E., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generi che, alla pena di mesi 4 di arresto ed Euro 11.000,00 di ammenda (pena detentiva interamente condonata e pena pecuniaria fino all’ammontare di Euro 10.000) per il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) (capo a) e D.Lgs. n. 42 del 2004, artt. 146, 159 e 181 (capo b), in relazione alla ricostruzione con ampliamento di volumi, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, di un preesistente annesso agricolo adibito a fienile, unificati detti reati sotto il vincolo della continuazione.

La Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 4.12.2009, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, dichiarava non doversi procedere nei confronti del D.R. in ordine alla contravvenzione di cui al capo b) per intervenuto accertamento di compatibilità ambientale, rideterminando la pena per il rimanente reato in mesi 3, giorni 20 di arresto ed Euro 10.900,00 di ammenda e confermando nel resto. Riteneva la Corte che dalle risultanze processuali emergesse che ci si trovava in presenza di un intervento di nuova costruzione o, quantomeno, di un incremento planovulometrico del manufatto preesistente, per cui sussisteva il reato contestato al capo a).

2) Ricorre per cassazione D.R.E., a mezzo del difensore, denunciando, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 e della L.R. Toscana n. 1 del 2005, artt. 78 e 79, nonchè la erronea valutazione delle risultanze processuali. Emergeva dagli atti, pacificamente, che il manufatto era preesistente, in quanto risalente ai primi anni del secolo scorso;

inoltre le caratteristiche dimensionali del manufatto erano pressochè coincidenti con quelle rilevate al momento del sopralluogo della polizia municipale. Nessuna abusiva modifica era pertanto stata realizzata, essendosi l’imputato limitato a riposizionare le pietre mancanti. Peraltro, contraddittoriamente, la sentenza impugnata, da un lato, sostiene che non è stato possibile ricostruire le caratteristiche originarie dell’immobile e, dall’altro, che vi sarebbe stato un ampliamento dello stesso.

Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 133 c.p. in relazione alla eccessiva entità della pena inflitta.

Con il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 546 c.p.p. per omessa pronuncia sul motivo di appello, con cui si chiedeva applicarsi il beneficio della sospensione della pena in quanto più favorevole rispetto all’indulto concesso in primo grado.

Con memoria dei 20.4.2011 si ribadiscono le precedenti doglianze e richieste e si deduce, come motivo nuovo, la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 533 e 546 c.p.p., la violazione dei criteri probatori e di giudizio stabiliti dalla legge, la illogicità e contraddittorietà della motivazione, non essendo stata indicata con chiarezza la condotta posta in essere dall’imputato e non risultando, comunque, eseguita alcuna modifica della sagoma e del perimetro, nè dimostrato l’asserito ampliamento dei volumi.

3) Il ricorso è manifestamente infondato.

3.1) I giudici di merito, pur riconoscendo la preesistenza di un precedente manufatto, hanno ritenuto, con motivazione congrua ed immune da vizi logici, che l’intervento eseguito abbia determinato la realizzazione di un organismo edilizio completamente diverso.

Già il Tribunale aveva rilevato, sulla base delle emergenze processuali, che, rispetto alla documentazione fotografica del progetto del 1995, il fabbricato risultava completamente modificato, per cui sia la demolizione e la ricostruzione, sia la realizzazione ex novo del piano seminterrato, sia tutte le strutturali modifiche necessitavano di permesso di costruire.

La Corte territoriale, disattendendo i rilievi difensivi, ha, a sua volta, sottolineato, senza alcuna contraddizione, che, pur non essendo possibile stabilire se la struttura fosse in origine costituita da un solo vano o da due vani sovrapposti, risultava assolutamente certo che, in occasione nel sopralluogo del 26 aprile 2005, era stata riscontrata "la presenza di questo ampliamento con due stanzette contrapposte…". Quantomeno, quindi, si era in presenza di un incremento plano volumetrico. Essendo stato realizzato un organismo diverso da quello preesistente, correttamente ha ritenuto la Corte territoriale che fosse necessario permesso di costruire. Con la sentenza n. 1893 del 13.12.2006 questa Corte ha affermato: "In materia edilizia sono realizzabili con denuncia di inizio attività gli interventi di ristrutturazione edilizia di portata minore, ovvero che comportano una semplice modifica dell’ordine in cui sono disposte le diverse parti dell’immobile, e con conservazione della consistenza urbanistica iniziale, classificabili diversamente dagli interventi di ristrutturazione edilizia descritti dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 10, comma 1, lett. c), che portano ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente con aumento delle unità immobiliari o modifiche del volume, sagoma, prospetti o superfici e per i quali è necessario il preventivo permesso di costruire". (conf. Cass. pen. sez. 3 n. 12369 del 25.2.2003). In motivazione si evidenzia che "la stessa attività di ristrutturazione, del resto, pud attuarsi attraverso una serie di interventi che, singolarmente considerati, ben potrebbero ricondursi agli altri tipi dianzi enunciati. L’elemento caratterizzante, però è la connessione finalistica delle opere eseguite, che non devono essere riguardate paratamente ma valutate nel loro complesso al fine di individuare se esse siano o meno rivolte al recupero edilizio dello spazio attraverso la realizzazione di un edificio in tutto o in parte nuovo" e, dopo aver esaminato il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 10, comma 1, lett. c) e art. 22, comma 3, lett. a), conclude che "Dalle disposizioni legislative dianzi ricordate si deduce che sono sempre realizzabili previa mera denunzia di inizio dell’attività le ristrutturazioni edilizie di portata minore: quelle cioè che determinano una semplice modifica dell’ordine in cui sono disposte le diverse parti che compongono la costruzione, in modo che, pur risultando complessivamente innovata, questa conserva la sua iniziale consistenza urbanistica (diverse da quelle descritte nel citato D.P.R., art. 10, comma 1, lett. c) che possono incidere sul carico urbanistico)".

Sul punto l’indagine di legittimità è circoscritta, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato all’accertamento dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula infatti dai poteri della corte quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a base della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e per il ricorrente più adeguata valutazione delle risultanze processuali (Cass. sez. un. n. 06402 del 2.7.1997).

Il ricorrente ripropone le medesime censure, richiedendo una diversa e per lui più favorevole lettura delle risultanze processuali.

3.2) Anche gli altri motivi sono inammissibili, avendo i giudici di merito fatto corretto e motivato uso del potere discrezionale loro riconosciuto nella determinazione della pena.

Nè è esatto, poi, che abbiano omesso di motivare in ordine alla richiesta di concessione del beneficio della sospensione della pena.

A prescindere dalla genericità del motivo di appello (si limitava ad affermare che la pena "dovrebbe essere in ogni caso sospesa condizionatamente, quale beneficio più favorevole al reo rispetto al disposto condono"), la Corte territoriale ha ritenuto di non accogliere la richiesta in quanto in considerazione della piena consapevolezza da parte del prevenuto nel porre in essere la condotta illecita (nonostante la reiezione della richiesta di concessione) e dei precedenti penali (in particolare quello per ricettazione) non era lecito presumere "che il D.R. si asterrà dalla commissione di ulteriori reati". 3.3) Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma che pare congruo determinare in Euro 1.000,00 ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

Va, infine, evidenziato che l’inammissibilità del ricorso preclude la possibilità di dichiarare la prescrizione, maturata successivamente alla emissione della sentenza impugnata.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento alla cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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