Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 28-04-2011) 10-06-2011, n. 23426 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza resa in data 24.3.2009 la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma dell’8.5.2007, con la quale G.A., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, era stato condannato alla pena (condizionalmente sospesa) di anni 1 di reclusione ed Euro 600,00 di multa per il reato di cui all’art. 528 c.p. (capo a) e per il reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter (capo b), assolveva l’appellante G. dai reato di cui ai capo b) perchè il fatto non sussiste e riduceva la pena per il residuo reato di cui al capo a) a mesi 6 di reclusione ed Euro 300,00 di multa.

Premetteva la Corte che l’imputato aveva rinunciato alla prescrizione e che nel periodo 1997-1998, a seguito di indagini, avviate dalla Procura di Milano, in ordine a reati di pedofilia e sfruttamento della prostituzione, erano state eseguite numerose perquisizioni, con conseguenti sequestri, in varie parti del territorio nazionale. Tali perquisizioni coinvolgevano anche G.A., quale rappresentante delle società "Editoroma srl"; "Sistel srl" e "Seditel srl" (quest’ultima editrice della rivista "Fermoposta" di cui il G. era anche direttore esecutivo, e portavano al sequestro di 24.383 videocassette e di riviste a contenuto pornografico.

Tanto premesso, riteneva la Corte territoriale infondate le doglianze difensive in relazione al reato di cui all’art. 528 c.p..

Le videocassette sequestrate erano state esaminate dalla p.g. (non era quindi necessaria la visione diretta da parte della Corte) ed il teste N., sentito in dibattimento, aveva riferito che quelle da lui esaminate (le cui copertine già riproducevano immagini di congiungimenti carnali) contenevano scene aberranti e devianti. Non vi era, quindi, alcun dubbio in ordine alla sussistenza del reato di cui all’art. 528 c.p., tenuto conto del contenuto della rivista allegata agli atti e delle videocassette. Il prevenuto aveva, invero, detenuto e messo in circolazione, attraverso numerosi canali di distribuzione, riviste e videocassette a contenuto osceno. Secondo costante giurisprudenza, poi, la causa di non punibilità prevista dalla L. 17 luglio 1975, n. 355 non è applicabile a chi detiene videocassette a contenuto osceno allo scopo di farne commercio. Non risultava, infine, che il commercio avvenisse in modo da assicurarne la riservatezza, risultando piuttosto che la diffusione del materiale era effettuata in modo indiscriminato.

2) Ricorre per cassazione G.A., a mezzo del difensore, denunciando, con il primo motivo, la violazione di legge in relazione all’art. 528 c.p..

Agli atti risulta il sequestro di sole 266 riviste con videocassette, per cui, tenuto conto di quanto contestato (24.383), mancano all’appello circa 23.000 riviste con cassette (conteggiando anche quelle sequestrate al T.C.). Tale "mancanza" trova evidentemente la sua spiegazione nel fatto che, come riferisce il teste N., i sequestri di videocassette del sig. G. vennero effettuati in tutta Italia. Secondo la giurisprudenza, ormai pacifica della S.C., l’osceno è punibile quando offende il pudore e la pubblicità (cioè la possibilità di percepire l’osceno da parte di un numero indeterminato di persone è presupposto dello stesso tutela del pudore). Il problema della pubblicità non è stato minimamente affrontato dalla Corte di merito, che ha finito per identificare la consumazione del reato con il solo commercio dell’osceno.

Con il secondo motivo deduce la mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione, una videocassetta non può essere parificata ad uno stampato, in cui la percezione dell’osceno è immediata, essendo necessaria la proiezione. Con la conseguenza ineludibile che, quando si tratta di videocassette, ciò che rileva non è il contenuto, ma il loro aspetto esteriore. L’indagine deve quindi spostarsi sull’involucro delle cassette. Tale indagine è stata omessa dai giudici di merito.

La Corte territoriale ha, inoltre, omesso di motivare in ordine alla valutazione della testimonianza N. anche in relazione alle 24.117 riviste con cassette non acquisite agli atti del processo. A parte l’irrilevanza del contenuto delle videocassette, l’esame effettuato dal teste non può che aver riguardato le 267 cassette con riviste sequestrate, per cui su tutte le altre non è stato verificato il carattere osceno del contenuto. La Corte territoriale ha poi invertito l’onere della prova, tanto che, per dimostrare la diffusione indiscriminata, fa generico riferimento agli atti del processo, senza neppure indicare quali. Peraltro, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte, dalla testimonianza N. risulta che il G., prima di immettere in commercio le sue opere, le "blisterava". Se dunque l’aspetto esteriore delle cassette non aveva contenuto osceno non è configurabile il reato di cui all’art. 528 c.p..

Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all’art. 528 c.p., in quanto compete ai venditori al pubblico, in presenza di riviste dal contenuto esteriore osceno, adottare le cautele necessarie.

Con il quarto motivo denuncia la violazione di legge in relazione all’art. 240 c.p.. L’imputazione fa riferimento a 24.383 cassette con riviste, per cui va disposta la restituzione di tutto il restante materiale sequestrato (diverso da cassette con riviste).

3) Il ricorso è infondato.

3.1) Prima di esaminare i motivi di ricorso è opportuno ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. ex multis Cass. Pen. sez. 1^ n. 42369/2006), anche alla luce della nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, "il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia: a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;

b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dai ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per Cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Sez. 6A, 15 marzo 2006, ric. Casula). Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente "contrastanti" con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità, nè che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante.

Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento, è, invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (Sez. 6A, 15 marzo 2006, ric. Casula). Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo". Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi – anche a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi "atti del processo" e di una correlata pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale "esistenza" della motivazione e sulla permanenza della "resistenza" logica del ragionamento del giudice. Al giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione. Può quindi affermarsi che, anche a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett. e) ad opera della L. n. 46 del 2006, art. 8, "mentre non è consenso dedurre il travisamento del fatto, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, è, invece, consentito dedurre il vizio di travisamento della prova, che ricorre nei caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano" (cfr. Cass. sez. 5 n. 39048 del 25.9.2007).

L’onere della parte, poi, indicare espressamente nei motivi di gravame gli atti del processo da cui è desumibile il vizio. Tali atti vanno individuati specificamente (non rientrando nei compiti della Corte di legittimità la ricerca nel fascicolo processuale degli stessi), allegati o trascritti integralmente (non è consentita una indicazione "parziale" dell’atto, potendo il denunciato travisamento emergere solo dalla sua lettura integrale). Vanno quindi condivise le precedenti decisioni di questa Corte con le quali si è affermato il principio che "la condizione della specifica indicazione degli altri atti del processo… può essere soddisfatta nei modi più diversi (quali ad esempio, l’integrale riproduzione dell’atto nel testo del ricorso, l’allegazione in copia, l’individuazione precisa dell’atto nel fascicolo processuale di merito) purchè detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combinato disposto dell’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 591 c.p.p." (cfr.

Cass. pen. sez. 2 n. 19584 del 5.5.2006). Altra decisione ha, ancora più puntualmente specificato che è onere del ricorrente la individuazione precisa della collocazione degli atti nel fascicolo processuale, ove non siano riprodotti nel ricorso e non siano allegati in copia conforme, sia la dimostrazione che tali atti si trovassero nel fascicolo processuale al momento della decisione del giudice di merito, che infine, di indicazione puntuale della circostanza di fatto asseritamente travisata o non valutata (Cass. pen. sez. 3 n. 12014 del 22.3.2007).

3.1.1) Non c’è dubbio che, secondo giurisprudenza ormai pressochè consolidata di questa Corte (a partire dalla sentenza a sezioni unite del 24.3.1995 n. 5606), per la configurabilità del reato di cui all’art. 528 c.p. non è sufficiente la mera detenzione del materiale osceno, ma occorre anche la pubblicità, che rappresenta sia elemento costitutivo della fattispecie che requisito essenziale perchè si realizzi l’offesa al buon costume. Secondo le sezioni unite "Il commercio dell’osceno se realizzato con particolari modalità di riservatezza e di cautela, idonee a prevenire la lesione reale o potenziale del pubblico pudore, non integra l’ipotesi delittuosa prevista dall’art. 528 cod. pen. (nel caso in esame veniva rigettato il ricorso del pubblico ministero avverso la sentenza assolutoria pronunciata nei confronti del titolare di un esercizio commerciale ove videocassette di contenuto pornografico venivano offerte in vendita in un locale attiguo al negozio nel quale potevano accedere soltanto coloro che ne avessero fatto espressa richiesta e che avessero raggiunto la maggiore età). Precisavano, inoltre, le sez. un. che l’osceno, in sè per sè, è irrilevante agli effetti della legge penale e che ciò che delimita il lecito dall’illecito è la sola possibilità di una sua diffusa percepibilità, configurandosi la "pubblicità", intesa come idoneità dell’osceno ad essere percepito da un numero indeterminato di persone, prima ancora che come elemento costitutivo della fattispecie penale, quale presupposto della stessa tutela del pudore (cfr. Cass. sez. un. n. 5606 del 24.3.1995; conf. Cass. sez. 3 n. 34417 del 6.7.20059).

3.1.2) La Corte territoriale con motivazione adeguata ed immune da vizi logici, rinviando anche alla motivazione della sentenza di primo grado, ha ritenuto che il materiale sequestrato fosse di contenuto osceno e che esso fosse stato indiscriminatamente posto in circolazione.

Ha, infatti, evidenziato, facendo riferimento alla testimonianza del teste N., il quale aveva esaminato il contenuto delle videocassette, che esse contenevano "scene aberranti e devianti";

peraltro le copertine riproducevano già immagini esplicite di congiungimenti carnali. In particolare, le immagini delle videocassette e le riviste rappresentavano "scene di accoppiamenti sessuali caratterizzate dalle insistenti inquadrature degli organi genitali sia maschili che femminili". Tanto del resto emergeva chiaramente dalla rivista allegata agli atti.

Con il ricorso si contesta che l’osceno fosse di immediata percezione, trattandosi di videocassette. Si omette, però, di considerare che, come sottolineato dalla Corte territoriale, già le copertine di dette videocassette riproducevano "esplicite immagini di congiungimenti carnali" e che alle videocassette si accompagnavano le riviste. Il ricorrente, inoltre, propone, in violazione, peraltro, del principio di autosufficienza del ricorso (si fa riferimento a "stralci" della deposizione del N.) una diversa interpretazione e lettura (non consentita, come si è visto, nel giudizio di legittimità) delle risultanze processuali, assumendo che da detta testimonianza emergerebbe il carattere riservato della trasmissione, in quanto il G. prima di mettere in commercio le sue opere le "blisterava".

Non è esatto, poi, che i giudici di merito non si siano posti il problema della "pubblicità". Già il Tribunale aveva accertato che il materiale era diffuso attraverso numerosi canali di distribuzione ed era diretto verso un numero indeterminato di persone (pag. 6 sent.

Trib.). La Corte territoriale, prendendo in esame, i motivi di appello sul punto, nel disattenderli, ha ulteriormente sottolineato che "non risulta assolutamente che il commercio fosse destinato a svolgersi con appropriati accorgimenti tali da assicurarne la riservatezza", emergendo piuttosto che la condotta "era diretta ad una diffusione indiscriminata del materiale sequestrato". 3.2) Quanto alla denunciata mancata allegazione di tutte le video cassette cui fa riferimento il capo di imputazione, non c’è dubbio che "Il P.M., a norma dell’art. 416 c.p.p., comma 2, nel momento in cui formula la richiesta di rinvio a giudizio, ha l’obbligo di allegare l’intera documentazione raccolta nel corso delle indagini preliminari, non essendogli consentito di esercitare un potere di selezione su tale materiale". "Tuttavia la norma citata introduce una netta distinzione fra la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari, da un lato, e il corpo del reato, dall’altro. Ed invero, mentre i primi debbono essere allegati al fascicolo del dibattimento, gli altri lo sono solo qualora non debbano essere custoditi altrove.

Ne consegue che, quando il corpo del reato o le cose ad esso pertinenti presentano una apprezzabile mole d’ingombro, non sono allegati al fascicolo, ma vengono custoditi altrove" (cfr. Cass. sez. 1^ n. 14594 del 16.1.1999). E non può certo dubitarsi che 24.383 riviste con allegate videocassette costituissero "una apprezzabile mole di ingombro".

Peraltro non risulta che, anche in riferimento ai verbali di sequestro di detto materiale, sia stata sollevata alcuna tempestiva eccezione ai sensi dell’art. 491 c.p.p., comma 2 ("La disposizione del comma 1 si applica anche alle questioni concernenti il contenuto del fascicolo per il dibattimento..") o che, comunque, i giudici di merito siano stati investiti della richiesta di richiamo del materiale sequestrato o di messa a disposizione della difesa dello stesso.

3.3) In ordine al terzo motivo, la responsabilità del rivenditore al pubblico non esclude la responsabilità di colui che ha inizialmente messo in circolazione, distribuendole sull’intero territorio nazionale, le riviste e le cassette a contenuto osceno, con percepibilità quindi da parte di un numero indeterminato di persone.

3.4) Il quarto motivo, infine, è generico, non specificandosi neppure quale sia il restante materiale sequestrato (diverso da cassette e riviste) di cui andava disposta la restituzione. La richiesta, comunque, potrà essere avanzata in sede esecutiva.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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