Cass. civ. Sez. V, Sent., 13-09-2013, n. 20975

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il nucleo di polizia tributaria del Piemonte sottoponeva a verifica le attività della Gestioni finanziarie e immobiliari Gefim s.p.a. – società operativa nel settore edilizio ed immobiliare – per gli anni dal 2002 al 2004 e redigeva, all’esito, un p.v.c. sulla cui base l’Ufficio emetteva a carico della società, per quel che qui interessa, l’atto di contestazione n.R31 (OMISSIS) e l’avviso di irrogazione delle sanzioni (OMISSIS) procedendo alla irrogazione, per l’anno 2004, di sanzioni per violazioni in materia di IVA. 2. La contestazione ha riguardato, in particolare la mancata contabilizzazione, all’atto della stipulazione, dei corrispettivi relativi ai contratti di locazione con patto di futura vendita e dei contratti di locazione con prelazione di vendita, recuperando le sanzioni per tardivo versamento IVA. 3. La società contribuente e l’Agenzia delle Entrate proponevano ricorso innanzi alla CTP di Torino che confermava la legittimità della pretesa fiscale.

4.La società contribuente ha proposto appello innanzi alla CTR del Piemonte, la quale confermava integralmente la sentenza impugnata, rigettando il gravame con sentenza pubblicata il 30 settembre 2011 n. 62/31/11.

4.1 Secondo la CTR il primo giudice aveva correttamente considerato che ai fini della contabilizzazione regolata dal D.P.R. n. 917 del 1987, art. 75, comma 2, lett. a), andava considerato il momento della stipulazione dei contratti di locazione immobiliare con clausola di trasferimento della proprietà del bene locato "vincolante per entrambe le parti", non rilevando che il passaggio del dominio fosse successivo. Tale conclusione sarebbe stata comunque corretta, anche a volere considerare l’esistenza di un collegamento negoziale fra locazione e preliminare di vendita, proprio in relazione alla causa in concreto perseguita dalle parti, sovrapponibile a quella risultante dall’inquadramento dell’intesa nell’alveo della locazione con clausola di trasferimento della proprietà.

5. La società contribuente ha proposto ricorso per Cassazione affidato a 2 motivi, al quale ha resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso. La società contribuente ha depositato memoria ed ulteriori note scritte all’esito dell’udienza.
Motivi della decisione

6. Con la prima complessa censura, la società ricorrente prospettata la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2 comma 2, n. 2, e art. 6, comma 1 seconda parte, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omessa o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Lamenta che aveva errato la CTR nel qualificare i contratti posti in essere con i singoli privati come locazioni con patto di futura vendita immediatamente vincolanti per entrambe le parti o comunque come collegamento negoziale fra locazione e preliminare di vendita.

6.1 Dette pattuizioni, infatti avevano avuto ad oggetto la conclusione di un reale contratto di locazione con successiva vendita effettiva del bene locato, al termine della locazione, non potendosi configurare una vendita rateale del bene stesso. Pertanto, le conclusioni assunte dalla CTR sarebbero state corrette solo nel caso in cui le parti avessero concretamente concordato di versare i canoni di locazione in conto prezzo di vendita. Circostanza, quest’ultima, che doveva escludersi nel caso di specie, come risultava dai contratti prodotti nel corso del giudizio, nei quali la macroscopica difformità di importo fra i canoni di locazione – fissati a prezzi di mercato – e prezzo di vendita oltre che l’oggetti va rilevanza dell’importo pattuito come corrispettivo escludeva in radice la sussumibilità delle intese nell’ambito delle vendite rateali di immobili o della locazione con patto di futura vendita.

6.3 Aggiunge che tali circostanze di fatto erano state ampiamente provate nel corso del giudizio e risultavano incontestate tra le parti, alla stregua dell’art. 115 c.p.c.. Precisa che il collegamento negoziale pur esistente fra locazione e preliminare di vendita non consentiva, per le ragioni esposte, di applicare il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 2, avendo pertanto la CTR ricostruito in modo erroneo la ratio della norma anzidetta, chiaramente improntate ad evitare finalità antielusive.

6.4 In via graduata, la società contribuente ha ipotizzato l’omessa motivazione sul fatto che i corrispettivi relativi alla locazione ed alla vendita erano commisurati ai valori di mercato, specificando che se la CTR avesse adeguatamente ponderato tale circostanza, avrebbe dovuto escludere la sussistenza di una vendita rateale.

6.5 Deduce, in ulteriore subordine, la contraddittorietà della motivazione della sentenza la quale, con riferimento alla contestazione relativa all’ICI addebitata ai promissari acquirenti – non impugnata dalla stessa ricorrente innanzi a questa Corte – aveva fatto propria la ricostruzione del rapporto come preliminare ad effetti anticipati, secondo la quale si realizza un collegamento tra comodato e mutuo. Appariva dunque evidente Fincoerenza logica fra le ragioni esposte all’interno della sentenza, una volta che lo stesso giudice aveva ipotizzato un collegamento negoziale fra locazione e vendita quanto agli accordi fra clienti e Gefim ed al tempo stesso riconosciuto che la medesima intesa potesse qualificarsi come nesso di collegamento fra comodato e mutuo.

7. L’Agenzia delle Entrate ha dedotto l’infondatezza della censura, evidenziando che il giudice di appello aveva non solo ritenuto inquadrabile la fattispecie nell’ambito della locazione con patto di futura vendita immediatamente vincolante fra le parti – come era del resto confermato dall’allegato 13 al p.v.c. – ma anche ritenuto che, in ogni caso, l’intesa era sussumibile nell’ambito del collegamento negoziale fra locazione e preliminare di vendita, idoneo ad ottenere un risultato analogo a quello proprio della locazione con patto di futura vendita.

8. La complessa censura è inammissibile e, comunque, infondata per le ragioni di seguito esposte.

8.1 Il preliminare test di ammissibilità, invero, impedisce a questa Corte di vagliare la doglianza nella parte in cui ipotizza una valutazione fattuale dei contratti conclusi fra Gefim e singoli clienti diretta ad ottenere un risultato diverso da quello al quale è motivatamente e congruamente pervenuto il giudice di appello.

Laddove, infatti, la società intende in questa sede sostenere che i contratti in esame – nemmeno, peraltro riprodotti in ricorso, in difformità rispetto a quanto previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6-, contenendo l’indicazione di corrispettivi fissati ai valori di mercato tanto con riferimento alla locazione che alla successiva vendita, al dichiarato fine di escluderne la sussumibilità nell’alveo della locazione con patto di futura vendita o della locazione collegata a preliminare di vendita intende, in definitiva, condurre la Corte verso una valutazione fattuale degli elementi negoziali che, per converso, è alla stessa impedita.

8.2 In sostanza, il motivo è inammissibile perchè introduce la questione della qualificazione giuridica di una clausola contrattuale. Ed è noto che le questioni attinenti all’interpretazione di un contratto, ove – come nella specie – correttamente delibate e decise sono indeducibili in sede di legittimità, in quanto si traducono in una indagine di fatto (v., ex plurimis, Cass. n. 28697/2005; Cass. n. 1508/2001).

8.3 Infatti, secondo un principio costituente diritto vivente nella giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 17088/2008, Cass. sez. lav. n. 16036/2008; Cass. sez. lav. n. 15795/2008; Cass. n. 4178/2007), l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata, mirando a determinare una realtà storica e obiettiva, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito ed è censurabile soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale, qualora gli accordi intercorsi tra le parti siano consacrati in un atto scritto, e per vizi di motivazione, qualora quella adottata sia contraria a logica e incongrua, tale, cioè, da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione.

8.4 Ora, proprio con specifico riferimento al collegamento negoziale questa Corte non ha mancato di sottolineare che ai fini della qualificazione giuridica della situazione negoziale, per accertare l’esistenza, l’entità, la natura, le modalità e le conseguenze di un collegamento funzionale tra negozi realizzato dalle parti occorre un accertamento del giudice di merito che passi attraverso l’interpretazione della volontà contrattuale e che, se condotto nel rispetto dei criteri di logica ermeneutica e di corretto apprezzamento delle risultanze di fatto, si sottrae al sindacato di legittimità – cfr. Cass. 7524/2007-.

8.5 Orbene, nel caso concreto, per quanto è dato desumere dagli atti sui quali la Corte può deliberare, l’operazione interpretativa svolta dal giudice di merito è partita dall’esame del D.P.R. n. 917 del 1987, art. 75, comma 2, lett. a), e dalla previsione in esso contemplata, che ai fini della determinazione del principio di competenza in tema di contabilizzazione dei ricavi individua, quale momento rilevante per i contratti di locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti – stipulati pacificamente nell’ambito di un progetto di edilizia convenzionata -, quello della vendita con riserva di proprietà che appunto è collegato all’atto della stipulazione dell’atto per gli immobili. Ora, va detto che analoga previsione prevede la disciplina in tema di IVA, alla cui stregua (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 1, n. 2, e art. 6, comma 1 seconda parte)…Costituiscono inoltre cessioni di beni: 1) le vendite con riserva di proprietà; 2) le locazioni con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti e… Le cessioni di beni si considerano effettuate nel momento della stipulazione se riguardano beni immobili e nel momento della consegna o spedizione se riguardano beni mobili. Tuttavia le cessioni i cui effetti traslativi o costitutivi si producono posteriormente, tranne quelle indicate all’art. 2, nn. 1) e 2), sì considerano effettuate nel momento in cui si producono tali effetti e comunque, se riguardano beni mobili, dopo il decorso di un anno dalla consegna o spedizione.

8.6 Orbene, la Ctr, nel ritenere corretta la irrogazione delle sanzioni per tardivo versamento dell’IVA irrogate dall’Ufficio sul presupposto che la società contribuente aveva omesso di contabilizzare il corrispettivo pattuito per la vendita all’atto della stipula del contratto, ha considerato l’esistenza di una pattuizione volta al trasferimento della proprietà contemplata all’interno del contratto che pure disciplinava la locazione dei singoli cespiti immobiliari e che era immediatamente vincolante per entrambe le parti, tanto da consentire, alla scadenza della locazione, l’attivazione dello strumento di cui all’art. 2932 c.c., attraverso il quale ciascuno dei contraenti avrebbe potuto determinare giudizialmente, in caso di mancata volontaria stipulazione del contratto di trasferimento del bene, gli effetti traslativi ai quali era finalizzata la contrattazione. Ed è ben chiaro che individuando le modalità di versamento, a carico del conduttore futuro acquirente, le parti non avevano certo ipotizzato di postergare l’obbligo di trasferire la proprietà dell’immobile, invece immediatamente concordata all’atto della consegna del bene, tanto da quantificare contestualmente il corrispettivo della vendita con riferimento al valore del bene al momento della locazione e non a quello in cui la proprietà sarebbe transitata in capo al conduttore anzidetto.

8.7 In definitiva, l’unico modo per consentire a questa Corte il sindacato in ordine alla qualificazione dell’intesa negoziale sollecitato dalla società contribuente sarebbe stato quello di evidenziare, sul versante della congruità della motivazione, elementi fattuali non adeguatamente ponderati dal giudice di merito alla cui stregua la qualificazione operata dalla CTR sarebbe risultata incongrua.

8.8 Ma nel caso di specie la società contribuente non ha ritualmente dedotto alcun elemento dal quale potere inferire che il corrispettivo indicato come dovuto al termine della locazione nei singoli contratti esaurisse il valore del prezzo della compravendita ovvero risultasse condizionato – negativamente – dai pregressi pagamenti dei corrispettivi per la locazione, limitandosi ad un esame "a campione" delle pattuizioni contenute nei contratti esaminati nella censura senza che a questo fosse affiancato un adeguato supporto probatorio rispetto a quanto dalla stessa postulato in ordine alla conformità dei corrispettivi (di locazione e di vendita) ai valori di mercato.

Circostanza, quest’ultima, della quale questa Corte non può che dubitare, se si considera che dallo stesso ricorso proposto dalla società contribuente – che pure la stessa ricorrente richiama specificamente all’interno della censura qui esaminata – emerge che taluni dei contratti conclusi dalla medesima società presentavano una regolamentazione tutt’affatto diversa da quella esposta "a campione" dalla Gefim all’interno del primo motivo di ricorso-v. ad esempio pagg. 16 ss. e pagg. 29 ss ricorso ove si riportano diversi contratti in cui i prezzi dei vari immobili venivano indicati in importi variabili – Euro 129.600,00, Euro 162.300,00,Euro 224.900,00, Euro 259.819,76 – e risultavano canoni locativi variabile con il versamento, a cadenze variegate, di diversi acconti variabili di prezzo ed un saldo prezzo finale – particolarmente esiguo- rispettivamente, Euro 23.300,00, Euro 22.800,00, Euro 40.000,00, Euro 38.019,76 – da corrispondere all’atto della conclusione del rogito notarile-. Rimane, pertanto, apodittica ed irrazionale l’affermazione della ricorrente per cui l’autonomia delle pattuizioni si sarebbe dovute desumere dall’oggettiva rilevanza dall’importo pattuito a titolo di prezzo (importo di per sè idoneo a costituire prezzo indipendentemente dai canoni precedentemente pagati).

8.9 D’altra parte, l’affermazione, postulata dalla società contribuente, per la quale la locazione e la vendita successiva integravano dei contratti totalmente autonomi fra loro avrebbe richiesto la dimostrazione, da offrire all’esame di questa Corte, non soltanto dell’effettiva congruità dei rispettivi corrispettivi concernenti la locazione e la vendita rispetto ai singoli cespiti, ma anche dell’inesistenza di quella ragione pratica dell’intesa negoziale che, secondo la CTR, avrebbe comunque caratterizzato i due contratti(locazione e preliminare di vendita) – ove fossero stati considerati esistenti – rivolta a realizzare fin dall’inizio il vincolo al trasferimento della proprietà all’atto stesso della scadenza del contratto di locazione. Ragione pratica che il giudice di appello, puntualmente conformandosi alle più recenti tendenze dottrinali e giurisprudenziali in tema di causa concreta – per cui v., specificamente, Cass. S.U. n. 3947/2010 -, ha adeguatamente sviluppato cogliendo puntualmente nell’intesa negoziale raggiunta dai contraenti la sintesi degli interessi reali che il contratto stesso era diretto a realizzare (al di là del modello, anche tipico, adoperato), appunto tesi a consentire l’immediato godimento del cespite immobiliare fino alla data di stipula dell’atto di trasferimento con contestuale versamento del corrispettivo finale predeterminato.

8.10 Va peraltro considerato che la motivazione espressa dalla CTR appare conforme a diritto oltrechè pienamente logica e coerente la ricostruzione operata dal giudice di appello, ad onta di quanto postulato dalla società contribuente.

8.11 Quanto al primo aspetto, infatti, il giudice di merito è partito dall’esame del D.Lgs. n. 917 del 1986, art. 75, comma 2, lett. a), ricordando che ai fini dell’imputazione a periodo dei componenti di reddito, la disposizione appena richiamata prevede, ai fini fiscali, l’assimilazione della locazione con patto di trasferimento della proprietà alla vendita con riserva di proprietà.

8.12 Il criterio appena ricordato risulta riproposto in ambito IVA ove il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 2, comma 2, elencando le operazioni assimilate alle cessioni di beni, pur in difetto dei requisiti generali dettati dal primo comma, include le vendite con riserva di proprietà e le locazioni con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti. Ragione per cui, tanto nel caso di vendita con riserva di proprietà che il quello della locazione con patto di futura vendita, il differimento del trasferimento della proprietà non rileva ai fini IVA e l’operazione, quanto all’individuazione del momento di contabilizzazione, deve essere trattata come una ordinaria cessione di beni, soggetta a IVA per l’intero corrispettivo al momento in cui viene effettuata ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6.

8.13 Orbene, non può dubitarsi, rispetto alla ricostruzione operata dalla società contribuente, che la vendita rateale con riserva di proprietà e la locazione con imputazione a riscatto (di cui all’art. 1526 c.c.) costituiscono ipotesi ben diverse rispetto alla locazione con preliminare di vendita. Se, infatti, nei primi due casi i pagamenti (rate/canoni) sono satisfattivi del prezzo, nell’altro i pagamenti costituiscono il corrispettivo del godimento dell’alloggio per gli anni previsti, mentre il prezzo di vendita resta autonomamente predeterminato ed è di per sè stesso indipendente dai canoni versati. Ma contrariamente all’assunto della contribuente – v.

pag. 4 memoria – l’art.75 cit. non richiama affatto le sole fattispecie di cui all’art. 1526 c.c., parlando di locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue la parti. Ciò che non esclude affatto il caso del collegamento negoziale di locazione e compravendita, ancorchè in successione temporale, perchè ciò che conta è solo l’esistenza di un vincolo giuridico alla compravendita per entrambe le parti.

8.14 In definitiva, il giudice di merito ha correttamente inteso la ratio della disposizione appena evocata, riproposta nell’art. 109 TUIR attualmente in vigore la quale supera, ai fini fiscali, le differenze che pure caratterizzano le due tipologie negoziali in campo civilistico- vendita con riserva di proprietà e locazione con patto di futura vendita- posto che nella prima al compratore si trasferiscono fin da subito tutti i rischi legati alla perdita e al deterioramento del bene – il quale ultimo transita automaticamente nel dominio dell’acquirente senza necessità di un ulteriore atto- mentre nella locazione con patto di futura vendita il conduttore ordinariamente non risponde del perimento del bene o del deterioramento dovuto a vetustà, diventando proprietario al termine della locazione solo per effetto di un successivo (ed ulteriore) contratto.

8.15 La CTR ha quindi ritenuto che i contraenti volevano, al momento della conclusione del negozio giuridico e della concessione in godimento, il verificarsi dell’effetto traslativo della proprietà.

Ed è evidente come siffatta qualificazione del giudice di merito rispondeva integralmente alla finalità prettamente antielusiva perseguita dal ricordato art. 75, per l’appunto rivolta ad evitare che, mediante la stipulazione di un contratto di locazione con patto di futura vendita, fosse indebitamente rinviata al futuro, da parte del venditore o del locatore, l’imputazione a periodo dei componenti di reddito. Del resto, secondo la dottrina e la prassi, si ritiene che l’intento che ha spinto il legislatore ad introdurre – ai fini dell’individuazione dell’esercizio di competenza fiscale – una previsione specifica per la vendita con riserva di proprietà e per la locazione con patto di futura vendita vincolante per entrambe le parti, sia quello di porre un freno a possibili iniziative dei contribuenti che, mediante la locazione di un bene immobile con patto di futura vendita vincolante per entrambe le parti (seguita dalla eliminazione del bene stesso dall’attivo del bilancio), intendano rilevare la plusvalenza emergente dall’operazione solo al momento del successivo trasferimento formale della proprietà, al termine della durata del contratto di locazione.

8.16 Resta, allora, confermato che l’art. 75 ult. cit. – come il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 2, n. 6, e art. 6 – riguarda fattispecie tra loro non omogenee dal punto di vista civilistico le quali, tuttavia, ai fini fiscali, trovano un’unica regolamentazione quanto ai principio in tema di contabilizzazione.

8.17 Parimenti immune da vizi di ordine logico deve ritenersi la sentenza impugnata laddove ha stimato che l’intesa negoziale, fin dall’inizio protesa ad ottenere l’acquisto dell’immobile, era strutturata in modo da rendere immediatamente vincolante fra le parti l’obbligo di trasferire la proprietà alla scadenza del contratto.

Ragion per cui, anche l’eventuale congruità dei singoli corrispettivi- rispettivamente fissati per il godimento dell’immobile e per il trasferimento della proprietà – non elideva il nesso di collegamento esistente fra le due pattuizioni, pur ipotizzato dalla CTR e la ragione pratica perseguita dalle parti, volta ad ottenere l’immediata disponibilità dell’immobile con il pagamento di un canone locativo e, alla scadenza del periodo concordato, il pagamento di un corrispettivo finale per la vendita. Il che, in definitiva, in mancanza di elementi ulteriori – che solo la società contribuente avrebbe dovuto fornire – non poteva che indurre il giudice di merito a considerare la locazione conclusa con il patto di futura vendita ovvero l’esistenza di un collegamento negoziale fra i due rapporti(locazione con preliminare di vendita). Ed è appena il caso di evidenziare che proprio l’esistenza di detto collegamento non è certo in contrasto con la prioritaria ricostruzione operata dallo stesso giudice di merito, anzi evidenziandosi che questa Corte non ha mancato di ritenere, in passato considerato, a proposito delle assegnazioni di alloggi di edilizia economica e popolare in locazione con patto di futura vendita, che le stesse si caratterizzavano per l’esistenza di due distinti contratti tra loro interferenti, appunto costituiti dalla locazione e dal preliminare di vendita – cfr. Cass. n. 1443/1961-.

8.18 D’altra parte, la circostanza che detti corrispettivi sarebbero stati fissati al prezzo di mercato non poteva apparire pacifica, come prospetta la società contribuente evocando il principio di non contestazione – rispetto al quale non mancano, ancora, nella giurisprudenza di questa Corte, posizioni particolarmente severe rispetto alla concreta valenza di tale canone all’interno del processo – cfr., ad es.. Cass. n. 20211/2012, secondo la quale affinchè il fatto allegato da una parte possa considerarsi pacifico, sì da poter fondare la decisione ancorchè non provato, non è sufficiente la mancata contestazione, occorrendo che la controparte ammetta il fatto esplicitamente o che imposti il sistema difensivo su circostanze e argomentazioni logicamente incompatibili con la sua negazione che si contrappone a Cass. n. 8213/2013, secondo la quale la mancata contestazione di un fatto addotto dalla controparte ne rende superflua la prova, conferendogli carattere non controverso, e ciò sia per il sistema delle preclusioni, il quale comporta per le parti l’onere di collaborare al fine di circoscrivere la materia controversa, e sia per il principio di economia, che deve informare il processo, alla stregua dell’art. 111 Cost..

E ciò per un duplice ordine di motivi.

8.19 Per un verso, infatti, era la stessa società contribuente a dichiarare che "il prezzo di vendita dell’alloggio è anche questo coerente con i prezzi di mercato, se pur riducibile in parte per effetto del contributo" – cfr. pag. 19 ricorso-.

8.20 E’ poi da evidenziare che i passi delle difese dell’Agenzia riportati dalla società contribuente non appaiono affatto idonei a consentire una valutazione di non contestazione della detta corrispondenza dei corrispettivi ai valori di mercato.

8.21 Dato per ammesso, infatti, che una circostanza dedotta da una parte possa ritenersi pacifica – in difetto di una norma o di un principio che vincoli alla contestazione specifica – se essa sia esplicitamente ammessa dalla controparte o se questa, pur non contestandola in modo specifico, abbia improntato la difesa su circostanze o argomentazioni incompatibili col suo disconoscimento – cfr. Cass. n. n. 23816/2010 – non emerge dagli atti difensivi dell’Agenzia richiamati dalla società contribuente un’ammissione specifica di tali fatti.

8.22 In questa direzione milita l’uso del termine "Quand’anche", ricorrente nelle difese dell’Agenzia al solo fine di confermare la piena applicabilità del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 2, lett. a), nella versione ratione temporis vigente – anche all’ipotesi di inquadramento della relazione negoziale nell’ambito del collegamento negoziale fra locazione e preliminare di vendita, appunto correlata alla ragione pratica che aveva ispirato le parti.

8.23 Nessuna specifica e compiuta ammissione in ordine alla fissazione dei canoni di locazione e dei prezzi di vendita ai valori di mercato si rinviene, dunque, negli scritti difensivi dell’Agenzia, piuttosto emergendo che quest’ultima non negò che non vi era stato "un trasferimento immediato della proprietà".

8.24 Senza dire che la società contribuente ha, nella sostanza, inammissibilmente – cfr. Cass. n. 8764/2013 – evocato il principio di non contestazione rispetto alla qualificazione giuridica del contratto- v., infatti, come già ricordato, il punto del ricorso introduttivo richiamato dalla società contribuente, allorchè la stessa affermava che "…il prezzo di vendita dell’alloggio è anche questo coerente con i prezzi di mercato, se pur riducibile in parte per effetto del contributo, ma comunque non si configura, come nel caso citato dalla Risoluzione ministeriale, una sostanziale vendita con pagamento del prezzo rateizzato in 25 anni".

8.25 Fuori bersaglio appare, infine, la censura prospettata in via ulteriormente graduata all’interno del primo motivo di ricorso a proposito dell’incongruenza fra la parte della motivazione che aveva individuato un collegamento negoziale fra locazione e preliminare di vendita e quella in cui, esaminando la diversa ed autonoma questione relativa all’assoggettabilità ad IVA dell’ICI corrisposta dal promittente venditore in favore dei clienti o riaddebitata ai predetti, nella quale la CTR aveva fatto riferimento alla figura del contratto preliminare ad effetti anticipati che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, sarebbe caratterizzato, in parte qua, dal collegamento fra il contratto di comodato e quello di mutuo.

8.26 Se, infatti, il vizio di contraddittorietà della motivazione ricorre solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la "ratio decidendi" che sorregge il "decisum" adottato, per cui non sussiste motivazione contraddittoria allorchè, dalla lettura della sentenza, non sussistano incertezze di sorta su quella che è stata la volontà del giudice – cfr. Cass. S.U. n. 25984/10; Cass. n. 17477/2007-, non può ravvisarsi, ad onta di quanto postulato dalla società contribuente, il prospettato vizio, se solo si considera che la CTR, come si è detto, ha fornito ampia ed esaustiva motivazione delle ragioni poste a base della decisione e non ha in alcun modo utilizzato l’argomentazione (richiamata dalla parte ricorrente) a sostegno della decisione assunta con riguardo ad un autonomo capo della domanda, concernente la tempestività della contabilizzazione dei corrispettivi nell’ambito dei contratti di locazione con patto di futura vendita.

8.27 Ciò consente di escludere il vizio di contraddittorietà della motivazione rispetto ad altro capo della sentenza che ha definito, ormai in modo irrefutabile in ragione della mancata impugnazione sul punto da parte della società contribuente, la questione circa l’assoggettabilità ad IVA dell’ICI di cui si è detto. Opinando diversamente, infatti, si finirebbe con l’introdurre un sindacato sulla motivazione del giudice di merito che trascende dalla ratio decidendi posta a base del singolo capo di domanda esaminato dal giudice, in tal modo introducendo un vaglio di congruità fra questioni autonome assolutamente irrazionale, che nemmeno sembra trovare aggancio alcuno all’interno della disciplina prevista dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

8.28 Senza dire, in ogni caso, che, come già detto in precedenza, il riferimento alla qualificazione giuridica della vicenda in termini di collegamento negoziale fra locazione e preliminare di vendita venne operato dalla CTR come mera ipotesi alternativa a quella della locazione con patto di futura vendita vincolante per entrambe le parti, esprimendo, in modo coerente con le risultanze processuali e dunque in questa sede insindacabile, ciò che le parti avevano inteso realizzare attraverso lo schema negoziale utilizzato.

9. Con la seconda complessa censura la società contribuente deduce gradatamente: a) la violazione degli artt. 99 e 122 c.p.c., per omessa pronunzia, da parte della CTR, sulla domanda di non applicazione delle sanzioni, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; b) la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 61, e art. 37, comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

c) la violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6 commi 1, 2 e 4, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; d) l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

9.1 Secondo la società contribuente la CTR avrebbe omesso di esaminare le – o in ogni caso non avrebbe adeguatamente motivato sulle – questioni relative all’incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della normativa di riferimento e dell’errore di diritto incolpevole che la stessa aveva prospettato tanto in primo che in secondo grado, pure tralasciando di esaminare la dedotta conformità del contegno della medesima alla disciplina prevista dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 1, il quale esclude la punibilità delle condotte del contribuente che abbiano rispettato il criterio della continuità dei valori di bilancio e dei corretti criteri contabili, anch’essa puntualmente esposta innanzi alla CTP e riproposta davanti al giudice di appello.

10. L’Agenzia, nel controricorso, ha rilevato l’inammissibilità della censura.

11. Le censure, ammissibili in rito, risultando dall’esposizione dello stesso motivo di ricorso che la contribuente aveva prospettato già innanzi alla CTP le questioni in ordine alla non sanzionabilità della condotta relativa all’omessa contabilizzazione dei corrispettivi dei contratti di vendita nell’anno della stipula dei relativi contratti con riferimento ai profili riprodotti anche in questa sede, appaiono fondate quanto all’omessa pronunzia sulle stesse da parte del giudice di appello, sono però infondate nel merito.

11.1 E’ infatti vero che la CTR non ha fatto cenno alcuna alle questioni così come prospettate dalla società contribuente, nè è rintracciabile un rigetto implicito delle stesse in relazione alla ratio decidendi esposta con riguardo ai punti trattati dalla CTR. Occorre, dunque, passare all’esame della censura, posto che questa Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto – v. Cass. n. 2313/10,Cass. n. 5729/12 e Cass. 24914/11 -.

11.2 Venendo dunque al profilo correlato alla dedotta applicabilità della causa di non punibilità prevista dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 1 – come modificato da D.Lgs. n. 203 del 1998, art. 2 – a cui tenore "…Le rilevazioni eseguite nel rispetto della continuità dei valori di bilancio e secondo corretti criteri contabili e le valutazionì eseguite secondo corretti criteri di stima non danno luogo a violazioni punibili", la censura è priva di fondamento.

11.3 Va rammentato che la contribuente aveva sostenuto, anche in grado di appello, la non punibilità della condotta alla stessa ascritta senza tuttavia in alcun modo documentare e dimostrare la regolarità del proprio comportamento rispetto al parametro dei "corretti criteri contabili" che pure l’art.6 cit. evoca.

11.4 Ciò posto, va ricordato che alla stregua dell’art. 2423 c.c., comma 2, "il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società" e che l’art. 2423 bis c.c., comma 1, n. 1, chiarisce come "la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell’attività, nonchè tenendo conto della funzione economica e dell’elemento dell’attivo o del passivo considerato".

11.5 Quanto alle regole che devono presidiare alla corretta redazione del bilancio, è appena il caso di rammentare che rispetto alla questione qui accennata sarebbe stato onere della contribuente, pur in assenza di un esplicito richiamo normativo, fare esplicito riferimento non solo al criterio della continuità in bilancio, ma anche ai principi contabili OIC emanati dall’Organismo italiano di contabilità, individuare il principio pertinente e, conseguentemente, concludere nel senso della non punibilità, dimostrando la conformità della condotta ai criteri contabili corretti.

11.6 Ed, infatti, non è superfluo rammentare che anche rispetto alla questione prospettata dalla società contribuente – corretta appostazione in bilancio dei ricavi connessi ad un contratto di locazione con patto di futura vendita- si rinvengono, all’interno dei ricordati principi, diverse disposizioni, alcune delle quali riferibili alla vendita con riserva di proprietà, che proprio individuano la rilevazione del costo da parte dell’acquirente e la rilevazione del componente positivo di reddito da parte del venditore a partire dal momento della consegna o della spedizione del bene (principio n. 19). Ed è sempre all’interno degli stessi principi – integranti vere e proprie regole tecnico-ragionieristiche poste a base della corretta redazione del bilancio (cfr. Cass. n. 400/2013) – che si rinviene, peraltro, altra regola generale, a cui tenore per ciascuna operazione è indispensabile conoscere la sostanza economica – Principio contabile n. 11 – dello stesso qualunque sia la sua origine (contrattuale, legislativa ecc.). Ciò che finirebbe pienamente per confermare l’erroneità, anche dal punto di vista contabile, dell’operato della società contribuente che omettendo la contabilizzazione dei corrispettivi finali non si sarebbe conformata alla sostanza dell’operazione economica ed alla sua ragione pratica.

11.7 Risulta, in definitiva, evidente come la prospettata applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, da parte della società contribuente avrebbe imposto alla medesima un onere di allegazione e documentazione idoneo a confutare i superiori rilievi, al quale la stessa non ha in alcun modo ottemperato. La società contribuente, per converso, si è limitata ad assumere la correttezza dell’iscrizione in bilancio di acconti, caparre canoni di locazione e saldo prezzo come debiti e ricavi nel corso degli anni senza tuttavia affrontare il dato rilevante ai fini della corretta contabilizzazione delle voci contrattuali nei termini sopra esposti.

11.8 V’è ancora da aggiungere che se anche la contribuente avesse dimostrato la correttezza contabile – circostanza sulla quale, peraltro, l’Agenzia delle Entrate, sia pure posteriormente rispetto alle vicende per cui è causa, non ha mancato di esprimere il proprio avviso (Ris. n. 338/2008) – è dato dubitare che l’inosservanza dei principi in tema di competenza ai fini della contabilizzazione dei ricavi possa integrare l’ipotesi scriminante di cui al ricordato art. 6, comma 1.

11.9 Ed infatti, di nessun rilievo è, anzitutto, il richiamo alla disciplina penalistica alla quale pure la contribuente ha fatto cenno – art. 7 ci prima parte D.Lgs. n. 74 del 2000, a cui tenore "Non danno luogo a fatti punibili a norma degli artt. 3 e 4, le rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio eseguite in violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza ma sulla base di metodi costanti di impostazione contabile, nonchè le rilevazioni e le valutazioni estimative rispetto alle quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio "-, se solo si considera la pacifica autonomia fra le sanzioni di natura fiscale tributaria e quelle penali.

11.10 D’altra parte, non può infatti revocarsi in dubbio, che nell’ordinamento tributario il principio di competenza assume tratti di assoluto rilievo.

11.11 Giova rammentare, in proposito, che questa Corte ha più volte ritenuto che poichè "l’imputazione di un determinato costo ad un esercizio anzichè ad un altro ben può, in astratto, comportare l’alterazione dei risultati della dichiarazione, mediante i meccanismi di compensazione dei ricavi e dei costi nei singoli esercizi – deve ritenersi rigorosamente preclusa in tema di reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, la detrazione di costi in esercizi diversi da quello di competenza, giacchè il contribuente non può essere lasciato arbitro della scelta del periodo in cui registrare le passività (v. Cass. 3809/07, 16198/01, 7912/00)" – cfr., da ultimo, Cass. Sez. 5, n. 3418/2010 e Cass. n. 6331/2008 -.

11.12 Si tratta, a ben considerare, di un indirizzo risalente, che trae origine dall’affermazione esplicita per cui "le regole sull’imputazione temporale dei componenti di reddito sono inderogabili, sia per il contribuente che per l’ufficio finanziario e, pertanto, il recupero a tassazione di ricavi nell’esercizio di competenza non può trovare ostacolo nella circostanza che essi siano stati dichiarati in un diverso esercizio: ciò infatti finirebbe per lasciare il contribuente arbitro della scelta del periodo più conveniente in cui dichiarare i propri componenti di reddito con innegabili riflessi sulla determinazione del proprio reddito imponibile" – cfr. Cass. 15 novembre 2000 n. 14774; idem, Cass. 28 luglio 2006 n. 17195; Cass. 24 settembre 2008 n. 23987; Cass. n. 26665/2009; Cass. n. 3947/2011 e, da ultimo, da Cass. n. 1648/2013-.

11.13 Ciò consente fortemente di dubitare che l’art.6 cit. possa estendere il suo ambito operativo anche al caso della contabilizzazione di poste in spregio al principio di competenza, capace di modificare la base imponibile e, in definitiva la misura dei tributi dovuti nel singolo esercizio dal contribuente, soprattutto quando, come nel caso di specie, la condotta del contribuente abbia prodotto un differimento dell’imposizione e non un’anticipazione.

11.14 In definitiva, sembra doversi ritenere che l’adozione in continuità di bilancio di criteri contabili civilistici e/o internazionali ai quali fa riferimento l’art. 6, D.Lgs. ult.cit. in tanto è in grado di scriminare la violazione dei criteri fiscali, in quanto vi sia obiettiva e inevitabile incertezza tra i due i criteri.

Diversamente, chiunque, dinanzi alle non poche diversità dei criteri fiscali, potrebbe confidare nell’adozione di criteri civilistici e/o internazionali, se più favorevoli, ed attendere l’eventuale azione per poi giustificare il proprio operato alla stregua dei principi in tema di continuità contabile. E poichè nel caso di specie non appare esistente una situazione di obiettiva incompatibilità o incertezza tra criterio ordinario e criterio fiscale la causa esimente in esame non avrebbe comunque potuto operare, restando piena la responsabilità amministrativa ai fini delle sanzioni della parte contribuente.

11.15 Parimenti infondata è la doglianza in ordine alla ritenuta insussistenza di un’incertezza normativa sulla disciplina normativa in tema di contabilizzazione dei corrispettivi relativi a locazioni con patto di futura vendita.

11.16 Questa Corte è ormai ferma nel ritenere che in tema di sanzioni amministrative e correlati interessi moratori per violazioni di norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, alla stregua del D.Lgs. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8, postula una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, ossia insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento di interpretazione, in presenza di pluralità di prescrizioni di coordinamento difficoltoso per via di elementi positivi di confusione, che è onere del contribuente allegare; dette insicurezza ed equivocità, inoltre, vanno riferite non già ad un generico contribuente, nè a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata, all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere – dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione – cfr., ex plurimis, Cass. n. 4522/13-.

1.7. Orbene, la diversità di disciplina prevista fra l’art. 75 TUIR) e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, da un lato e D.P.R. n. 643 del 1972, art. 20, e art. 22, comma 3, non integra certo quella condizione idonea a giustificare l’operatività dell’art. 6, nella presente vicenda, trattandosi di discipline autonome. Ciò che è dimostrato dalle ragioni che inducono questa Corte ad indicare, ai fini del registro, la data dell’atto finale di assegnazione.

11.18 Sul punto, è sufficiente ricordare Cass. n. 17709/2007, ove si chiarisce che ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, l’imposta di registro è applicata in conformità alla intrinseca natura ed agli effetti giuridici dell’atto e, ancora più specificamente, Cass. n. 4099/1990. In tale ultima occasione questa Corte si è espressamente evidenziata l’autonomia fra le diverse discipline, affermando che "…il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 53, (ora D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75)" potrebbe "… delineare un principio di carattere generale applicabile anche nell’ambito della imposta di registro, solo se la normativa specifica che riguarda questa imposta non contenesse una propria enunciazione destinata a regolare la materia. Si intende alludere al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 19, (oggi D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20), secondo cui l’imposta è applicata in conformità alla intrinseca natura ed agli effetti giuridici dell’atto".

11.19 Cosiccome irrilevante, in quest’ambito, ai fini che qui si esaminano, risulta la circostanza che fra Gefim e clienti siano in corso delle nuove intese volte all’adeguamento dei prezzi di trasferimento degli immobili.

11.20 La censura va per l’effetto respinta.

12. Il ricorso va per l’effetto rigettato.

13. Le spese relative al giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in favore dell’Agenzia come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società contribuente alle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Quinta Civile, il 8 luglio 2013.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *