Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 28-04-2011) 10-06-2011, n. 23420

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 26.11.2010 il Tribunale del Riesame di Firenze in parziale accoglimento del ricorso presentato da I.C. avverso l’ordinanza del GIP presso il Tribunale di Pistoia che in data 10.11.2010 gli aveva applicato la misura cautelare della detenzione in carcere per i reati di estorsione ed usura in concorso, sostituiva la misura della detenzione in carcere con gli arresti domiciliari presso la sua abitazione.

Sosteneva il Tribunale la marginalità del ruolo dello I. nell’attività delittuosa realizzata dal correo L.D. e la tutelabilità delle esigenze cautelari, considerato il tempo trascorso e i precedenti risalenti nel tempo, con la misura degli arresti domiciliari.

Ricorre per Cassazione il P.M. presso il Tribunale di Pisa deducendo che l’ordinanza impugnata è incorsa in carenza ed illogicità della motivazione non avendo il giudice del riesame considerato che lo I. fra i precedenti annoverava anche due condanne per evasione, seppure non nel quinquennio. Contestava altresì la marginalità del ruolo dell’imputato richiamando argomentazioni presenti nell’ordinanza del GIP. La doglianza è manifestamente infondata perchè versata in fatto.

Con riferimento ai motivi di ricorso il Collegio osserva che, come più volte affermato da questa Corte, alla luce della nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia: a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per Cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Sez. 6A, 15 marzo 2006, ric. Casula).

Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente "contrastanti" con particolari valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva dei fatti e delle responsabilità nè che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione diversa e forse più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento. E’, invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (Sez. 6A, 15 marzo 2006, ric. Casula).

Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo".

Al giudice di legittimità resta, invece, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.

Esaminata in quest’ottica la motivazione dell’ordinanza del Tribunale del Riesame di Firenze che ha sostituito nei confronti di I. C. la misura cautelare della detenzione in carcere con gli arresti domiciliari si sottrae alle censure che le sono state mosse, perchè il provvedimento impugnato, con motivazione esente da evidenti incongruenze o da interne contraddizioni, ha indicato le ragioni che hanno portato alla decisione in questa sede contestata.

A fronte di tale coerente motivazione le argomentazioni esposte nei motivi in esame si risolvono in censure in punto di fatto a fronte di una ordinanza, come quella impugnata che ha tenuto conto nella valutazione delle esigenze cautelari dei criteri previsti dalla legge argomentandone in maniera congrua la scelta.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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