Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 28-04-2011) 10-06-2011, n. 23434

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Vigevano, con sentenza dell’11/11/09. ha dichiarati) B.L. e G.P. colpevoli del reato di cui all’art. 110 c.p. e D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 1, perchè, in concorso tra loro, il primo quale amministratore delegato, e la seconda quale presidente della società "Impresa Brogioli s.r.l." effettuavano, all’interno dell’impianto ubicato in strada (OMISSIS) del Comune di Pieve del Cairo, l’attività di recupero di rifiuti speciali non pericolosi, in assenza del prescritto titolo abilitativo. in quanto la suddetta attività, già esercitata con procedura semplificata, ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 33, era stata sospesa con disposizione provinciale, n. 109 del 18/8/04. I prevenuti sono stati condannati alla pena dell’ammenda di Euro 6.000.00 il B. e di Euro 3.000.00 la G..

Propongono autonomi ricorsi per cassazione i prevenuti a mezzo del loro difensore, avanzando in parte identici motivi:

– vizio di motivazione e violazione di legge in ordine alla affermata rilevanza penale della condotta ascritta agli imputati, in quanto erra il giudice di merito nell’equiparare lo svolgimento di attività di trattamento di rifiuti non pericolosi, in assenza della prescritta autorizzazione, alla attività di vaglio di inerti in spregio a provvedimento di sospensione temporanea della predetta autorizzazione;

– il reato è da ritenere estinto per prescrizione, visto che le sospensioni del relativo termine non vanno computate secondo il calcolo effettuato dal decidente; in particolare in relazione al rinvio concesso per impedimento a comparire dell’imputato;

– per la G. viene formulata una ulteriore censura. che attiene alla attribuzione di responsabilità in capo alla prevenula, che, come dimostrato in dibattimento, era estranea, di fallo, alla attività svolta dalla società, pur risultando, formalmente, presidente di essa.
Motivi della decisione

I ricorsi sono inammissibili.

La argomentazione motivazionale, adottata dal decidente a sostegno della confermata colpevolezza dei prevenuti, si palesa del tutto logica e corretta.

Quanto alla prima censura si osserva che la sospensione della autorizzazione inibisce al titolare di essa di proseguire nella attività, e qualora, come nella specie, venga accertato che l’interessato abbia perseverato nell’esercizio della detta attività, tale condotta è inquadrarle nella sfera dell’illecito penale, sanzionata dall’art. 256, comma 1, perchè equiparata al comportamento del soggetto che recupera rifiuti speciali non pericolosi in difetto originario di titolo abilitativo.

La autorizzazione, infatti, determina la liceità di tutte le fattispecie previste come reato dall’art. 256 ed il venir meno di detto titolo abilitativi, anche se determinato da sospensione temporanea, fa sì che l’eventuale attività esercitata concretizzi il reato in esame.

Del pari, manifestamente infondata si rivela la eccezione di prescrizione della contravvenzione contestata, visto che i due rinvii, che hanno determinalo la sospensione della decorrenza del relativo termine sorto conseguenti a istanze del difensore, determinate, una per impedimento della parte, l’altra, per esigenze di difesa.

Orbene, nella specie trattandosi di reati contravvenzionali, la normativa più favorevole, applicabile è quella antecedente all’intervento legislativo determinato dalla L. n. 251 del 2005, per cui la sospensione del termine prescrizionale, determinato da impedimento dell’imputato o del difensore, va computata non nel termine di giorni 60, come disposto dal nuovo dettato normativo, bensì per l’intero tempo del rinvio del processo.

Peraltro, pur volendo ritenere fondata la tesi della difesa, egualmente non risulta maturata la prescrizione al momento della pronuncia della sentenza di appello: fatto accertato in data 7/2/05 + anni 4 e mesi 6 – 7/8/09 sospensioni di giorni 60 + 60 – 5/12/09, data successiva alla sentenza dell’11/11/09.

Sul motivo formulato esclusivamente dalla G., il giudice ha argomentalo logicamente, rilevando come sia inverosimile la tesi sostenuta dalla difesa, secondo la quale la prevenuta ignorava ciò che si verificava nell’azienda, amministrata e gestita di fatto, esclusivamente, dal B., in quanto l’imputata partecipava regolarmente ai consigli di amministrazione, presiedendoli e disponendo del potere di firma, e aveva avuto conoscenza del provvedimento di sospensione della attività dell’azienda di famiglia (notificatole personalmente). Appare evidente che costei avrebbe dovuto garantire, nella sua posizione, il rispetto del divieto prescritto dall’Ente preposto.

Va, osservato, inoltre, che la inammissibilità del ricorso dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il corretto istaurarsi del rapporto di impugnazione e preclude di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità, ex art. 129 c.p.p. (Cass. S.U. 22/12/2000, De Luca).

Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, resa dalla Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il B. e la G. abbiano proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, gli stessi, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. devono, altresì, essere condannati al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1000,00 ciascuno.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000.00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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