Cass. civ. Sez. III, Sent., 12-09-2013, n. 20902 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

D.C.L., nella qualità di amministratore giudiziario dei beni sequestrati a S.S., e successivamente confiscati con decreto del 25.5.1996, divenuto definitivo, propose opposizione all’esecuzione immobiliare n. 280/94 promossa dalla Banca Agricola Etnea nei confronti di S.F.P. e B. G..

A tale esecuzione fu, successivamente, riunita quella n. 942/1998 promossa nei soli confronti di S.F..

Sostenne l’improcedibilità della procedura espropriativa fino all’accertamento della buona fede dei creditori titolari di diritti reali di garanzia, alla quale sarebbe conseguita l’opponibilità del credito rispetto alla pretesa ablatoria dello Stato.

Affermò che l’accertamento dei diritti dei terzi estranei al procedimento disposto ai sensi della L. n. 576 del 1965, doveva essere svolta davanti al giudice dell’esecuzione penale ex art. 676 c.p.p..

I creditori opposti non si costituirono.

Il Tribunale di Palermo, con sentenza del 21.1.2009, accolse l’opposizione.

Ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati da due memorie Sicilcassa spa in liquidazione coatta amministrativa.

Si sono costituiti il Ministero dell’Economia e delle Finanza e l’Agenzia del Demanio.
Motivi della decisione

Il ricorso è stato proposto per impugnare una sentenza pubblicata una volta entrato in vigore il D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione; con l’applicazione, quindi, delle disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo I. Secondo l’art. 366 bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo lì descritto ed, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360, nn. 1), 2), 3) e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Segnatamente, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; e la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (S.U. 1.10.2007 n. 20603; Cass. 18.7.2007 n. 16002). Il quesito, al quale si chiede che la Corte di cassazione risponda con l’enunciazione di un corrispondente principio di diritto che risolva il caso in esame, poi, deve essere formulato, sia per il vizio di motivazione, sia per la violazione di norme di diritto, in modo tale da collegare il vizio denunciato alla fattispecie concreta (v. S.U. 11.3.2008 n. 6420 che ha statuito l’inammissibilità – a norma dell’art. 366 bis c.p.c. – del motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale ed astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo od integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo).

La funzione propria del quesito di diritto – quindi – è quella di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (da ultimo Cass.7.4.2009 n. 8463; v, anche S.U. ord. 27.3.2009 n. 7433).

Inoltre, l’art. 366 bis c.p.c, nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta – ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso stesso -, una diversa valutazione, da parte del giudice di legittimità, a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal n. 5 della stessa disposizione.

Nel primo caso ciascuna censura – come già detto – deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., all’enunciazione i) del principio di diritto, ovvero a dieta giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza.

Nell’ipotesi, invece, in cui venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c. c., n. 5, (il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso (c.d. momento di sintesi) – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (v. da ultimo Cass. 25.2.2009 n. 4556; v.

anche Cass. 18.11.2011 n. 24255).

I motivi rispettano i requisiti richiesti dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis nella specie.

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 615 e 619 c.p.c., in rapporto alla L. 31 maggio 1965, n. 575, artt. 2 ter, 2 quater, 2 sexies, 2 septies e 2 novies, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, e comma 4).

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2808 c.c., art. 2878 c.c., e art. 24 Cost., in rapporto alla L. 31 maggio 1965, n. 575, artt. 2 ter, 2 quater, 2 sexies, 2 septies e 2 novies, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, e comma 4).

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 115 e 116 c.p.c., nonchè art. 2697 c.c., ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, e comma 4).

I motivi, per l’intima connessione delle censure proposte, sono esaminati congiuntamente.

Essi sono fondati nei termini e per le ragioni indicate. La ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per avere accolto l’opposizione all’esecuzione immobiliare (n. 280/1994) proposta dall’amministratore giudiziario dei beni sequestrati a S. S., e successivamente confiscati con decreto del 25.5.1996, divenuto definitivo.

A tale esecuzione, era stata successivamente riunita quella n. 942/1998 promossa nei soli confronti di S.F.. La soluzione dei temi posti dal presente ricorso ed oggetto della sentenza impugnata vanno risolti alla luce dei principi enunciati dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione con la sentenza del 7 maggio 2013 n. 10532, intervenuta nella pendenza del giudizio in corso.

La decisione – sulla base della L. 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) che, all’art. 1, commi da 189 e 205, ha introdotto importanti novità in materia di sequestro, confisca, gestione ed alienazione dei beni nella disponibilità di appartenenti ad organizzazioni mafiose – ha risolto i temi relativi alla sorte dei diritti vantati dal creditore garantito da ipoteca su un bene colpito da una misura di prevenzione c.d. "antimafia", ed ai rapporti fra tra lo Stato confiscante di beni nella disponibilità della criminalità organizzata, da un lato, ed i creditori garantiti da ipoteca iscritta sui suddetti beni, i creditori pignoranti ed i creditori intervenuti nel giudizio di esecuzione forzata, dall’altra.

Così è stato sottolineato che L. n. 228 del 2012, ha dettato una disciplina tendenzialmente organica volta a regolare i rapporti tra creditori ipotecari e pignoranti e Stato, con riferimento alle procedure di confisca non soggette alla disciplina del "codice delle misure di prevenzione" – D.Lgs. n. 159 del 2011, entrato in vigore il 13 ottobre 2011.

La nuova disciplina si applica, quindi, alle misure di prevenzione disposte prima di tale data.

Con riferimento alle procedure di confisca soggette alla L. n. 575 del 1965, la nuova legge distingue, in primo luogo, due ipotesi: a seconda che il provvedimento di confisca sia stato emesso o no alla data del 1.1.2013.

Per le procedure nelle quali, alla data del 1.1.2013, sia già avvenuta la confisca, le legge distingue, poi, ulteriormente, i casi in cui il bene confiscato sia stato assoggettato a procedura esecutiva, ma non sia stato ancora aggiudicato o trasferito, e quelli in cui sia avvenuto, invece, il trasferimento o l’aggiudicazione, anche in via provvisoria.

Se alla data del 1.1.2013 i beni oggetto della procedura di prevenzione sono già stati confiscati, ma non ancora aggiudicati, la nuova legge stabilisce che:

1) nessuna azione esecutiva potrà essere iniziata o proseguita sui beni suddetti;

2) i pesi e gli oneri iscritti o trascritti prima della confisca si estinguono;

3) i creditori ipotecari, pignoranti od intervenuti nell’esecuzione potranno far valere le proprie ragioni nei confronti dell’Agenzia, ma solo a determinate condizioni, e cioè:

a) l’iscrizione dell’ipoteca, la trascrizione del pignoramento o l’intervento nel processo esecutivo devono essere avvenuti prima della trascrizione del sequestro di prevenzione;

b) per ottenere il pagamento dei propri crediti tali creditori debbono presentare una istanza entro il termine di decadenza del 30 giugno 2013;

c) l’istanza va proposta al "giudice dell’esecuzione presso il tribunale che ha disposto la confisca", il quale provvede su di essa con provvedimento impugnabile ai sensi dell’art. 666 c.p.p.;

d) l’Agenzia forma quindi il "piano di pagamento" dei creditori ammessi e procede ai pagamenti, che non potranno complessivamente eccedere la minor somma tra il ricavato della vendita ed il 70% del valore del bene;

e) contro il piano di riparto dell’Agenzia è ammessa opposizione al giudice civile, nelle forme di cui all’art. 737 c.p.c.;

f) Il tribunale provvede in composizione monocratica con decreto non reclamabile.

Nella seconda ipotesi, invece, vale a dire se alla data del 1.1.2013 è già avvenuto il trasferimento o l’aggiudicazione nell’ambito di una esecuzione forzata, ovvero se il bene da confiscare consiste in una quota di proprietà indivisa già pignorata, restano fermi gli effetti dell’esecuzione o dell’aggiudicazione.

Nel caso, infine, in cui alla data del 1 gennaio 2013, i beni ipotecati o sottoposti ad esecuzione forzata non siano ancora stati confiscati, si applicheranno le stesse misure previste per quelli che che alla data del 1.1.2013 siano già stati confiscati, ma non ancora aggiudicati, con l’unica differenza che il termine di decadenza di 180 giorni, entro il quale i creditori debbono presentare la domanda di ammissione del credito, decorrerà dal passaggio in giudicato del provvedimento che dispone la confisca.

I principi enunciati dalle Sezioni Unite, all’esito dell’esame della nuova normativa, sono quindi, i seguenti.

L’inibitoria delle azioni esecutive, ai sensi dell’art. 1, comma 194, riguarda esclusivamente i beni confiscati; con la conseguenza che i pignoramenti sul patrimonio sequestrato non possono essere sospesi e proseguono sino all’eventuale misura ablatoria definitiva.

La nuova disciplina, che si applica – come già detto – ai procedimenti di prevenzione ancora disciplinati dalla L. n. 575 del 1965, pone come spartiacque la data dell’1.1.2013, a seconda che il provvedimento di confisca sia stato emesso prima o dopo tale data.

Per i beni confiscati prima di tale data, la normativa compie una selezione ulteriore, a seconda che a tale data il bene confiscato sia stato assoggettato a procedura esecutiva, ma non sia stato ancora aggiudicato o trasferito, ovvero sia avvenuto, invece, il trasferimento o l’aggiudicazione, anche in via provvisoria.

E’ con riferimento a questo dato temporale – che consente il permanere o meno degli effetti dell’esecuzione forzata (o dell’aggiudicazione) – che assume rilevanza determinante la nuova disciplina andando a comporre i temi che la giurisprudenza aveva diversamente risolto, e che il giudice dell’esecuzione sarà tenuto ad esaminare.

Infatti, sui beni oggetto della procedura di prevenzione che alla data del 1.1.2013 siano già stati confiscati, ma non ancora aggiudicati, "non possono essere iniziate o proseguite, a pena di nullità, azioni esecutive" (L. n. 228 del 2012, comma 194) e "gli oneri e pesi iscritti o trascritti (sui beni di cui al comma 194) anteriormente alla confisca sono estinti di diritto" (L. n. 228 del 2012, comma 197).

La misura di prevenzione patrimoniale, quindi, nei rapporti ipoteca- confisca, prevale indipendentemente dal dato temporale, con conseguente estinzione di diritto degli oneri e pesi iscritti o trascritti.

Lo Stato, a seguito dell’estinzione di diritto dei pesi e degli oneri iscritti o trascritti prima della misura di prevenzione della confisca acquista un bene non più a titolo derivativo, ma libero dai pesi e dagli oneri, pur iscritti o trascritti anteriormente alla misura di prevenzione. Il terzo di buona fede, titolare di un diritto reale di godimento o di garanzia, è ammesso ad una tutela di tipo risarcitorio, con la richiesta – attraverso l’apposito procedimento – del riconoscimento del suo credito.

Quanto ai presupposti per il riconoscimento del credito, sono quelli previsti dal D.Lgs. n. 159 del 1141, art. 52, con ciò trovando applicazione i principii della buona fede, ovvero della non strumentante del credito all’attività illecita.

1 limiti del riconoscimento del diritto sono fissati nel minor importo tra il 70 % del valore del bene ed il ricavato dall’eventuale liquidazione dello stesso bene (commi 203 e 206), in stretto parallelismo con il disposto del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 57, che prevede un analogo limite.

I termini per agire sono fissati a pena di decadenza.

La competenza è attribuita – dal comma 199 – al "giudice dell’esecuzione presso il tribunale che ha disposto la confisca", intendendosi, quale giudice competente, il tribunale – misure di prevenzione.

Quanto al procedimento di ammissione del credito – di natura tipicamente concorsuale -, il richiamo alle norme del D.Lgs. n. 159 del 2011 (artt. 52 e 58) conferma l’intento legislativo di risolvere – almeno tendenzialmente – in modo complessivamente unitario le multiformi vicende normative relative alle misure di prevenzione patrimoniali.

L’ammissione è subordinata, unitamente all’accertamento della sussistenza e dell’ammontare del credito, alla ricorrenza della condizione di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 52, comma 1, lett. b), vale a dire che il credito non sia strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, a meno che il creditore dimostri di avere ignorato in buona fede il nesso di strumentante.

Ed, ai sensi del terzo comma del medesimo articolo, nella valutazione della buona fede, il tribunale tiene conto delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale nonchè, in caso di enti, alle dimensioni degli stessi.

Spetta al terzo creditore provare la sua buona fede e l’affidamento incolpevole; vale a dire la prova positiva delle condizioni per l’ammissione al passivo del suo credito.

Il diniego di ammissione del credito è impugnabile ex art. 666 c.p.p..

Si applicano le disposizioni di tale norma, ad eccezione del comma 7, che attribuisce al giudice la possibilità di sospendere l’esecuzione dell’ordinanza (v. comma 200).

E, sotto questo profilo, pur menzionando genericamente l’impugnazione, il richiamo all’art. 666 c.p.p., comma 6, individua nel solo ricorso per cassazione il mezzo per reagire alla mancata ammissione.

Competente a conoscere delle opposizioni – proposte dai creditori concorrenti – al piano di riparto (pagamento) predisposto dall’Agenzia sarà, invece, il giudice civile del luogo dove ha sede il tribunale che ha disposto la confisca.

E ciò per il richiamo che il comma 203 fa l’art. 737 c.p.c. e ss. in quanto compatibili.

Il tribunale provvede in composizione monocratica.

Contro il decreto del tribunale non è ammesso reclamo.

E’ questa la normativa applicabile nel caso in esame, sulla base del principio tempus regit actum, trattandosi di misura di prevenzione disposta prima del 13 ottobre 2012 (confisca disposta con decreto del tribunale del 13.7.1995, depositato il 25.5.1996, divenuto definitivo), soggetta, quindi, alla L. n. 575 del 1965. La sentenza impugnata con il ricorso per cassazione ha accolto l’opposizione di terzo all’esecuzione promossa, sostanzialmente dichiarando una sorta di improseguibilità temporanea dell’esecuzione immobiliare fino all’accertamento della buona fede dei creditori titolari dei diritti reali di garanzia. In questo senso, infatti, deve intendersi il riferimento alla "sospensione" dell’esecuzione, e non in senso tecnico con riferimento all’art. 624 c.p.c., come denunciato dall’odierna ricorrente.

Ma i principi, cui la sentenza si e ispirata, sono superati dalle norme sopravvenute, applicabili nella specie, alla luce delle quali la causa dovrà ora essere esaminata.

Da ultimo, anche il profilo denunciato con il terzo motivo secondo cui il giudice del merito, nell’accogliere l’opposizione all’esecuzione formulata dall’Amministratore Giudiziario, non ha tenuto conto dell’assenza di prova, da parte dello stesso, in ordine allo status del bene confiscato ex L. n. 575 del 1965, di uno dei due beni ipotecati in favore di Sicilcassa e da questa sottoposti a pignoramento – dovrà, in assenza di una qualsiasi motivazione sul punto, essere oggetto di nuovo esame da parte del giudice del rinvio, alla luce delle risultanze documentali prodotte ed in base alla normativa applicabile.

Il ricorso va, quindi, accolto, e la causa di opposizione di terzo dovrà essere rinviata al giudice del merito il quale, sulla base della L. 24 dicembre 2012, art. 1, comma 194 e segg., dovrà esaminare la fattispecie, con gli opportuni accertamenti sullo stato della relativa procedura esecutiva, anche al fine di valutare l’eventuale permanere dell’interesse del terzo a coltivare l’opposizione proposta.

Conclusivamente, accolto il ricorso, la sentenza è cassata, e la causa è rinviata al tribunale di Palermo in persona di diverso magistrato.

Le spese sono rimesse al giudice del rinvio.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa e rinvia, anche per le spese, al tribunale di Palermo in persona di diverso magistrato.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 9 luglio 2013.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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