Cass. civ. Sez. V, Sent., 11-09-2013, n. 20771 Detrazioni Imposta valore aggiunto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

motivo del ricorso principale e per il rigetto del ricorso incidentale.
Svolgimento del processo

Oggetto del contendere è un avviso di accertamento di imposta sul valore aggiunto per l’anno 1999, col quale si recuperò a tassazione un importo relativo a prestazioni ricevute dalla società contribuente e fornite dalla sua capogruppo non residente, per le quali la società non aveva proceduto ad autofatturazione ed in relazione alle quali, per conseguenza, non era possibile esercitare alcuna detrazione di iva; l’avviso di accertamento contemplava altresì sanzioni ed interessi.

La società impugnò l’avviso, sostenendo che l’omessa autofatturazione era priva d’incidenza sul debito d’imposta, in quanto la trascrizione dei debiti e dei crediti Iva avrebbe comportato un saldo finale nullo, aggiungendo di aver proposto una dichiarazione integrativa a norma della L. n. 289 del 2002.

La commissione tributaria provinciale accolse il ricorso, con sentenza che la commissione tributaria regionale ha confermato, affermando, per un verso, l’inapplicabilità della L. n. 289 del 2002, art. 8, giacchè era stato notificato processo verbale di constatazione con esito positivo e, per altro verso, che comunque l’omissione della contribuente non aveva prodotto alcun danno fiscale.

Ricorre l’Agenzia delle entrate per ottenere la cassazione della sentenza, affidando il ricorso a quattro motivi.

La società replica con controricorso e spiega ricorso incidentale condizionato, affidato ad un motivo; deposita altresì memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

1.- Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, ex art. 335 c.p.c..

2.- Con i primi due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente, perchè strettamente avvinti, l’Agenzia delle entrate lamenta:

– ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli art. 10, paragrafo 1, 17, 18, paragrafo 1, lettera d), e), f), 21 lettera b) della direttiva numero 77/388/CE, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 5, art. 7, comma 4, lett. d), art. 17, comma 3, art. 19, comma 1, art. 21, comma 5, art. 23, comma 2, art. 25, comma 1. L’Agenzia rileva che, in un caso come quello in esame, in cui la contribuente ha ricevuto prestazioni di servizi da un soggetto senza stabile organizzazione in Italia privo di un proprio rappresentante fiscale, gli obblighi IVA relativi alle operazioni da esso compiute in Italia si trasferiscono in capo a chi riceve il servizio, che è tenuto ad emettere autofattura, la quale va annotata sia nel registro vendite, sia in quello degli acquisti.

Formula il seguente quesito di diritto: "dica codesta Suprema Corte se l’omessa fatturazione di servizi ricevuti da non residenti costituisca violazione formale e se sia conforme al diritto ritenere che la suddetta violazione non rechi danno all’erario in quanto comportante un debito verso un Paese straniero" – primo motivo;

– ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il vizio di motivazione apparente, lamentando che l’affermazione della Commissione che fa leva sulla circostanza che la "mancata formalizzazione dei movimenti…sia dovuta ad un disguido e non ad una volontà evasiva e pertanto ampiamente giustificabile" sia del tutto oscura ed incapace di esternare le ragioni della decisione – secondo motivo.

3.- In fatto, è pacifico fra le parti – ed emerge altresì dalla sentenza – che, in relazione all’anno d’imposta 1999, al quale si riferisce l’avviso di accertamento impugnato, la società contribuente non soltanto non avesse provveduto all’autofatturazione richiesta dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 3, (nel testo all’epoca vigente), annotandola nel registro delle vendite, ma non avesse neppure proceduto a contabilizzare il relativo importo nel registro degli acquisti (vedi, al riguardo, pagina 10 del ricorso, che fa riferimento all’inosservanza dei "modi e dei termini" per "l’annotazione nel registro degli acquisti…", pagina 2 del controricorso, in cui si legge che "…gli importi – sono stati – regolarmente contabilizzati nel libro giornale e, in taluni anni (1997 e 1998), anche nei registri IVA…" e, infine, la sentenza, che si riferisce alla "mancata formalizzazione dei movimenti").

3.1.- Secondo la sentenza, "…la mancata autofatturazione non ha comportato alcun danno all’erario, trattasi infatti di servizi resi in uno stato diverso dell’Italia che comportavano un debito IVA verso il paese straniero (Austria) e un credito verso l’Italia".

La società, dal canto suo, pur riconoscendo l’erroneità di quest’affermazione, sostiene che il recupero dell’imposta evasa sull’operazione dovrebbe comunque essere compensato dalla detraibilità del relativo importo; di qui, sostiene, la confezione dell’autofattura e la sua doppia registrazione escludono conseguenze fiscali (vedi, in particolare, pagina 18 del controricorso).

4.- In diritto, va osservato che l’art. 17, n. 2, lett. a), della sesta direttiva Ce, applicabile ratione temporis, stabilisce che "il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall’imposta di cui è debitore: a) l’imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per i beni che gli sono o gli saranno ceduti e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo"; la norma si specchia nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 1, secondo cui "l’imposta è dovuta dai soggetti che effettuano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi imponibili, i quali devono versarla all’erario, cumulativamente per tutte le operazioni effettuate e al netto della detrazione prevista nell’art. 19, nei modi e nei termini stabiliti dal titolo secondo". In particolare, aggiunge l’articolo 19, "il diritto alla detrazione dell’imposta relativa ai beni e servizi acquistati o importati sorge nel momento in cui l’imposta diviene esigibile e può essere esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo".

4.1. – Quanto al versamento cumulativo per tutte le operazioni effettuate, l’articolo 18 della sesta direttiva specifica (n. 2) che "il soggetto passivo opera la deduzione sottraendo dall’importo totale dell’imposta sul valore aggiunto dovuta per un dato periodo fiscale l’ammontare dell’imposta per la quale, nello stesso periodo, è sorto e può essere esercitato in virtù delle disposizioni del paragrafo 1 il diritto a deduzione". Dunque, l’IVA detraibile (relativa alle operazioni passive) è destinata ad essere scomputata dall’I VA assolta dal contribuente (sulle operazioni attive): ove da tale operazione matematica emerga la prevalenza del debito d’IVA sulle operazioni attive, il soggetto dovrà versare all’erario la differenza; viceversa, si configurerà un’eccedenza detraibile, che il contribuente potrà portare a nuovo (e quindi detrarre dall’IVA dovuta sulle operazioni attive realizzate nel periodo successivo a quello di riferimento), ovvero compensare con altri tributi, sussistendone i presupposti.

4.2. – Si consideri, al riguardo, il D.P.R. 23 marzo 1998, n. 100, art. 1, secondo cui "…il contribuente determina la differenza tra l’ammontare complessivo dell’imposta sul valore aggiunto esigibile nel mese precedente, risultante dalle annotazioni eseguite o da eseguire nei registri relativi alle fatture emesse o ai corrispettivi delle operazioni imponibili, e quello dell’imposta, risultante dalle annotazioni eseguite, nei registri relativi ai beni ed ai servizi acquistati, sulla base dei documenti di acquisto di cui è in possesso e per i quali il diritto alla detrazione viene esercitato nello stesso mese ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19. Gli elementi necessari per il calcolo dell’imposta sono indicati in apposita sezione dei registri delle fatture o dei corrispettivi".

4.3. – In definitiva, i soggetti passivi in una qualsiasi fase intermedia di una sequenza di forniture devono normalmente pagare l’Iva (imposta a monte) ai loro fornitori, provvedendo ad addebitare l’Iva (imposta a valle) ai loro clienti.

Essi versano quindi all’amministrazione fiscale l’importo delle imposte a valle, dopo aver detratto l’importo delle imposte a monte.

5. – Nel caso, invece, in cui operi il congegno dell’inversione contabile (altrimenti detto reverse charge), contemplato dall’art. 21, n. 1, lett. b), della sesta direttiva (in virtù del quale l’iva è dovuta, in regime interno, dal destinatario delle prestazioni di servizio ivi previste, se il servizio è prestato da un soggetto passivo stabilito all’estero, che non abbia stabile organizzazione in Italia) e, nell’ordinamento interno, dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 3, nel testo vigente ratione temporis, in mancanza di un rappresentante fiscale a fini Iva nominato dal fornitore o dal cedente estero, gli obblighi relativi alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi rese nel territorio dello Stato da soggetti residenti all’estero a soggetti residenti nello Stato, incombono in capo ai cessionari o ai committenti che acquistino i beni o utilizzino i servizi nell’esercizio di imprese, arti o professioni.

5.1. – La cosiddetta autofatturazione, dunque, mira a propiziare l’assunzione dell’obbligo dell’imposta, al fine di consentire la detrazione del corrispondente importo. In questi casi, l’annotazione sul libro delle fatture emesse vale in luogo del pagamento dell’imposta in dogana; il debito che ne scaturisce è, però, neutralizzato dall’annotazione nel registro degli acquisti, che equivale all’annotazione della bolletta doganale (articoli 44 e 45 del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, convertito con L. 29 ottobre 1993, n. 427).

5.2.-Le registrazioni, dunque, assolvono senz’altro una funzione sostanziale e non meramente formale; e ciò in quanto, annullandosi a vicenda, comportano che non sorga alcun debito nei confronti dell’amministrazione fiscale.

5.3.- Il quadro è completato, per quanto qui d’interesse, dall’art. 22 della direttiva, il cui n. 2, lett. a) stabilisce che ogni soggetto passivo deve tenere una contabilità che sia sufficientemente particolareggiata, così da consentire l’applicazione dell’Iva ed i relativi controlli dell’amministrazione fiscale.

Ed è bene sottolineare che la Corte di giustizia reiteratamente ammonisce che, "affinchè VIVA sia detraibile, le operazioni effettuate a monte devono presentare un nesso diretto e immediato con le operazioni a valle che conferiscono un diritto a detrazione" (tra le più recenti, Corte giust. 21 febbraio 2013, C-I04/12, Wolfram Becker, punto 19; Corte giust. 6 settembre 2012, C-496/11, Portugal Telecom SGPS, punto 36); e ciò in quanto la deduzione dell’imposta che ha gravato i beni e le prestazioni di servizi a monte postula, al fine di evitare una doppia imposizione, che i beni ed i servizi siano impiegati ai fini di operazioni imponibili a valle (Corte giust., 14 settembre 2006, C-72/05, Hausgemeinschaft Jorg und Stefanie Wollny, punto 20).

Ed il nesso diretto ed immediato può essere rilevato, nel caso dell’inversione contabile, soltanto se le rispettive operazioni siano adeguatamente registrate.

5.4.- La necessaria previa assunzione dell’obbligo d’imposta è espressione della neutralità dell’Iva, giacchè la detrazione non può che far riferimento all’imposta assolta o comunque dovuta (vedi, esattamente in termini, Cass., sez.un., 27 dicembre 2010, n. 26126, secondo cui "il sistema della detrazione, che deve assicurare la neutralità dell’imposta, presuppone che l’importo dovuto costituisca oggetto di un debito d’imposta…"; conforme, da ultimo, sulla rilevanza e l’ineludibilità degli obblighi sostanziali, Cass. 20 marzo 2013, n. 6925).

5.5. – Funzionale alla regolarità del sistema è, quindi, la combinazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 23, che impone l’obbligo di annotazione delle fatture emesse in un apposito registro e dell’art. 25, comma 1, del medesimo decreto, il quale prescrive l’obbligo di numerare in ordine progressivo le fatture e le bollette doganali relative ai beni o ai servizi acquistati o importati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione, comprese quelle emesse a norma dell’art. 17, comma 3, del suddetto decreto e di annotarle in un registro anteriormente alla liquidazione periodica ovvero alla dichiarazione annuale, nella quale è esercitato il diritto alla detrazione dell’iva relativa ad esse.

Allora: la detrazione postula la fattura con addebito dell’imposta e la sua annotazione nel registro degli acquisti.

5.6. – L’autofattura è, peraltro, in questo caso, mero strumento di regolarizzazione, dovuto alla circostanza che le prestazioni ed i beni provengono da soggetto estero: hanno chiarito sul punto le sezioni unite che "l’estensione all’autofattura, e all’imposta ivi indicata e pagata all’erario, del regime della detrazione è una mera conseguenza dell’avvenuta regolarizzazione, mentre non può avvenire nella fase in cui esiste soltanto l’obbligazione di pagare una somma pari all’imposta dovuta" (Cass., sez. un., 26126/10).

5.7. – Nell’ipotesi in cui ricorrano i presupposti del reverse charge, soltanto il sistema delle due annotazioni consente l’assunzione del debito avente ad oggetto l’Iva a monte e la successiva detrazione di questa dall’Iva a valle.

Nel nostro caso, invece, la contribuente, avendo omesso le due annotazioni, non si è dichiarata debitrice dell’Iva a monte; per conseguenza, non si è verificato il presupposto d’insorgenza del diritto di detrazione dall’Iva a valle.

5.8. – In definitiva, la violazione degli obblighi di registrazione ha senz’altro, per conseguenza, natura sostanziale. Perchè si configuri violazione formale non punibile, come emerge anche dal testo della sentenza Ecotrade della Corte di giustizia, di seguito illustrato, è difatti necessario che essa, per un verso, non arrechi pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e, per altro verso, non incida sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo (nozione, questa, che traspare già da Cass. 8 maggio 2008 e da Cass. 16 febbraio 2001, n. 2315 e che è stata poi recepita dal diritto positivo con il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 5 bis, sul quale vedi Cass. 8 marzo 2013, n. 5897), là dove, nel nostro caso, la violazione in questione, per un verso, incide sul versamento del tributo e, per l’altro, ostacola l’azione di accertamento dell’ufficio.

6. – Non è, poi, utilmente invocabile per la società il principio stabilito dalla Corte di giustizia con la sentenza Ecotrade (Corte giust. 8 maggio 2008, cause riunite C-95/07 e C-96/07).

6.1. – In quell’occasione, come emerge nitidamente dai punti 1 e 2 delle conclusioni dell’avvocato Sharpston presentate il 13 marzo 2008, la Corte aveva riguardo ad una società, con sede in (OMISSIS), che aveva beneficiato di servizi di trasporto marittimo compiuti da operatori stabiliti altrove, i quali non avevano applicato l’Iva nelle loro fatture. La società aveva erroneamente ritenuto che tali servizi fossero esenti e, quindi, non li aveva inclusi nella propria contabilità Iva, ma, pur omettendo di dichiarare e di detrarre l’imposta a monte, aveva comunque integralmente versato quella a valle: in quella fattispecie, dunque, per un verso, la circostanza che le operazioni fossero state trattate come esenti ha effettivamente consentito di ascrivere una rilevanza meramente formale all’omissione dell’autofatturazione ed alla sua omessa registrazione nel registro delle vendite, in considerazione dell’avvenuto integrale versamento dell’imposta a valle; per altro verso, l’avvenuta registrazione delle operazioni reputate esenti nel registro acquisti ha consentito all’amministrazione fiscale di svolgere le proprie attività di controllo (punto 64 della sentenza).

6.2. – La Corte ha, allora, coerentemente precisato che, nel caso di reverse charge, l’inosservanza, da parte del contribuente, delle formalità prescritte dalla normativa nazionale, ossia dell’obbligo di emettere autofattura, non può privarlo, "in linea di principio", del suo diritto alla detrazione, purchè, però, gli obblighi sostanziali siano stati soddisfatti, in osservanza del principio di neutralità fiscale (in termini, nella giurisprudenza interna, anche Cass. 5 maggio 2010, n. 10819 e le sentenze coeve di questa Corte numeri 8038 e 8039 del 3 aprile 2013, che, pure, sposano un’impostazione almeno in parte diversa da quella qui accolta nonchè Cass. 25 novembre 2011, n. 24912, che ha riconosciuto il diritto al rimborso ad una società cooperativa che aveva emesso in unica copia autofatture per conto dei produttori agricoli conferenti, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34, e le aveva registrate, ma non conservate).

6.3. – La Corte di giustizia ha successivamente ribadito questi principi: in questa direzione si collocano le sentenze 21 ottobre 2010, causa C-3 85/09, Nidera, Handelscompagnie BV (punto 42); 30 settembre 2010, causa C-392/09, Uszodaepito, punto 39, da cui emerge che la contribuente aveva assolto l’obbligo di versamento del tributo; 12 luglio 2012, causa C-284/2011, Ems Bulgaria Transport, la quale ha ribadito (punto 62) che "il principio fondamentale di neutralità dell’IVA esige che la detrazione a monte di quest’ultima sia accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche se taluni obblighi formali siano stati omessi dai soggetti passivi. Una volta che l’amministrazione fiscale dispone delle informazioni necessarie per dimostrare che il soggetto passivo, in quanto destinatario della prestazione di servizi di cui trattasi, è debitore dell’IVA, essa non può imporre, riguardo al diritto di quest’ultimo di detrarre tale imposta, condizioni supplementari che possono avere l’effetto di vanificare l’esercizio dello stesso" nonchè 22 dicembre 2010 nella causa C-438/09, Dankowski, anch’essa relativa ad un caso in cui la contribuente aveva regolarmente assolto l’obbligo di pagamento.

6.4. – Risponde ad analoga ratio, da ultimo, su un piano più generale, il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 2, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 aprile 2012, n. 44, rubricato "comunicazioni e adempimenti formali", secondo cui "la fruizione di benefici di natura fiscale o l’accesso a regimi fiscali opzionali, subordinati all’obbligo di preventiva comunicazione ovvero ad altro adempimento di natura formale non tempestivamente eseguiti, non è preclusa, sempre che la violazione non sia stata constatata o non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore dell’inadempimento abbia avuto formale conoscenza, laddove il contribuente: a) abbia i requisiti sostanziali richiesti dalle norme di riferimento……".

7. – E’ erronea e fuorviante, allora, la prospettazione della sentenza che esclude il danno all’erario, trattandosi "di servizi resi in uno stato diverso dall’Italia che comportavano un debito IVA verso il paese straniero (Austria) e un credito verso l’Italia".

7.1. – Contrariamente a quanto sostenuto, il danno per l’erario è in re ipsa: nel nostro caso, non essendo l’Iva detraibile, per l’omessa assunzione del debito d’imposta corrispondente e per le considerazioni che seguono, rimane l’evasione dell’imposta che grava sulla prestazione di servizi ed incombe, nel caso d’inversione contabile, sul committente o sul cessionario.

7.2. – Il diritto di detrazione, anche se esistente, va comunque esercitato entro la cornice di un periodo fiscale, ossia, secondo quanto stabilito dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, "…al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto…".

7.3.- La Corte di giustizia ha al riguardo precisato che "ai fini della deduzione prevista dall’art. 17, n. 2, lett. a), della sesta direttiva, l’art. 18, n. 2 della direttiva stessa deve essere interpretato nel senso che il diritto alla deduzione deve essere esercitato con riguardo al periodo d’imposta nel corso del quale ricorrono i due requisiti prescritti da tale disposizione, vale a dire che la cessione dei beni o la prestazione di servizi abbiano avuto luogo e che il soggetto d’imposta sia in possesso della fattura o del documento che possa considerarsi equivalente secondo i criteri fissati nello Stato membro" (Corte giust. 29 aprile 2004, C-152/02, Terra Bauedarf, punto 38).

7.4.- Per altro verso, la Corte ha sottolineato che "la possibilità di esercitare il diritto di detrazione senza limiti di tempo contrasterebbe col principio della certezza del diritto, il quale esige che la situazione fiscale del soggetto passivo, con riferimento ai diritti ed agli obblighi dello stesso nei confronti dell’amministrazione fiscale, non possa essere indefinitamente rimessa in discussione" (Corte giust. 12 luglio 2012, C-284/11, EMS- Bulgaria OOD, punto 48 e Corte giust., sentenza Ecotrade, punto 44).

7.5.- E, anzi, la stessa sentenza Ecotrade ha rimarcato che "un termine di decadenza la cui scadenza porti a sanzionare il contribuente non sufficientemente diligente, il quale abbia omesso di richiedere la detrazione dell’IVA a monte, privandolo del diritto di detrazione, non può essere considerato incompatibile col regime della sesta direttiva", purchè siano rispettati il principio di equivalenza e quello di effettività (punto 46). In particolare, ha proseguito la Corte, non si è mai dubitato dell’osservanza del principio di equivalenza, là dove quello di effettività è rispettato dalla previsione del termine biennale di esercizio del diritto di detrazione stabilito dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, (punto 48).

7.6. – Ne consegue che, nel nostro caso, non essendo stato esercitato, nè potendo più essere esercitato il diritto di detrazione dell’iva a monte da quella a valle, è destinata a rimanere ferma la pretesa fiscale volta a recuperare l’imposta a monte evasa.

8. – Col terzo e col quarto motivo, da esaminare congiuntamente, perchè strettamente avvinti, l’Agenzia delle entrate lamenta poi, in entrambi i casi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3:

– la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 17, 23 e 25, e dell’art. 18, lett. d) della sesta direttiva Iva, formulando il seguente quesito di diritto: "dica codesta Suprema Corte se viola il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 1, così come modificato dal D.Lgs. n. 203 del 1998, ritenere non dovuta la sanzione dallo stesso prevista in forza di una non piena conoscenza della disciplina sanzionatoria vigente nel 1999, atteso che l’inadempimento dell’obbligo di autofatturazione era sanzionato fin dagli anni 70" – terzo motivo;

– la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 1, e art. 5, comma 4, formulando il seguente quesito di diritto: "dica codesta Suprema Corte se viola il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5, comma 4, art. 6, comma 1, ritenere che all’omessa fatturazione per prestazioni ricevute da non residenti non consegua l’irrogazione di alcuna sanzione" – quarto motivo.

8.1. – Le considerazioni che precedono evidenziano con immediatezza la legittimità dell’irrogazione della sanzione a norma del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 1.

Sanzione, che non è nuova nel panorama legislativo concernente gli obblighi in tema di iva: si consideri ancora la pronuncia già richiamata delle sezioni unite di questa Corte (Cass., sez. un., 27 dicembre 2010, n. 26126), che, tra l’altro, ha esaminato i rapporti tra la norma in esame e l’abrogato D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 41, comma 6, riconoscendo a quest’ultima norma appunto natura sanzionatoria e sottolineando che le sanzioni rendono più rigorosa l’osservanza dell’applicazione dell’iva.

8.2. – Le sezioni unite hanno rimarcato che la disciplina comunitaria non contiene alcuna indicazione in materia di sanzioni, la cui istituzione e regolamentazione è, quindi, rimessa agli Stati membri.

Un interesse comunitario in materia sussiste soltanto in relazione all’osservanza di principi generali dell’ordinamento comunitario, come quello di effettività contenuto nell’art. 10 del Trattato CE, all’epoca vigente, in quanto le sanzioni rendono più rigorosa l’osservanza dell’applicazione dell’i.v.a.; o quello di proporzionalità, per cui è, ad esempio, interdetto un trattamento sanzionatorio in tema di i.v.a. all’importazione sproporzionato rispetto all’i.v.a. interna sugli scambi (sentenza della Corte di giustizia in causa C-299/86, punti 22 e 23). Nel quadro dei principi generali e delle libertà fondamentali dell’ordinamento comunitario, pertanto, agli Stati membri è consentito servirsi delle sanzioni allo scopo di rendere più efficace la riscossione dell’i.v.a..

8.3. – E sempre le sezioni- unite, con la sentenza dinanzi indicata, hanno escluso, così fornendo utili elementi per la soluzione del dubbio di compatibilità comunitaria avanzato in memoria dalla società, che l’obbligo di pagamento di una sanzione pecuniaria dello stesso importo dell’imposta dovuta costituisca un mezzo sproporzionato, osservando al riguardo che un tale obbligo appare "…manifestamente finalizzato ad assicurare, da parte dello Stato membro, l’esatta riscossione dell’i.v.a., tanto più che il soggetto obbligato può conseguire la detrazione dell’importo attraverso le modalità di regolarizzazione previste dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 41 e del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 8, le quali comportano, come previsto dagli stessi articoli, l’obbligo della registrazione del documento sostitutivo della fattura non trasmessa e, quindi, l’applicazione dell’intero regime previsto per la fattura, ivi compreso quello della detrazione" (in termini, da ultimo sulla legittimità della sanzione, vedi Cass. 3 aprile 2013, n. 8038 e 8039).

8.4.- Nè può essere utilmente invocata la novella apportata dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 155, il quale ha introdotto nel D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, il comma 9 bis, che, tra l’altro, prevede una sanzione meno grave "qualora l’imposta sia stata assolta, ancorchè irregolarmente, dal cessionario o committente ovvero dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto alla detrazione ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, e successive modificazioni…".

Difatti, indipendentemente dalla questione concernente l’applicabilità nel tempo della novella (il sostituto procuratore generale ha fatto al riguardo leva, nel corso della discussione orale, sul nucleo della norma che calibra l’importo della sanzione irrogabile, in questo caso fissando ad essa un tetto massimo, "…per le irregolarità commesse nei primi tre anni di applicazione delle disposizioni del presente periodo"), tale sanzione più favorevole non sarebbe comunque applicabile alla fattispecie, in cui non si discorre di imposta assolta, ancorchè irregolarmente, bensì di violazione degli obblighi sostanziali inerenti all’assunzione del debito d’imposta mediante il meccanismo dell’inversione contabile;

violazione, tra l’altro, come si è dinanzi evidenziato, ostativa all’esercizio dei poteri di controllo da parte dell’amministrazione finanziaria.

9. – Col ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la società ha denunciato la violazione della L. n. 289 del 2002, art. 8, comma 10, dell’articolo 10 della legge numero 212 del 2000 e del principio dell’affidamento. Si duole, in particolare, della statuizione della sentenza impugnata che ha escluso l’applicabilità del condono a fronte della dichiarazione integrativa presentata, sebbene la violazione riscontrata abbia natura meramente formale. Richiama sul punto una circolare dell’Agenzia delle entrate, la quale avrebbe assicurato ai contribuenti che la presentazione di una dichiarazione integrativa avrebbe comportato la definizione di rilievi meramente formali.

9.1. – Le considerazioni che precedono escludono che la violazione concretatasi nell’omissione dell’autofatturazione si riduca ad una mera violazione formale, in quanto, come si è visto, la società, omettendo di assumere il corrispondente debito d’imposta, non ha osservato gli obblighi sostanziali, destinati ad incidere sull’insorgenza del diritto di detrazione.

9.2. – A tanto va aggiunto che questa Corte, in tema di condono, finanche in relazione ad un’operazione non imponibile intercorsa con la capogruppo estera, ha rimarcato che "poichè gli adempimenti di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 17, comma 3, e art. 25, comma 4, sono correlati al procedimento di determinazione del reddito di impresa, consentendo di procedere all’accertamento dello stesso, tale violazione, neutrale ai fini dell’iva, attesa la non imponibilità delle predette operazioni, interrompe il meccanismo di applicazione delle imposte sul reddito, e pertanto non ha carattere meramente formale, bensì sostanziale" (Cass. 12 marzo 2007, n. 5712).

10.- Ne discendono l’accoglimento del ricorso principale ed il rigetto di quello incidentale.

La sentenza impugnata va in conseguenza cassata e, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, il giudizio va deciso nel merito, con il rigetto dell’impugnazione originariamente proposta dalla contribuente, previa affermazione del seguente principio di diritto:

"L’omessa registrazione e fatturazione, da parte della committente, delle prestazioni di servizi ricevute da soggetto straniero privo di stabile organizzazione in Italia che non abbia ivi nominato un proprio rappresentante fiscale integra violazione di obblighi sostanziali, consentendo il recupero dell’imposta evasa, che non può essere compensata, ex post, in virtù di esercizio del diritto di detrazione".

La relativa novità della questione comporta la compensazione delle spese inerenti alle fasi di merito.

Le spese concernenti questa fase seguono, invece, la soccombenza, giusta la liquidazione in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte:

– dispone la riunione del ricorso principale e di quello incidentale;

– accoglie il ricorso principale;

– rigetta il ricorso incidentale;

– cassa la sentenza impugnata;

– decidendo nel merito, respinge l’impugnazione originariamente proposta dalla società contribuente;

– compensa le spese inerenti alle fasi di merito;

– condanna la società al pagamento delle spese inerenti a questa fase, liquidate in Euro 12.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 9 aprile 2013.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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