Cass. civ. Sez. V, Sent., 11-09-2013, n. 20769

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza n. 75/30/08, depositata il 29.9.08, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia rigettava l’appello principale proposto dall’associazione professionale Pavia e Ansaldo – Studio Legale, con sede in (OMISSIS), e accoglieva l’appello incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Milano (OMISSIS) avverso la decisione di primo grado, emessa dalla CTP di Milano. Tale decisione aveva, invero, parzialmente accolto il ricorso proposto dalla contribuente nei confronti dell’avviso di accertamento, emesso dall’Amministrazione finanziaria ai fini IVA per l’anno di imposta 2000, annullando le sanzioni per omessa fatturazione di operazioni esenti e confermando, nel resto, l’atto impositivo.

2. La CTR – riformando la decisione di primo grado solo sul punto relativo alle sanzioni, in accoglimento del gravame incidentale dell’Ufficio – riteneva, invero, che l’avviso di accertamento fosse legittimo in relazione a tutte e tre le contestazioni mosse dall’Agenzia delle Entrate alla contribuente, e relative ad omesse fatturazioni di operazioni imponibili, indebita detrazione di IVA, ed omessa fatturazione di un’operazione esente, poste in essere dallo studio legale Pavia ed Ansaldo nell’anno in contestazione.

3. Per la cassazione della sentenza n. 75/30/08 ha proposto ricorso l’associazione professionale Pavia ed Ansaldo Studio Legale, affidato a sei motivi, ai quali l’Agenzia delle Entrate ha replicato con controricorso.
Motivi della decisione

1. In data 27.12.05, veniva notificato all’associazione professionale Pavia e Ansaldo – Studio Legale, con sede in (OMISSIS), avviso di accertamento ai fini IVA per l’anno 2000, con il quale L’Ufficio sulla base di un processo verbale di constatazione formato in data 14.12.05 – contestava alla contribuente le seguenti violazioni:

a) omessa fatturazione di operazioni imponibili IVA, per prestazioni di consulenza, fatturate ad alcune società italiane dallo studio statunitense BBLP – Pavia e Ansaldo di New York, che l’Ufficio riteneva, invece, si sarebbero dovute fatturare a dette società da parte dello studio Pavia e Ansaldo di (OMISSIS);

b) indebita detrazione IVA su autofattura emessa dal predetto studio legale, ritenendo l’Amministrazione che il documento contenesse una descrizione troppo generica dell’operazione, e che non fosse accompagnato da documentazione idonea a dimostrare l’inerenza della stessa all’attività dello studio;

c) omessa fatturazione di un’operazione esente da IVA, consistente nella restituzione allo studio Pavia ed Ansaldo di un capitale di dollari USA 200.000, che lo studio legale italiano aveva dato in prestito a quello americano (BBPL – Pavia e Ansaldo di New York), violazione che, trattandosi di operazione esente, avrebbe dato luogo solo ad applicazione di una sanzione per violazione formale, senza recupero alcuno di imposta.

1.1. L’atto impositivo veniva impugnato dall’associazione professionale dinanzi alla CTP di Milano, che respingeva tutti i motivi di ricorso, confermando l’avviso di accertamento dell’Ufficio, fatta eccezione per il profilo concernente l’omessa fatturazione di operazione esente, in relazione alla predetta restituzione del mutuo erogato dallo studio Pavia e Ansaldo di Milano allo studio americano BBPL di New York.

1.2. Avverso la pronuncia di prime cure proponeva, quindi, appello principale il contribuente, per le statuizioni a lui sfavorevoli in ordine alle riprese a tassazione concernenti le altre violazioni ascrittegli dall’Ufficio, nonchè appello incidentale l’Amministrazione finanziaria, in punto sanzione per omessa fatturazione di operazione esente. La CTR della Lombardia respingeva l’appello principale dello studio Pavia e Ansaldo, accogliendo, invece, l’appello incidentale dell’Ufficio, con sentenza n. 75/30/08, che il contribuente ha gravato di ricorso per cassazione sulla base di sei censure.

2. Con i primi tre motivi di ricorso – che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente – lo studio legale Pavia e Ansaldo denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, e L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

2.1. Avrebbe, invero, errato la CTR nel ritenere che l’avviso di accertamento notificato (in data 27.12.05) prima del decorso del termine di sessanta giorni dalla chiusura della verifica (14.12.05), in violazione del disposto di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, non fosse annullabile, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, comma 1. Ed invero, a parere del ricorrente, anche la violazione del suddetto art. 12, comma 7 cit., al pari di qualsiasi altra violazione di legge, sarebbe idonea a determinare l’annullabilità del provvedimento amministrativo (nella specie, l’avviso di accertamento).

2.2. Nè, d’altra parte, sarebbe applicabile nella specie, ad avviso dello studio Pavia e Ansaldo, la "sanatoria" prevista dal co. 2 del menzionato L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, secondo cui, in caso di atti vincolati, la violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti non determinerebbe l’annullabilità del provvedimento, laddove la natura vincolata dell’atto rendesse palese che il suo contenuto non poteva essere diverso da quello in concreto adottato.

Ed invero, anche a voler considerare l’avviso di accertamento atto vincolato, l’applicabilità della predetta "sanatoria" sarebbe esclusa, in primo luogo, perchè incompatibile con il diritto di origine comunitaria (enunciato da C. Giust. CE, 18.12.08, C-349/07), ma recepito anche a livello nazionale dal succitato art. 12, comma 7 dello Statuto del contribuente, ad un effettivo contraddittorio procedimentale antecedente all’emissione a carico del contribuente di un atto impositivo. In secondo luogo, la disposizione da ultimo menzionata non integrerebbe, ad avviso del contribuente, una norma sul procedimento, nè – tanto meno – una disposizione sulla forma degli atti, bensì una norma sull’attribuzione del potere, la cui violazione determinerebbe carenza di potere in concreto (non in astratto, vizio più radicale che da luogo a nullità), da cui conseguirebbe l’annullabilità non sanabile dell’atto impositivo.

2.3. Inoltre, a parere del contribuente, avrebbe errato la CTR nel ritenere – peraltro con motivazione del tutto incongrua – che il semplice fatto, enunciato nella motivazione dell’avviso di accertamento, che in data 31.12.05 sarebbe spirato il termine utile per la notifica dell’avviso di accertamento, potesse integrare un caso "di particolare e motivata urgenza", tale da consentire di giustificare il mancato rispetto del termine di sessanta giorni previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7. Siffatte evenienze di particolare urgenza sarebbero, invero, ravvisabili – secondo il ricorrente – solo in quei fatti che siano del tutto indipendenti dalla volontà, o comunque dall’organizzazione dell’attività dello stesso Ufficio impositore.

2.4. Le censure suesposte sono infondate.

2.4.1. In ordine alle conseguenze del mancato rispetto del termine di sessanta giorni dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni ispettive, per la notifica al medesimo dell’avviso di accertamento, la giurisprudenza di questa Corte si è andata – per vero – per lo più orientando nel senso della lettura costituzionalmente orientata della norma, suggerita da C. Cost. ord. n. 244/09. In particolare, si è affermato che l’atto impositivo, notificato prima del decorso di detto termine, debba considerarsi affetto da nullità – in forza del combinato disposto della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, L. n. 241 del 1990, artt. 3 e 21 septies, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 5, con specifico riferimento all’IVA, in rilievo nel caso in esame (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 2 e 3, in tema di imposte dirette) – salvo che si sia in presenza di uno dei "casi di particolare e motivata urgenza", che – a tenore della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, – giustificano l’emissione dell’avviso di accertamento prima dello spirare del termine suindicato.

2.4.2. E tuttavia, mentre un indirizzo più rigoroso si è espresso, al riguardo, nel senso che l’atto impositivo debba contenere la motivazione sull’eventuale urgenza che ne abbia determinato l’adozione prima dello scadere del termine suddetto (Cass. 22320/10, 16999/12), altro indirizzo ha, invece, ritenuto che l’esonero dal rispetto dei sessanta giorni L. n. 212 del 2000, ex art. 12, comma 7, operi in presenza del requisito dell’urgenza dell’emissione dell’atto, anche se in questo non sia enunciato il fatto determinativo dell’urgenza stessa, giacchè ai sensi dell’art. 7 della legge cit., l’obbligo di motivazione si riferisce esclusivamente alle ragioni della pretesa tributaria, ma non anche ai tempi di emanazione dei provvedimenti impositivi o alle regole procedimentali (Cass. 11944/12).

La questione è stata rimessa, pertanto, con l’ordinanza n. 7318/12 di questa sezione, alle Sezioni Unite, perchè vogliano provvedere – ai sensi dell’art. 374 c.p.c. – a dirimere il contrasto di giurisprudenza, manifestatosi nella sezione tributaria, circa le conseguenze da ascrivere alla violazione summenzionata.

2.4.3. Nondimeno, con riferimento al caso concreto, la Corte non ritiene si profili la necessità di sospendere il presente giudizio, in attesa del deposito della pronuncia delle Sezioni Unite sulla questione controversa.

Ed invero, è del tutto pacifico in causa – avendone dato atto lo stesso studio legale ricorrente nel ricorso per cassazione, nel quale ha trascritto in parte qua l’atto impositivo – che l’avviso di accertamento emesso dall’Amministrazione indicava espressamente la ragione di urgenza che aveva indotto l’Ufficio a non rispettare il termine di sessanta giorni L. n. 212 del 2000, ex art. 12, co.. Tale ragione veniva, difatti, chiaramente evidenziata dall’Agenzia delle Entrate con riferimento all’imminente scadenza del termine di decadenza per l’accertamento in rettifica della dichiarazione IVA, per l’anno di imposta 2000, scadenza che si sarebbe verificata, infatti, il 31.12.05. Sicchè, la notifica dell’avviso di accertamento in data 27.12.05 – ossia prima dello spirare del termine di sessanta giorni dalla chiusura della verifica, avvenuta il 14.12.05 – era stata giustificata dall’Ufficio con l’esigenza di evitare la decadenza dal potere di accertare eventuali violazioni da parte del contribuente, con conseguente recupero a tassazione dell’imposta, in ipotesi, evasa, oltre alle sanzioni eventualmente applicabili. E non può revocarsi in dubbio che siffatta ratio di evitare la decadenza dal potere impositivo in parola – in quanto si iscrive nell’esigenza di carattere pubblicistico, connessa all’efficiente esercizio della potestà amministrativa nel fondamentale settore delle entrate tributarie (art. 97 Cost.), positivamente e congruamente vagliata, nella specie, dalla CTR – ben può giustificare la notifica dell’avviso di accertamento prima del decorso del predetto termine di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 1 (Cass. 11944/12).

2.4.4. Nè è da ritenersi condivisibile l’assunto dello studio Pavia e Ansaldo, secondo cui la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, costituirebbe una fonte "rafforzata" dall’essere direttamente riconducibile agli artt. 3, 23, e 53 Cost.. Le norme dello Statuto del contribuente infatti, come questa Corte ha più volte chiarito, non hanno rango superiore alla legge ordinaria e, pertanto, non possono consentire la disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con le stesse (v. Cass. 8254/09, 8145/11). Di conseguenza, non potrebbero le suindicate esigenze pubblicistiche, fondate queste ultime su principi di rango costituzionale desumibili dall’art. 97 Cost., essere pretermesse o posposte, ritenendosi cogente il rispetto dell’intero spatium deliberandi suindicato (previsto dallo Statuto del contribuente), pur quando il termine di decadenza del potere impositivo, diretto a garantire il rispetto di dette finalità, sia prossimo alla scadenza.

2.4.5. E neppure conseguenza alcuna in suo favore potrebbe trarre il contribuente dai principi di rango comunitari, enunciati da C. Giust.

CE, 18.12.08, C- 349/07, posto che tale decisione, nel demandare alla discrezionalità dei giudici degli Stati membri di stabilire la congruità, o meno, dei termini per le osservazioni dei contribuenti e per le successive decisioni dell’Amministrazione previsti dai diritti nazionali, ha ritenuto comunque congruo e "conforme alle prescrizioni del diritto comunitario" un termine da otto a quindici giorni (nella specie ne sono decorsi tredici) concesso al contribuente per presentare le proprie osservazioni.

2.5. Per tutte le ragioni esposte, pertanto, le censure in esame non possono che essere disattese. 3. Con il quarto motivo di ricorso, lo studio Pavia e Ansaldo denuncia l’insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

3.1. Osserva il contribuente che, in relazione al rilievo dell’omessa fatturazione di operazioni imponibili IVA, la CTR avrebbe ritenuto fondato l’assunto dell’Ufficio, secondo il quale una serie di prestazioni professionali, fatturate dallo studio americano BBLP di New York a società italiane (Parmalat, Eurolat, Coloniale, Gallo, Credito Emiliano, Hit, Azuritalia, Motovario), avrebbero dovuto essere fatturate a dette società dallo studio Pavia e Ansaldo di Milano, in quanto clienti dello studio italiano, e non di quello statunitense. Al riguardo, il giudice di appello avrebbe, invero, tenuto conto solo delle procure alle liti e dei correlativi atti giudiziari, che avevano riguardato – tra l’altro – solo una parte dei clienti italiani, mentre con riferimento alle pratiche non giudiziarie, e per quelle per le quali non sarebbe stata conferita procura alcuna, il convincimento della CTR non sarebbe fondato su documentazione adeguata.

Di più, la CTR non avrebbe correttamente interpretato gli atti difensivi del contribuente nel giudizio di appello, dai quali non si sarebbe dovuto desumere – contrariamente a quanto argomentato dal giudice di appello – elemento alcuno di convincimento circa il preteso conferimento di un mandato professionale allo studio di Milano da parte delle predette società.

3.2. Il motivo è inammissibile.

3.2.1. Secondo il costante insegnamento di questa Corte, infatti, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte.

Ed infatti, la norma succitata non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (tra le tante, v. Cass. 6288/11, 27197/11).

3.2.2. Nel caso concreto, la censura in esame investe, per contro, la Corte di un sindacato circa la scelta del materiale probatorio cui il giudice di merito avrebbe dovuto attingere per la decisione ed in ordine alla sua attendibilità e concludenza, nonchè in relazione alla valu-tazione operata da detto giudice degli atti difensivi del giudizio di seconde cure; accertamenti questi che non possono costituire in alcun modo oggetto del giudizio di legittimità, alla stregua dei principi suesposti.

3.3. La censura in esame va, pertanto, rigettata.

4. Analoghe considerazioni valgono, peraltro, anche per il quinto motivo di ricorso, con il quale lo studio legale Pavia e Ansaldo denuncia l’omessa motivazione circa un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

4.1. Si duole, infatti, il ricorrente del fatto che la CTR abbia ritenuto fondato l’addebito dell’Amministrazione relativo all’indebita detrazione IVA su autofattura emessa dal predetto studio legale, per prestazioni professionali ricevute dallo studio americano Pavia & Harcourt di New York, avendo ritenuto il giudice di appello che il documento contenesse una descrizione troppo generica dell’operazione, non indicando minimamente quali fossero le prestazioni rese dallo studio americano, e che esso non fosse accompagnato da documentazione idonea a dimostrare l’inerenza della stessa all’attività dello studio.

Di contro, a parere del contribuente, la CTR avrebbe dovuto tenere conto del contratto di collaborazione tra i due studi, l’italiano e l’americano, dal quale si sarebbe potuto desumere – a suo dire – il rapporto giuridico che avrebbe originato detta autofattura, dovendo considerarsi "evidente che, per uno studio a vocazione internazionale, come lo studio Pavia e Ansaldo, un rapporto continuativo di collaborazione (…), con un affine studio americano, appare non solo opportuno, ma addirittura necessario".

4.2. Il motivo è inammissibile.

4.2.1. In forza dei principi suesposti, invero, non può la Corte sindacare il mancato riferimento, da parte della CTR, a detto documento nella motivazione dell’impugnata sentenza, non potendo da esso – per quanto possibile dedurre dalla parte trascritta nel ricorso – trarre elementi decisivi per la risoluzione della controversia. Trattasi, infatti, di un ampio e generale programma di cooperazione e assistenza reciproca tra lo studio italiano e quello americano, dal quale non è possibile, quindi, dedurre alcunchè in ordine all’effettiva e concreta individuazione delle specifiche prestazioni oggetto della fattura in questione, ed alla loro eventuale inerenza all’attività dello studio italiano.

E – come dianzi detto – alla Corte non è possibile sindacare, per ragioni intrinseche ai limiti del giudizi di legittimità, l’individuazione delle fonti del proprio convincimento da parte del giudice di merito, e la loro graduazione ai fini probatori, laddove non sia riscontrabile dagli atti l’omesso esame di elementi probatori o di punti decisivi della controversia.

4.2.2. Per tali ragioni, dunque, anche la censura in parola non può che essere rigettata.

5. Con il sesto motivo il ricorso, lo studio Pavia e Ansaldo denuncia, infine, la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 2, art. 10, comma 1, n. 1, e art. 13, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

5.1. Il ricorrente deduce, invero, l’erroneità dell’assunto della CTR, secondo la quale sarebbe fondato il terzo rilievo mosso dall’Ufficio al contribuente, relativamente alla pretesa omessa fatturazione di un’ operazione esente da IVA, consistente nella restituzione allo studio Pavia ed Ansaldo di un capitale di dollari USA 200.000, che lo studio legale italiano aveva dato in prestito a quello americano (BBPL – Pavia e Ansaldo di New York). A tale conclusione – considerata erronea dal contribuente -la CTR sarebbe, difatti, pervenuta considerando che si verserebbe, nella specie, in ipotesi di "prestito di denaro" che, in quanto tale, sarebbe soggetto all’obbligo di fatturazione, anche se costituente operazione esente D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 10, in quanto prestazione di servizi, ai sensi dell’art. 3, comma 2, n. 3 del decreto cit.

La CTR non avrebbe, di contro, considerato che – a tenore del combinato disposto delle norme succitate – l’esenzione in parola, ed il connesso obbligo di fatturazione, riguarderebbero solo il corrispettivo del finanziamento, e non l’erogazione dei denaro in sè, o la sua restituzione, ipotesi, quest’ultima, che viene in considerazione nel caso di specie.

5.2. Il motivo è fondato.

5.2.1. Va osservato, infatti, che – a norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 2, costituiscono prestazioni di servizi – oltre alle prestazioni effettuate dietro corrispettivo in dipendenza di una serie di contratti, per lo più aventi ad oggetto un facere – anche, ma purchè effettuati verso corrispettivo, "(…. i prestiti di denaro e di titoli non rappresentativi di merci, comprese le operazioni finanziarie mediante la negoziazione, anche a titolo di cessione prò soluto, di crediti, cambiali o assegni".

Inoltre, a tenore dell’art. 10, comma 1 n. 1 del decreto cit., sono esenti dall’imposta "le prestazioni di servizi concernenti la concessione e la negoziazione di crediti, la gestione degli stessi da parte dei concedenti e le operazioni di finanziamento".

Non va tralasciato, infine, il disposto dell’art. 13 dello stesso decreto, laddove dispone che "la base imponibile delle prestazioni di servizi è costituita dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al (…) prestatore".

5.2.2. Orbene, dall’esame del combinato disposto delle norme succitate si evince, dunque, che l’elemento qualificante le prestazioni di servizi, quale presupposto oggettivo dell’imposta in questione, è costituito – senza distinzioni di sorta, essendo le prestazioni effettuate a titolo gratuito al di fuori del sistema dell’IVA – dalla presenza di un corrispettivo, che vale ad integrare anche la relativa base imponibile. Ed è, quindi, esclusivamente con riferimento al corrispettivo del prestito in denaro o del finanziamento (interesse, commissione, provvigione) che si applica l’esenzione da imposta di cui al menzionato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma 1 n. 1, e ad esso si riferisce, altresì, il connesso obbligo formale di fatturazione e di registrazione.

5.2.3. Tale conclusione è – dipoi – avvalorata dalla considerazione che l’art. 2, comma 3, lett. a) stabilisce che "non sono considerate cessioni di beni: a) le cessioni che hanno per oggetto denaro o crediti in denaro". Ne discende che i due passaggi di proprietà che si veri-ficano per effetto del mutuo (fattispecie in rilievo nel caso concreto), ai sensi dell’art. 1814 c.c., originati rispettivamente dal prestito e dalla restituzione, non possono considerarsi di per sè soggetti ad IVA. In effetti, la restituzione del denaro ricevuto a mutuo – ipotesi ricorrente nel caso di specie – non può correttamente considerarsi il corrispettivo dell’averlo a suo tempo ricevuto in prestito. L’eventuale corrispettivo imponibile – al quale si riferiscono sia l’esenzione, sia i connessi obblighi di fatturazione e di registrazione – non può che essere costituito, invero, che dall’eventuale compenso (va considerato, infatti, che il mutuo è un contratto naturalmente oneroso, sicchè esso ben può essere anche gratuito, a seconda della volontà delle parti, come dispone l’art. 1815 c.c., comma 1) pattuito a fronte della concessa disponibilità (e proprietà) della somma data a prestito.

Del tutto erronea si palesa, pertanto, l’impugnata sentenza, nella parte in cui ha frettolosamente e semplicisticamente concluso per la sussistenza dell’obbligo di fatturazione e, quindi, per la correttezza dell’irrogazione delle sanzioni per la sua violazione, per il solo fatto che – pur in mancanza di un corrispettivo del mutuo in questione – si trattasse comunque di restituzione di un prestito di somma di denaro.

5.3. Il motivo di ricorso in esame va, di conseguenza accolto.

6. L’accoglimento della censura suesposta comporta la cassazione dell’impugnata sentenza in parte qua. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384 c.p.c., comma 1, annulla l’avviso di accertamento in relazione alla sanzione per omessa fatturazione attinente alla restituzione di dollari USA 200.000.

6. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico della amministrazione, parzialmente soccombente, nella misura di 1/4. Concorrono giusti motivi per dichiarare compensate fra le parti i 3/4 residui, nonchè le spese dei giudizi di merito.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione;

accoglie il sesto motivo di ricorso e rigetta gli altri; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, annulla l’avviso di accertamento in relazione alla sanzione per omessa fatturazione attinente alla restituzione di dollari USA 200.000; condanna la resistente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida, in ragione di 1/4, in Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi e accessori di legge; dichiara compensate tra le parti i residui 3/4, nonchè le spese dei giudizi di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Tributaria, il 9 aprile 2013.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *