Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 28-04-2011) 10-06-2011, n. 23439 Reati tributari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza in data 21 giugno 2010 la Corte di Appello di Salerno confermava la sentenza del Tribunale di Salerno del 7.4.2006, con la quale M.F. era stato condannato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche dichiarate equivalenti alle contestate aggravanti, alla pena di anni 1 e mesi 9 di reclusione per i reati di cui agli artt. 56 e 640 c.p. (capo a), artt. 81 cpv. e 483 c.p., art. 61 c.p., n. 2 (capo b), 8 in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 1, lett. d), artt. 81 cpv. e 61 c.p., n. 2 (capo c), D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5 (capo d), unificati sotto il vincolo della continuazione.

Su richiesta dell’Agenzia delle Entrate di Salerno la Guardia di Finanza effettuava accertamenti nei confronti della Società "Le Firme di Mosca Francesco & C. s.a.s.", avente ad oggetto la vendita all’ingrosso di capi di abbigliamento, essendo stato richiesto nell’anno 2001 un rimborso del credito IVA e, successivamente dopo soli due mesi, nel 2002, un ulteriore rimborso dell’importo di 160 mila Euro, per un volume di affari imponibile di 866.000,00 Euro. Il M. aveva presentato all’Agenzia delle Entrate 38 fatture per il credito IVA per vendite ad esportatori abituali in esenzione di imposte ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8. Il diritto al rimborso derivava dal fatto che al momento dell’acquisto era stata pagata l’IVA non riscossa poi ai momento della vendita. In base alla normativa vigente gli acquirenti avrebbero dovuto rilasciare una lettera di intenti, che non veniva però rinvenuta. I controlli incrociati presso le ditte che avevano emesso le fatture avevano dato tutte esito negativo, dal momento che esse non avevano avuto alcun rapporto con la società del M.. A seguito di tali accertamenti l’Ufficio IVA non effettuava il rimborso richiesto.

Dagli accertamenti della S.d.F. era emerso, altresì, che non era stata presentata alcuna denuncia dei redditi da parte del M. ed il volume di affari era stato desunto dalla documentazione IVA, non essendovi altri documenti contabili (era stata presentata denuncia di furto degli stessi).

La Corte territoriale, dopo aver rinviato per la ricostruzione dei fatti alla sentenza di primo grado, riteneva infondate tutte le eccezioni in rito (omesso avviso di chiusura delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p., dell’udienza preliminare e del decreto che dispone il giudizio all’altro difensore), trattandosi di nullità di ordine generale a regime intermedio che non erano state tempestivamente eccepite.

Riteneva, poi, la Corte che il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8 andasse letto in combinato disposto con l’art. 1, lett. d) ed e), per cui l’interpretazione data dal giudice di prime cure era corretta.

Quanto al reato di cui all’art. 483 c.p., esso non rimaneva certo assorbito nel reato di cui agli artt. 56 e 640 c.p. per la diversità del bene giuridico tutelato. Era da escludere, altresì, qualsiasi rapporto di specialità tra il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8 ed il tentativo di truffa.

In ordine a tutte le altre questioni di merito rinviava alla sentenza di primo grado.

2) Ricorre per cassazione M.F., a mezzo del difensore.

Con il primo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all’art. 601 c.p.p., comma 6 e art. 429 c.p.p., comma 1, lett. f). Il decreto di citazione per il giudizio di appello indicava come data di celebrazione l’udienza del 24 settembre 2009. Dal verbale di dibattimento risulta, però, che l’udienza venne tenuta il 23 settembre 2009, in assenza di imputato e difensori, e poi rinviata, senza ulteriori citazioni, all’udienza successiva e finale (sempre in assenza di difensori ed imputato). Il decreto di citazione e tutti gli atti successivi, ivi compresa la sentenza, sono pertanto nulli.

Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge in relazione agli artt. 157 e 168 c.p.p. e art. 171 c.p.p., lett. d). Il decreto di citazione per il giudizio di appello all’imputato ed al difensore, avv. Scarlato, risultano consegnati a persona di cui vengono omesse le generalità e l’eventuale rapporto di convivenza.

Con ti terzo motivo denuncia la violazione di legge per omessa notifica dell’avviso di chiusura delle indagini preliminari, dell’udienza preliminare e del decreto che dispone il giudizio ad uno dei due difensori.

Con il quarto motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta configurabilità del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8.

La società emittente le fatture, nel caso di specie, è la stessa che dovrebbe giovarsi dell’eventuale indebito rimborso (la norma invece punisce l’emissione di fatture per operazioni inesistenti al fine di consentire a terzi l’evasione).

Con il quinto motivo denuncia la violazione di legge e la mancanza di motivazione in ordine alla eccepita impropria applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 2.

Con il sesto motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5. La Corte territoriale ha totalmente ignorato i rilievi contenuti nell’atto di appello in ordine alla non configurabilità del reato contestato.

Con il settimo motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine al ritenuto concorso tra il reato di tentata truffa ed i reati di cui all’art. 483 c.p e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8.

Con l’ottavo motivo eccepisce la impropria utilizzazione dei verbali di accertamento e constatazione, benchè essi non siano atti irripetibili.

Con il nono motivo (indicato come ottavo) denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla idoneità degli atti di cui al tentativo di truffa.

Con il decimo motivo denuncia il vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio.

Con l’undicesimo motivo, infine, denuncia il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza di prove adeguate per affermare la responsabilità dell’imputato.

3) Vanno preliminarmente esaminate le eccezioni di nullità, in ordine alle quali, venendo denunciata la violazione di norme processuali, il giudice di legittimità è giudice anche del fatto, per cui è consentito l’accesso agli atti.

3.1) Quanto alla dedotta celebrazione della prima udienza davanti alla Corte di Appello in data diversa da quella indicata nei decreto di citazione a giudizio, risultando che effettivamente nella intestazione del verbale era indicata una data (23 settembre 2009) diversa da quella (24 settembre 2009) riportata a chiusura del verbale medesimo, il Collegio disponeva accertamenti presso la cancelleria della Corte territoriale. Da quanto comunicato dalla predetta cancelleria risulta che la prima udienza del processo venne tenuta in data 24 settembre 2009, così come indicato nel decreto di citazione a giudizio (per mero errore materiale quindi venne indicata nella intestazione la data del 23 settembre), per cui non vi è stata alcuna violazione dei diritti di difesa, avendo il M. deliberatamente scelto di rimanere contumace.

3.2) In ordine all’omesso avviso al secondo difensore della chiusura delle indagini preliminari, dell’udienza preliminare e del decreto che dispone il giudizio di primo grado, ha già rilevato la Corte territoriale che essa non è stata tempestivamente eccepita. E, trattandosi, pacificamente, di una nullità a regime intermedio, deve ritenersi sanata. ("L’omissione dell’avviso ad uno dei due difensori dell’imputato della data fissata per l’udienza da luogo ad una nullità a regime intermedio, la quale resta sanata, ai sensi dell’art. 182 c.p.p., comma 2, se un difensore presenzia all’udienza e nulla eccepisce al proposito" – cfr. ex plurimis Cass. sez. 6 n. 17881 del 13.2.2008; Cass. sez. 6 n. 17267 del 16.4.2010).

3.3) Le medesime considerazioni valgono per la notifica al difensore ed all’imputato del decreto di citazione per il giudizio di appello.

Trattandosi, invero, in ogni caso, di violazione delle regole circa le modalità della notifica, l’eccezione andava sollevata tempestivamente (essendo configurabile come nullità a regime intermedio).

Le sezioni unite di questa Corte, risolvendo il contrasto giurisprudenziale esistente, con la sentenza n. 119/2005 RV 229540 hanno affermato il principio, così massimato: "La notificazione della citazione dell’imputato effettuata presso il domicilio reale a mani di persona convivente, anzichè presso il domicilio eletto, non integra necessariamente una ipotesi di "omissione" della notificazione ex art. 179 cod. proc. pen., ma da luogo, di regola, ad una nullità di ordine generale a norma dell’art. 178 c.p.p., lett. c), soggetta alla sanatoria speciale di cui all’art. 184, comma 1, alle sanatorie generali di cui all’art. 183 e alle regole di deducibilità di cui all’art. 182, oltre che ai termini di rilevabilità di cui all’art. 180 c.p.p., sempre che non appaia in astratto o risulti in concreto inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte del destinatario.."). In motivazione le sezioni unite hanno evidenziato che "Secondo l’art. 179, comma 1 sono insanabili le nullità derivanti dalla omessa citazione dell’imputato, mentre l’art. 184, comma 1 stabilisce che la nullità di una citazione o di un avviso ovvero delle relative comunicazioni o notificazioni è sanata se la parte interessata è comparsa o ha rinunciato a comparire…". "…..La contraddizione viene meno se si considera che la prima disposizione si riferisce solo alle nullità derivanti dalla omessa citazione e la seconda alle nullità in generale..". E dopo aver precisato che tali ultime nullità "..non potrebbero essere considerate assolute e dovrebbero farsi rientrare nella categoria delle nullità a regime intermedio o delle nullità relative..", assumeva tuttavia che "…la nullità deve ritenersi insanabile, a norma, dell’art. 179 c.p.p., comma 1, quando la notificazione eseguita in forma diversa da quella prescritta, pur apparendo astrattamente idonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto, risulti in concreto inidonea a tal fine … o a maggior ragione quando la sua inidoneità già emerga in astratto". Quando, nonostante la sua idoneità in astratto, la notificazione effettuata in una forma diversa da quella prescritta non ha conseguito lo scopo di portare l’atto di citazione a conoscenza dell’imputato, questi, se vuoi far valere la nullità assoluta stabilita dall’art. 179, comma 1, non può limitarsi a denunciare l’inosservanza della norma processuale ma deve anche rappresentare al giudice di non aver avuto conoscenza dell’atto e deve eventualmente avvalorare l’affermazione con elementi che la rendano credibile" (Sez. Un. n. 119/2005).

La giurisprudenza successiva ha ribadito che "la notificazione della citazione effettuata presso la residenza dell’imputato nonostante egli abbia eletto domicilio determina una nullità a regime intermedio, non assoluta, essendo la notifica comunque idonea a determinare l’effettiva conoscenza dell’atto notificato" (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 2 n. 23658 del 15.5.2008).

Si ha quindi "La nullità assoluta ed insanabile della citazione dell’imputato, ai sensi dell’art. 179 cod. proc. pen. …soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o, quando eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato.." (cfr. Cass. pen. sez. 6 n. 34170del 4.7.2008; Cass. pen. sez. 3 n. 43859 del 14.10.2009). La notificazione, così come eseguita, non era astrattamente inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto.

Correttamente pertanto la Corte territoriale ha ritenuto che ci si trovi in presenza di una nullità a regime intermedio che avrebbe dovuto essere dedotta tempestivamente.

3.4) Non essendo il ricorso manifestamente infondato (in relazione all’eccezione di cui al primo motivo di ricorso, risultando effettivamente una discordanza tra la data di intestazione e quella di chiusura del verbale, si è reso necessario disporre accertamenti) per la forza propulsiva dell’atto di impugnazione, va dichiarata la prescrizione dei reati di cui ai capi a), b) e c), maturata, rispettivamente, in dato 28.12.2009 (capo c) e 29.1.2010 (capi a e b).

Non può, invece, farsi luogo ad un proscioglimento nel merito ex art. 129 cpv. c.p.p. Va ricordato che, "in presenza di una (già avvenuta) causa di improcedibilità per intervenuta prescrizione del reato è precluso alla Corte di cassazione un riesame del fatto finalizzato ad una eventuale annullamento della decisione per vizi attinenti alla sua motivazione. Il sindacato di legittimità circa la prospettata mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p., comma 2 deve essere invece circoscritto all’accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire ad un pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule ivi prescritte: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell’insussistenza del fatto o dell’estraneità ad esso dell’imputato risulti evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini ed ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l’operatività della causa estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata.

Pertanto, qualora il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall’art. 129 c.p.p., l’esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all’imputato, come sopra si è apprezzato, deve prevalere l’esigenza della definizione di processo (cfr. Cass. sez. 5, 22.6.2005, Borda;

Cass. sez. 4 n. 16466 del 6.3.2008). Ne deriva come corollario che, in presenza di una causa estintiva del reato, l’accertamento della evidenza della insussistenza del fatto o della mancata commissione dello stesso da parte dell’imputato o infine che il fatto non è previsto dalla legge come reato, deve avvenire, come precisato dalla costante giurisprudenza di questa Corte, sulla base degli atti "dai quali la Corte di Cassazione sia in grado di desumere le suddette evidenze" e cioè unicamente "dalle sentenza impugnata e – se trattasi di sentenza di appello – dalla sentenza di primo grado" (cfr. Cass. pen. sez. 6 n. 6593 del 2008). Ne discende ulteriormente, da un lato, che non è consentito disporre la parziale rinnovazione del dibattimento (palesemente incompatibile con l’obbligo della immediata declaratoria della causa estintiva del reato) e, dall’altro, che non è possibile disporre l’annullamento della sentenza per vizi di motivazione relativi al mancato proscioglimento nel merito.

Invero "all’applicazione di causa estintiva del reato è sottinteso il giudizio relativo all’inesistenza di prova evidente circa la non ricorrenza delle condizioni per un proscioglimento nel merito. In tal caso, pertanto, la decisione è insindacabile in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione, posto che un eventuale annullamento con rinvio imporrebbe la prosecuzione del giudizio, resa impossibile dal l’obbligo di declaratoria della causa estintiva (cfr.

Cass. sez. 5 n. 13110 del 2008; Cass. sez. 4, 4.12.2002, Rocca; Cass. sez. 1^, 22.10.1994, Boiani; Cass. sez. Un. n. 1653 del 21.10.1992 – Marino ed altri).

Il giudizio di appello o di cassazione, in presenza di una causa estintiva del reato, è quindi un "giudizio pieno" ma, esclusa la possibilità di una rinnovazione del dibattimento, l’accertamento delle condizioni per un proscioglimento nel merito va fatto sulla base degli atti.

Tali principi sono stati ribaditi dalle sezioni unite, con la sentenza n. 35490 del 28.5.2009, con la quale è stato riaffermato che "In presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi", che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento". Le sezioni unite hanno ribadito, altresì, che, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità, nè vizi di motivazione, nè nullità di ordine generale (cfr. sent. n. 35490/2009 cit.).

I giudici di merito hanno dato conto delle risultanze processuali, da cui emergeva la responsabilità dell’imputato ed hanno, confutato, con argomentazioni adeguate ed immuni da vizi logici, i rilievi difensivi.

4) Va esaminato, infine, il ricorso in relazione al reato di cui al capo d), per il quale alla data odierna non è maturato il termine massimo di prescrizione di anni 7 e mesi 6, recando la contestazione come data del commesso reato quella del 31.10.2003 e non essendovi sul punto rilievi di sorta nè con l’appello nè con il ricorso per cassazione. Le doglianze del ricorrente in ordine al predetto reato (sesto motivo) risultano generiche e per di più manifestamente infondate perchè ripropongono censure già oggetto di esame da parte dei giudici di merito.

E’ pacifico che, nell’ipotesi di conferma della sentenza di primo grado, le due motivazioni si integrino a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre far riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Allorchè, quindi, le due sentenze concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (cfr.

Cass. sez. 1^ n. 8868 del 26.6.2000-Sangiorgi). Il Tribunale aveva già rilevato che, in mancanza di produzione di documentazione (ne era stato denunciato il furto), correttamente la Guardia di Finanza aveva fatto riferimento alla comunicazione dati annuali IVA dell’anno 2002, dalla quale emergeva un volume di affari imponibile di Euro 2.621.401,00 (da cui andava detratto l’imponibile per le vendite risultate inesistenti pari ad Euro 866.525,20). Era stata evasa, pertanto, l’imposta sui redditi in relazione ad un reddito imponibile pari ad Euro 1.754.875,80. Analoghe considerazioni valevano per la mancata presentazione della dichiarazione unificata, con riferimento all’anno 2002, anche in relazione all’imposta sul valore aggiunto.

L’imponibile IRPEF ed IVA veniva, quindi, determinato sulla base delle comunicazioni trasmesse dallo stesso contribuente.

In presenza di un appello, con cui non si confutavano minimamente i dati indicati dal Tribunale, evidenziandosi solo una presunta contraddizione tra ritenuta "inesistenza di affari" e accertamento del "volume di affari", legittimamente la Corte territoriale ha rinviato per relationem alla sentenza impugnata.

Per la rideterminazione della pena in ordine al reato di cui al capo d) non può provvedersi in questa sede, avendo i giudici di merito fatto riferimento nella indicazione della pena base al reato più grave di cui al capo c (per il quale vi è stata declaratoria di prescrizione).

Per tale determinazione va, quindi, disposto il rinvio alla Corte di Appello di Napoli.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata quanto ai capi a), b) e c) perchè estinti per prescrizione. Rinvia alla Corte di Appello di Napoli limitatamente alla determinazione della pena quanto al reato di cui al capo d).

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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