Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 28-04-2011) 10-06-2011, n. 23433 Costruzioni abusive Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza in data 3.2.2010 la Corte di Appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Lecce, sez. dist. di Maglie, con la quale B.C., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, era stata condannata per i reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) (capo a), D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 (capo b), art. 1161 cod. nav. (capo c), unificati sotto il vincolo della continuazione, dichiarava non doversi procedere in ordine ai reati ascritti ai capi a) e b) perchè estinti per prescrizione, rideterminando la pena per il residuo reato di cui al capo c) in giorni 20 di arresto, confermando nel resto e quindi anche in ordine alla concessa sospensione condizionale della pena.

La Corte territoriale ricordava che la realizzazione del manufatto adibito a chiosco-bar in contestazione era stato autorizzato con concessione edilizia n. 8, rilasciata dal Comune di Otranto in data 22.1.1997, e che nel provvedimento in questione si prescriveva che tutte le opere da realizzare dovessero essere di tipo precario in legno e stagionali, da rimuovere alla fine della stagione estiva. La prescrizione di rimuovere le opere derivava dal vincolo di inedificabilità assoluta vigente per le spiagge demaniali. Risultava pacificamente accertato, secondo la Corte di merito, che le opere non erano state più rimosse quantomeno dal 2002 per evitare le spese di smontaggio e di successivo ripristino. I reati di cui ai capi a) e b) dovevano però ritenersi prescritti.

Quanto al reato di cui al capo c), dava atto la Corte territoriale che era stata rilasciata dalla Regione Puglia concessione n. 468 del 15.7.2003 con durata di cinque anni (dall’1.1.2003 al 31.12.2008).

Tale concessione non prevedeva limitazioni d’uso; prevedeva, però, che, alla scadenza, il concessionario dovesse sgombrare a proprie spese l’area occupata e che (a pena di decadenza ex art. 47 c.n., lett. f)) dovesse munirsi di ogni autorizzazione richiesta per l’esercizio dell’attività ed in particolare di quelle in materia, urbanistica, di sicurezza e sanitaria.

Tanto premesso, riteneva la Corte che la realizzazione di un manufatto destinato a rimanere sul demanio marittimo a tempo indeterminato, in violazione delle norme che prevedono la inedificabilità assoluta, ed in violazione del titolo abilitativo rilasciato dal Comune, determinasse la decadenza della concessione demaniale. Essendo il reato permanente, e cessando la permanenza con il venir meno dell’occupazione, non era certo maturata la prescrizione.

2) Ricorre per cassazione B.C., a mezzo del difensore, denunciando il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di cui all’art. 1161 cod. nav. ed alla omessa declaratoria di estinzione dello stesso per prescrizione.

In relazione alla cessazione della permanenza del reato di cui all’art. 55 c.n., la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ritenuto che essa coincida con il momento della esecuzione delle opere (nel caso di specie come riconosciuto dai giudici di merito nel 2002).

La Corte territoriale aggira l’ostacolo, facendo riferimento ad una presunta occupazione del suolo demaniale stante la decadenza della concessione demaniale. Si sarebbe dovuto, allora, anche secondo tale inverosimile argomentazione, far riferimento alla concessione scaduta il 2002 (ma allora la permanenza sarebbe cessata in tale data). Il reato era, quindi, già prescritto al momento della pronuncia della sentenza di primo grado ed a maggior ragione alla data di emissione della sentenza di appello.

Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge in relazione agli artt. 55 e 1161 c.n.. La concessione demaniale veniva rilasciata in data 15.7.2003, con decorrenza retroattiva dall’1.1.2003, nello stato in cui si trovava il territorio marittimo, e quindi il provvedimento regolarizzava una situazione di fatto già esistente.

Eventualmente, la nuova concessione o non doveva essere rilasciata oppure poteva essere revocata dalla Regione Puglia, ma la revoca non poteva certo essere disposta dalla Corte di Appello in sostituzione della P.A..

3) Il ricorso è manifestamente infondato.

3.1) La Corte territoriale non si è certo sostituita alla P.A. nella revoca del provvedimento concessorio. Ha, invero, solo accertato che la concessione demaniale, come espressamente previsto dall’atto stesso, era subordinata al rispetto della normativa urbanistica ed al rilascio delle autorizzazioni edilizie, pena la decadenza della concessione medesima ex art. 47 c.n., lett. f.

Tali "condizioni" non risultavano rispettate, in quanto la ricorrente aveva realizzato, in contrasto con i vincoli di inedificabilità assoluta, un manufatto destinato a restare sul demanio marittimo a tempo indeterminato ed in contrasto con il titolo abilitativo rilasciato dal Comune che prevedeva un manufatto a carattere precario da rimuovere al termine della stagione estiva.

E’ ormai pacifico (a partire dalla sentenza delle sezioni unite di questa Corte del 21.12.1993, ric. Borgia) che il giudice penale, nel valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne la conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dalla concessione edificatoria. Il giudice, quindi, non deve limitarsi a verificare l’esistenza ontologica del provvedimento amministrativo autorizzatorio, ma deve verificare l’integrazione o meno della fattispecie penale "in vista dell’interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela" (nella specie tutela del territorio). E’ la stessa descrizione normativa del reato che impone al giudice un riscontro diretto di tutti gli elementi che concorrono a determinare la condotta criminosa, ivi compreso l’atto amministrativo (cfr. Cass. pen. sez. 3 21.1.1997-Volpe ed altri). Non sarebbe infatti soggetto soltanto alla legge ( art. 101 Cost.) un giudice penale che arrestasse il proprio esame all’aspetto esistenziale e formale di un atto sostanzialmente contrastante con i presupposti legali (Cass. pen. sez. 3 2.5.1996 n. 4421 – Oberto ed altri). Tutti tali condivisibili principi sono stati ribaditi da Cass. sez. 3 n. 11716 del 29.1.2001. 3.2) La decadenza della concessione demaniale, per il mancato rispetto delle condizioni nella stessa prevista, determinava la illegittimità della occupazione. Correttamente, quindi, ha ritenuto la Corte territoriale che, persistendo tale occupazione (nella contestazione si fa riferimento ad un accertamento "fino al 6.12.2005), non fosse maturato il termine di prescrizione.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte è occupazione abusiva ex art. 1161 cod. nav. l’acquisizione o il mantenimento senza titolo del possesso di uno spazio demaniale in modo corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento (cfr.

Cass. pen. sez. 3 n. 10960 del 6.10.1992; Cass. pen. sez. 3 n. 2853 del 12.2.1999). Con la conseguenza che del reato deve essere chiamato a rispondere chi, al momento dell’accertamento, abbia la materiale disponibilità del bene demaniale, in via immediata o in via mediata attraverso il manufatto sullo stesso realizzato, in quanto l’illecito consiste nel mantenere la zona demaniale indisponibile agli usi cui è deputata (Cass. pen. sez. 3, 10.3.2000-Parisi). Sotto l’aspetto "oggettivo0 il reato de quo non può che avere carattere permanente e cessare solo quando venga meno l’esercizio del potere di fatto sul bene, vale a dire fino a quando persistano, conservando il possesso dell’immobile, l’uso ed il godimento illegittimi. La permanenza si protrae, cioè, fino a quando persista, comunque, l’occupazione ed irrilevanti sono, conseguentemente, le vicende esterne di natura amministrativa o giurisdizionale.

Non ha alcuna incidenza sulla permanenza del reato l’eventuale emissione da parte dell’autorità amministrativa competente di ordinanza di sgombero e di rimessione in pristino dello stato dei luoghi (l’inosservanza del provvedimento integra piuttosto l’ulteriore reato di cui all’art. 1164 cod. nav.).

Altrettanto irrilevante è che la proprietà dell’opera realizzata sul suolo demaniale venga acquisita ope legis al patrimonio dello Stato. Il verificarsi dell’accessione incide sulla proprietà dei manufatti, ma non certo sull’uso ed il godimento del bene. Ne discende che, continuando l’occupazione senza titolo del manufatto realizzato su suolo demaniale, persiste il reato di cui agli artt. 54 e 1161 cod. nav.. Con il protrarsi dell’occupazione senza titolo il bene, infatti, viene mantenuto nella esclusiva disponibilità di chi lo utilizza, con sottrazione alla fruibilità collettiva (cfr. Cass. pen. sez. 3 12.12.2003-Duro). Non c’è dubbio quindi che, nell’ipotesi in cui l’occupazione sia avvenuta con la costruzione di un manufatto che l’agente continui ad usare ….. sia configurabile il reato in quanto l’uso del bene costituisce manifestazione univoca di illecito possesso di esso (cfr. Cass. pen. sez. 3 4.12.1995- Coppola; conf. sez. 3 n. 1950 del 16.1.1998-Reale). La permanenza del reato cessa, conseguentemente, o con lo sgombero del bene o con il rilascio di concessione "legittima". 3.2.1) Non pertinente è il riferimento, fatto dalla ricorrente, alla giurisprudenza in tema di art. 55 cod. nav..

E’ vero che le sezioni unite, con sentenza n. 17178/2002, hanno stabilito il principio che il reato di esecuzione, senza autorizzazione, di opere in zona distante meno di trenta metri dal demanio marittimo (cd. fascia di rispetto) previsto dagli artt. 55 e 1161 c.n., ha natura permanente e la relativa consumazione perdura fino al momento di cessazione dell’attività vietata. La condotta dell’agente non termina infatti con l’inizio dei lavori, protraendosi per tutta la durata degli stessi. Una volta completata l’opera, però, si determina il definitivo esaurimento dell’attività illecita, non potendo più il soggetto far cessare la situazione antigiuridica con l’adempimento del precetto. Sicchè la permanenza del reato cessa con la data di ultimazione dei lavori.

La ricorrente non tiene conto, però, che la contestazione riguarda l’abusiva occupazione di suolo demaniale e non la mancata osservanza della "fascia di rispetto". 3.3) Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma che pare congruo determinare in Euro 1.000,00 ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

E’ appena il caso di aggiungere che la manifesta infondatezza del ricorso preclude la possibilità di dichiarare la prescrizione, maturata successivamente alla emissione della sentenza impugnata.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento alla cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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