Cass. pen., sez. III 11-07-2008 (09-07-2008), n. 28840 Realizzazione di opere accessorie a garage interrato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 16.11.2007, in parziale riforma della sentenza 18.5.2006 del Tribunale monocratico di Tivoli, ribadiva l’affermazione della penale responsabilità di D. E. e S.C. in ordine ai reati di cui:
al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), per avere realizzato, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, in assenza del prescritto permesso di costruire: un locale garage interrato per tre lati, delle dimensioni di mt. 8,50 x 5,05; un sovrastante terrazzo con muri di parapetto, pavimentazione in ceramica, predisposizione dell’intelaiatura per l’installazione di un cancelletto, pensilina di mt. 4,25 x 2,50 sorretta da pilastrini in muratura, con copertura in travi di ferro, tavelloni e gettata in calcestruzzo; una scala in cemento armato collegante il garage con lo spiazzo antistante l’abitazione degli imputati – acc. in (OMISSIS);
al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 64, 65, 67, 71 e 72;
al D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 163 (realizzazione delle opere anzidette in assenza della prescritta autorizzazione paesaggistica) e, con le riconosciute circostanze attenuanti generiche, essendo stati unificati i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. c.p., determinava la pena – per ciascuno – in giorni venti di arresto ed Euro 23.000,00 di ammenda, condizionalmente sospesa, confermando l’ordine di demolizione delle opere abusive.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore degli imputati, il quale – sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione – ha eccepito:
la illegittimità della motivazione "per relationem" alla decisione di primo grado, perchè non integrata con la risposta ai rilievi critici formulati con l’atto di appello, non emergendo che essi siano stati recepiti e criticamente valutati;
il travisamento della prova in quanto: non sarebbe stato dimostrato che siano stati proprio gli imputati a realizzare la scala di collegamento; sarebbe stato incongruamente disapplicato la L. n. 122 del 1989 (c.d. legge Tognoli), art. 9 quanto all’autorimessa interrata per tre lati; la realizzazione della tettoia costituirebbe intervento di mero restauro e risanamento conservativo;
la incongrua esclusione della condonabilità dell’opera pure in seguito alla presentazione di domanda di condono edilizio D.L. 30 settembre 2003, n. 269, ex art. 32 convertito con modificazioni dalla L. 24 novembre 2003, n. 326.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso proposto nell’interesse del D. deve essere rigettato, perchè infondato.
1. Quanto ai denunciati vizi della motivazione in punto di affermazione della responsabilità, deve premettersi che secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema:
il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile, tanto più ove i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal primo e con congrui riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicchè le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscono una sola entità vedi Cass.: Sez. 3^, 28.11.2002, Hoxha; Sez. 2^, 5.12.1997, n. 11220; Sez. 3^, 23.4.1994, Scauri ; Sez. 1^, 4.2.1994, Albergamo.
Sotto il vigore del precedente codice di rito vedi Cass., Sez. 1^, 19.10.1988, Quattrocchi e 18.4.1985, Madonna;
il vizio di motivazione non si concretizza allorquando il giudice di appello, pur facendo proprie le considerazioni svolte da quello di primo grado, abbia compiutamente esaminato le censure rivolte dall’appellante alla sentenza impugnata, in quanto le due sentenze di merito ben possono avere i medesimi contenuti di giudizio e l’obbligo motivazionale può ritenersi soddisfatto con il completo esame delle argomentazioni proposte dall’appellante, – in tema di motivazione della sentenza di appello, si deve ritenere consentita quella "per relationem" con riferimento alla pronuncia di primo grado, nel caso in cui le censure formulate contro quest’ultima non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi.
In tal caso – corrispondente alla vicenda in esame – il giudice di appello non è tenuto, infatti, a riesaminare dettagliatamente questioni sulle quali si è già soffermato il primo giudice con argomentazioni ritenute esatte ed esenti da vizi logici.
Nella fattispecie in esame, inoltre, la sentenza impugnata non si limita a riprodurre pedissequamente la decisione confermata, dichiarando in termini apodittici e stereotipati di aderirvi, ma da conto dei motivi di impugnazione e, rispondendo alle doglianze proposte dagli appellanti, contiene un’autonoma esplicitazione delle ragioni della decisione, dando sufficiente contezza del percorso logico seguito.
2. Correttamente è stata affermata la necessità del permesso di costruire per la realizzazione delle opere in oggetto.
La L. 24 marzo 1989, n. 122, art. 9, comma 1, prevede che "I proprietari degli immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti. Tali parcheggi possono essere realizzati, ad uso esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato, purchè non in contrasto con i piani urbani del traffico, tenuto conto dell’uso della superficie sovrastante e compatibilmente con la tutela dei corpi idrici. Restano in ogni caso fermi i vincoli previsti dalla legislazione in materia paesaggistica ed ambientale…".
Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 137, comma 2, a sua volta, modificando il della L. n. 122 del 1989, art. 9, il comma 2 stabilisce che "L’esecuzione delle opere e degli interventi previsti dal comma 1 è soggetta a denuncia di inizio attività".
Trattasi di previsioni derogatorie rispetto alla necessità del previo rilascio del titolo abilitativo espresso, che, a causa del loro carattere "speciale", sono riferibili ai soli tipi di opere espressamente considerate e non sono suscettibili di interpretazione analogica (vedi Cass., Sez. 3^, 9.7.1999, Boccellari).
I giudici del merito, nella fattispecie in esame, motivatamente e razionalmente non hanno ritenuto applicabile la normativa anzidetta, perchè gli imputati non si sono limitati alla realizzazione di un locale (sia pure non completamente interrato) che attualmente è destinato a garage ma hanno costruito ex novo, in area esterna ad un fabbricato preesistente, un insieme di opere finalizzate ad una nuova sistemazione degli accessi a tale edificio residenziale (terrazza con pensilina e scala di collegamento).
Legittimamente, pertanto, l’intervento complessivamente considerato è stato ricondotto all’unico regime giuridico del permesso di costruire, non integrando esso attività di mero restauro e risanamento conservativo.
Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1 – lett. c), con definizione già fornita dalla L. n. 457 del 1978, art. 31, comma 1 – lett. c), identifica gli interventi di restauro e risanamento conservativo come quelli "rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che – nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso – ne consentano destinazioni d’uso con esso compatibili".
Tali interventi, in particolare, possono comprendere:
il consolidamento, il ripristino ed il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio;
l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso;
l’eliminazione di elementi estranei all’organismo edilizio.
La finalità è quella di rinnovare l’organismo edilizio in modo sistematico e globale, ma essa deve essere attuata – poichè si tratta pur sempre di conservazione – nel rispetto dei suoi elementi essenziali "tipologici, formali e strutturali".
Ne deriva che non possono essere mutati:
la "qualificazione tipologica" del manufatto preesistente, cioè i caratteri architettonici e funzionali di esso che ne consentono la qualificazione in base alle tipologie edilizie;
gli "elementi formali (disposizione dei volumi e degli elementi architettonici) che distinguono in modo peculiare il manufatto, configurando l’immagine caratteristica di esso;
gli "elementi strutturali", cioè quelli che materialmente compongono la struttura dell’organismo edilizio.
Nella specie, invece, non è ravvisatile un’attività di conservazione, recupero o ricomposizione di spazi, secondo le modalità e con i limiti dianzi delineati, bensì la realizzazione di nuove entità edilizie, con immutazione di elementi tipologici e formali e creazione "ex novo" di volumetria.
Tutto è avvenuto, poi, in assenza della prescritta autorizzazione paesaggistica già prevista dalla L. n. 1497 del 1939, art. 7 le cui procedure di rilascio sono state innovate dalla L. n. 431 del 1985 e sono attualmente disciplinate dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 146.
I ricorrenti non hanno addotto, infine, che, nella specie, la scala di collegamento del garage con il piazzale antistante la propria abitazione sia stata realizzata da terzi a loro insaputa e senza la loro volontà. 3. Nella vicenda che ci occupa si verte in ipotesi di opere abusive non suscettibili di sanatoria, ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, art. 32 poichè si tratta di nuova costruzione realizzata, in assenza del titolo abilitativo edilizio, in area assoggettata a vincolo imposto a tutela degli interessi paesistici (ipotesi esclusa dal condono dal comma 26, lett. a) vedi, tra le molteplici e più recenti decisioni in tal senso, Cass., Sez. 3^: 12.1.2007, n. 6431, Sicignano ed altra (con ampia confutazione delle divergenti posizioni dottrinarie, integralmente condivisa da questo Collegio): 5.4.2005, n. 12577, Ricci; 1.10.2004, n. 38694, Canu ed altro; 24.9.2004, n. 37865, Musio.
Legittimamente, pertanto, la Corte territoriale ponendosi come irrilevante la ulteriore questione riguardante la effettiva ultimazione dell’opera nel termine massimo in cui la legge consente la sanabilità – pure a fronte della accertata presentazione di domanda di condono – non ha applicato la sospensione di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 38. 4. Il ricorso proposto nell’interesse della S. (articolato sulle medesime doglianze di cui è stata dianzi evidenziata l’infondatezza) deve essere dichiarato inammissibile, poichè tardivo.
Risulta, infatti, che:
che la sentenza di appello, pronunciata il 16.11.2007, è stata depositata il 27.11.2007 (entro il termine di 60 giorni preventivamente indicato nel dispositivo letto in udienza);
che l’avviso di deposito con l’estratto della sentenza è stato notificato all’imputata contumace ed ai difensori l’1.2 ed il 18.2.2008;
che il ricorso per cassazione è stato presentato il 16.4.2008, ma a quella data era già inutilmente decorso il termine per proporre impugnazione (di giorni 45), decorrente dal 18.2.2008 e scaduto il 3.4.200. 5. A norma dell’art. 616 c.p.p., segue l’onere solidale delle spese del procedimento e alla declaratoria di inammissibilità per la S. – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa della ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – segue altresì, per la stessa, l’onere ulteriore del versamento, in favore della Cassa delle Ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., rigetta il ricorso del D. e dichiara inammissibile quello della S..
Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali nonchè la sola S. al versamento della somma di Euro mille/00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *