Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 28-04-2011) 10-06-2011, n. 23427 Costruzioni abusive Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 1.02.2010 la Corte d’Appello di Bari confermava la condanna alla pena di mesi 8 di reclusione Euro 400 di multa inflitta nel giudizio di primo grado a T.G. quale colpevole di avere eseguito su un immobile seminterrato, senza permesso di costruire, pilastri portanti in cemento armato e per avere violato i sigilli apposti al manufatto abusivo.

Proponeva ricorso per cassazione l’imputato denunciando violazione di legge e mancanza di motivazione:

– sulla ritenuta configurabilità delle contravvenzioni edilizie perchè non era stata realizzata una "costruzione" per la quale occorreva il permesso di costruire ma una pilastratura funzionale alla delimitazione di un’area, sovrastante il solaio di copertura di un locale seminterrato, destinata a parcheggio (opera pertinenziale prevista dalla legge regionale n. 11/2003 per l’insediamento di medie e grandi strutture di vendita);

– sul disconoscimento del suo diritto di costruire, ai sensi della L. n. 122 del 1989, autorimesse o parcheggi destinati a fabbricati esistenti soggetti ad autorizzazione gratuita;

– sul disconoscimento del suo diritto di eseguire ex D.Lgs. n. 387 del 2003 opere per la realizzazione di un impianto fotovoltaico;

– sul diniego della declaratoria di estinzione per prescrizione delle contravvenzioni essendo la permanenza del reato di cui all’art. 44, lett. b) della legge citata cessata col primo sequestro del cantiere (23.04.2005) e decorrendo il termine di prescrizione, per le altre contravvenzioni, dalla data del loro accertamento;

– sulla ritenuta configurabilità del delitto di cui all’art. 349 cod. pen. per la lacunosità degli accertamenti dei VV.UU., sicchè non era possibile stabilire se la situazione dei luoghi fosse diversa da quella riscontrata al momento del primo sopralluogo, circostanza negata dall’imputato e da un suo dipendente. Illogicamente, poi, non era stato dato credito a quanto riferito sulla rimozione delle casseforme di legno, che era stata necessita da un incidente sul lavoro ed effettuata a sua insaputa dai dipendenti. Non era ravvisabile, infine, l’elemento soggettivo del delitto.

Chiedeva l’annullamento della sentenza.

Il primo motivo censura con argomentazioni giuridiche palesemente erronee e in punto di fatto la decisione fondata, invece, su congrue argomentazioni esenti da vizi logico-giuridici, essendo stati esaminati gli elementi probatori emersi a carico dell’imputato e confutata ogni obiezione difensiva.

La prescrizione dell’obbligo di munirsi del permesso di costruire persegue le finalità di controllo del territorio e di corretto uso dello stesso ai fini urbanistici e edilizi, sicchè sono assoggettati al regime permissorio tutti gli interventi che incidono sull’assetto del territorio, comportando una trasformazione urbanistica e edilizia del territorio comunale, donde l’infondatezza dei rilievi dell’appellante secondo cui l’esecuzione – all’interno di un’area adibita a opificio industriale – di una sopraelevazione di un piano seminterrato mediante l’erezione di pilastri in cemento armato sarebbe penalmente irrilevante, rientrando, invece, tale opera nella figura giuridica di costruzione per la quale occorre, D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 10, comma 1, lett. a), il permesso di costruire, come per "le opere di ogni genere con le quali s’intervenga sul suolo o nel suolo, senza che abbia rilevanza giuridica il mezzo tecnico con cui sia stata assicurata la stabilità del manufatto, che può essere infisso o anche appoggiato al suolo, in quanto la stabilità non va confusa con l’irremovibilità della struttura o con la perpetuità della funzione a essa assegnata, ma si estrinseca nell’oggettiva destinazione dell’opera a soddisfare bisogni non provvisori, ossia nell’attitudine a un’utilizzazione che non abbia il carattere della precarietà, cioè non sia temporanea e contingente" (Cassazione Sezione 3^ n. 12022/1997, Fulgoni, RV. 209199).

Nel caso in esame, i giudici di merito hanno assolto l’obbligo della motivazione spiegando esaurientemente le ragioni del proprio convincimento e ritenendo infondati i rilievi dell’imputato per essere stato ampliato un edificio preesistente.

Non sono puntuali le censure sull’addotta destinazione dell’opera, realizzata sul solaio di un fabbricato seminterrato, a parcheggio o a sostegno di un impianto fotovoltaico essendo state tali prospettazioni ritenute, con logico argomentare, sganciate da qualsiasi dato obiettivo.

Sul punto va rammentato che per la L. n. 122 del 1989, art. 9, la realizzazione di box e di parcheggi interrati è consentita in base a semplice DIA solo nel caso in cui i proprietari di immobili realizzino nel sottosuolo degli stessi ovvero nel suolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato purchè non in contrasto con i piani urbani del traffico.

La costruzione di autorimesse o parcheggi destinati a pertinenza di fabbricati esistenti è soggetta ad autorizzazione gratuita, ai sensi della L. 24 marzo 1989, n. 122, come modificata dalla L. 15 maggio 1997, n. 127, art. 17 e dalla L. 7 dicembre 1999, n. 472, art. 37, a condizione che nella relativa domanda sia preventivamente indicato il fabbricato servito, di modo che sia immediatamente identificabile il vincolo funzionale previsto per la deroga alla normale sottoposizione al regime concessorio. (Sez. 3, n. 44010 del 09/11/2001 RV. 220741).

Peraltro, come affermato dalle Sezioni Unite civili, in tema di disciplina legale delle aree destinate a parcheggio, il vincolo di pertinenza ex lege a favore delle unità immobiliari del fabbricato ha carattere limitato e non si estende nemmeno ai parcheggi realizzati in eccedenza rispetto allo spazio minimo richiesto dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 18, quand’anche realizzati dallo stesso proprietario-costruttore (SU n. 12793 del 15/06/2005 RV. 581954).

Nella specie, mancano gli accordi circa la destinazione del locale non risultando assunto alcun impegno formale con l’amministrazione comunale, donde l’assoluta genericità dell’asserzione del ricorrente.

Anche la pretesa destinazione dell’opera quale sostegno di un impianto fotovoltaico, non solo manca di qualsiasi aggancio fattuale, ma è giuridicamente insostenibile stante che l’asserita futura istallazione – è stato ritenuto – si sarebbe innestata su un manufatto abusivo.

Trattasi di motivazione che si fonda su una lettura coerente delle risultanze processuali e, pertanto, immune dalle censure di manifesta illogicità.

Fondato è il motivo sulla prescrizione delle contravvenzioni.

La corte distrettuale ha fatto coincidere la cessazione della permanenza con la sentenza di primo grado con conseguente spostamento del termine finale non ancora maturatosi ma tale decisione è errata poichè non risulta che dopo l’ultimo sequestro del 4.07.2005 sia proseguita l’attività abusiva.

Conseguentemente le contravvenzioni si sono prescritte, per il decorso del termine massimo di anni 4 mesi 6, il 4.01.2010 prima della pronuncia della sentenza d’appello.

Va quindi annullata la sentenza impugnata con l’eliminazione della pena relativa alle contravvenzioni nella misura di mesi 4 di reclusione Euro 200 di multa stabilita dai giudici di merito.

Quanto al delitto, è stato ritenuto che il primo verbale di sequestro del manufatto abusivo costituisce valido elemento di prova sulla situazione di fatto riscontrata al momento del primo sopralluogo e sul vincolo su esso apposto, mentre il secondo verbale dimostra l’intervenuta prosecuzione dei lavori abusivi.

E’ stato accertato, in fatto, alla stregua del verbale di sequestro in data 22.04.2005, redatto dalla Polizia municipale, e dal relativo fascicolo fotografico quale fosse lo stato del manufatto abusivo sottoposto a sequestro e affidato alla custodia dell’imputato, e che in data 15.06.2005 è stata costatata l’immutazione dello stato dei luoghi con l’eliminazione di parte del ponteggio collocato nel cantiere e delle casseforme, sicchè esattamente è stato ritenuto che tali elementi obiettivi comprovassero l’intervenuta prosecuzione dei lavori.

Ha affermato questa Corte (RV. 166001) che, con l’apposizione dei sigilli, si attua una custodia meramente simbolica mediante la quale si manifesta la volontà dello Stato di assicurare cose, mobili o immobili, contro ogni atto di disposizione di persone non autorizzate.

Pertanto, il fatto costitutivo del reato di cui all’art. 349 cod. pen. consiste in qualsiasi atto che renda vana la predetta volontà e di esso risponde, "da solo o in concorso con altri, il custode giudiziario della cosa sottoposta a sequestro, il quale (ha) il dovere giuridico di impedire che il fatto si verific(hi). In tal caso si verte in ipotesi di responsabilità personale diretta, non oggettiva, e incombe sul custode l’onere della prova degli eventuali caso fortuito o forza maggiore, quali cause impeditive dell’esercizio del dovere di vigilanza e custodia" (Cassazione Sezione 3^. n. 2989/2000, Capogna, RV. 215768).

Ne consegue che, qualora sia riscontrata la violazione di sigilli, senza che il custode abbia avvertito dell’accaduto l’autorità, è lecito ritenere che detta violazione sia opera dello stesso custode, da solo o in concorso con altri, tranne che lo stesso dimostri di essere stato in grado di avere conoscenza del fatto per caso fortuito o per forza maggiore.

Non può, quindi, essere censurata la sentenza impugnata che ha ritenuto, alla stregua di concreti elementi, la sussistenza del reato de quo (che "si perfeziona con qualsiasi condotta idonea a eludere l’obbligo d’immodificabilità del bene, pur in assenza di sigilli o segni esteriori dell’avvenuta sequestro, sempre che si tratti di soggetta comunque edotta del vincolo posta sul bene" (Cassazione Sezione 3^ n. 37570/2002; RV. 222557) essendo emerso che l’imputato, pur in presenza dei sigilli e pur consapevole di non essere in possesso di titolo autorizzativo, ha violato il divieto di assoluta intangibilità della cosa.

Va, infine, osservato che la tesi della buona fede è stata riproposta in questa sede in termini meramente enunciativi e non corredati di rilievi specifici alla motivazione.
P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere tutte le contravvenzioni estinte per prescrizione ed elimina la relativa pena di mesi quattro di reclusione Euro 200 di multa.

Rigetta il ricorso nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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